3 Dicembre 2025

I 3 errori più comuni nel marketing degli studi professionali (e come evitarli)

di Emanuela Carini - Responsabile Marketing BDM Associati SRL Scarica in PDF

La cosa bella — e allo stesso tempo la condanna — del formarsi facendo è che si commettono tutti gli errori possibili. È faticoso, richiede tempo e spesso porta a chiedersi se valga davvero la pena insistere. Eppure, con la giusta perseveranza, questi errori diventano un patrimonio prezioso: una raccolta di ciò che funziona, di ciò che non funziona, di ciò che va.

Nel mondo degli studi professionali, questo percorso è ancora più complesso. Sul marketing e sulla comunicazione online si è sperimentato pochissimo, frenati da tre fattori principali: normativo (regole deontologiche spesso interpretate come divieti assoluti), culturale (l’idea che il marketing sia pubblicità aggressiva e poco adatta a un professionista) e storico (per decenni gli studi non hanno avuto bisogno di comunicare per crescere).

Il risultato è che pochi pionieri hanno davvero esplorato questo ambito. E chi lo ha fatto, come noi, è partito da zero: nessun manuale, nessuna strada già segnata, solo una tela bianca su cui testare, sbagliare, ritestare e imparare. E proprio da questa esperienza nasce questo articolo: i tre errori più comuni che abbiamo commesso (e visto commettere) quando si prova a introdurre il marketing in uno studio.

 

Errore 1 — Pensare che il marketing sia un’azione e non un ecosistema

Molti studi immaginano il marketing come un gesto isolato: un post sui social, una newsletter, un articolo, un sito web rifatto. Ma il marketing non è un albero: è una foresta. E come una foresta vive grazie all’interazione tra molteplici elementi, che si sostengono e creano un ecosistema coerente.

Il vero punto non è cosa usiamo, ma cosa vive e attraversa il nostro potenziale cliente. Ogni persona si trova in una fase diversa del suo percorso: chi non ha ancora messo a fuoco un problema, chi lo ha individuato ma non conosce le soluzioni, chi sta già valutando alternative.

 

L’errore nasce quando si pensa che un’unica azione possa parlare a tutti. Per esempio: “Ho una lista di contatti, mando una mail con la mia proposta e vediamo se qualcuno risponde”. Non funziona, per due motivi molto concreti:

  1. la maggior parte dei contatti è in fase sbagliata. Se l’80% è in fase 1, il 15% in fase 2 e solo il 5% in fase 3, una mail pensata per chi è pronto ad acquistare non verrà capita (fase 1), non verrà percepita utile (fase 2) e verrà ignorata quasi da tutti;
  2. la fatica viene delegata al contatto. Dire “chiamami se ti interessa” significa spostare lo sforzo su di lui. Ma è lo studio che ha interesse a costruire la relazione: è molto più efficace chiedere “lasciami i tuoi contatti e ti fornirò io tutti i dettagli + una chiamata di approfondimento senza impegno”.

Per evitare questo errore serve una logica diversa: partire dal cliente, non dallo strumento.

  1. capire chi è e che problema ha;
  2. capire in quale fase si trova;
  3. costruire un percorso di contenuti coerente con quella fase:
    • fase 1: attirare l’attenzione, far emergere un problema che ancora non è chiaro;
    • fase 2: fornire contenuti educativi e informativi che chiariscono scenari e alternative;
    • fase 3: mostrare le proprie soluzioni, i casi concreti e facilitare il contatto diretto.

A questo punto arrivano gli strumenti: reel, articoli, newsletter, landing page, sponsorizzazioni, sito, form. Ma arrivano dopo aver definito il percorso, non prima. È così che il marketing smette di essere una somma di tentativi e diventa un ecosistema in cui ogni elemento serve a qualcosa.

 

Errore 2 — Pensare che i potenziali clienti non siano online

Un altro errore molto diffuso è credere che il proprio pubblico “non usi i social” o che non cerchi informazioni online prima di valutare un professionista. In realtà, gli utenti cercano conferme, informazioni e rassicurazioni su qualunque scelta, incluse quelle che riguardano servizi complessi come consulenza del lavoro, fiscalità e gestione d’impresa.

I dati del report We Are Social 2025 raccontano che:

  • 53,3 milioni di italiani (l’89,9% della popolazione) usano internet;
  • trascorrono oltre 5 ore e mezza al giorno online;
  • l’attività principale è cercare informazioni (71,5%), non intrattenimento;
  • il 44% degli utenti cerca prodotti, brand e aziende per valutarli.

Questo significa che prima ancora di contattarti, un potenziale cliente farà una cosa semplicissima: ti cercherà su Google. Cercherà il nome dello studio, dei soci, dei servizi. Guarderà se esiste un sito aggiornato, se ci sono contenuti utili, se il tono della comunicazione è coerente con il tipo di professionalità che si aspetta.

E qui nascono due problemi molto seri:

  1. se non ti trova, dubita. L’assenza online viene percepita come mancanza di affidabilità o poca cura verso la propria attività;
  2. se non ti trova, trova qualcun altro. Anche se l’utente cerca te, il motore di ricerca gli mostrerà qualcun altro: un concorrente più strutturato, più presente e in grado di intercettare il bisogno prima di te.

Il tema non riguarda solo i social, ma l’intero ecosistema digitale. Gli utenti utilizzano quotidianamente:

  • motori di ricerca, per capire chi sei e se esisti davvero;
  • email, per informarsi e valutare ciò che invii;
  • social network, per osservare il tuo tono, la tua competenza, la tua capacità di spiegare bene ciò che fai.

In altre parole: i potenziali clienti sono già online. La domanda non è più “sono lì?”, ma “che cosa trovano quando arrivano da me?”. Non esserci, o esserci male, significa lasciare il campo libero ai competitor.

 

Errore 3 — Pensare che bastino “quattro click sulla tastiera”

Molti professionisti vivono ogni giorno il pregiudizio dei clienti che credono che il loro lavoro sia semplice o immediato, per cui “bastano quattro click sulla tastiera”. Paradossalmente, lo stesso pregiudizio colpisce chi si occupa di marketing.

Il fatto che tutti usino uno smartphone non rende tutti esperti di comunicazione. Gli strumenti non sono la strategia. Non basta saper usare un programma per costruire un ecosistema coerente, per leggere i dati, per trasformare i contenuti in opportunità commerciali.

Sottovalutare questo significa:

  • azioni improvvisate;
  • investimenti inefficaci;
  • messaggi incoerenti;
  • sfiducia crescente nel marketing;
  • sprechi di tempo, risorse e opportunità.

La verità è che il marketing richiede competenze specialistiche, proprio come qualunque altra disciplina professionale. Resistere a questa evidenza non fa che peggiorare i risultati e aumentare la diffidenza verso strumenti che, se usati bene, possono generare valore concreto.

 

Conclusione

Gli studi professionali oggi hanno l’opportunità di usare la comunicazione come un motore di competitività, autorevolezza e crescita. Evitare questi tre errori significa impostare un lavoro più efficace, più misurabile e più coerente con ciò che i clienti si aspettano.

Il marketing non è un’azione isolata né un accessorio opzionale. È un ecosistema strategico, che se affrontato con metodo può diventare un vero vantaggio competitivo.

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