25 Febbraio 2021

L’anello mancante

di Riccardo Girotto

Più volte mi sono soffermato a evidenziare la condotta del Legislatore, non propriamente incline al looking forward nei confronti delle misure lavoristiche applicate alla pandemia. Per questo, con cauto ottimismo, mi piace pensare che il nuovo Esecutivo possa davvero compiere un passo importante verso un tema che, in ambito giuslavoristico, sta diventando “il tema” trasversalmente caldeggiato: le politiche attive del lavoro.

Perennemente sottostimato in sede costruttiva, il tema delle politiche attive viene considerato secondario rispetto ad ammortizzatori e licenziamenti, argomenti di maggiore impatto per il termometro del consenso politico e sindacale. In una visione profondamente conservatrice del diritto del lavoro come quella italiana, le politiche attive faticano a decollare, posto che richiedono una generale propensione alla messa in discussione dei protagonisti, caratteristica decisamente impopolare. Il tema, quindi, alla luce dei possibili scenari post pandemici, rappresenta una vera e propria bomba a orologeria. Gran parte del fallimento delle politiche attive fin qui proposte deve ascriversi all’inadeguatezza degli strumenti di condizionalità, conseguenza di 2 mancanze non trascurabili: la prima si identifica nell’impossibilità di realizzare la condizione, stante l’assenza di progetti di formazione specifici; la seconda si identifica nell’incapacità di verifica della condizione per inerzia dei controllori, tale da agevolare la percezione illibata dell’ammortizzatore. In particolare, l’assenza di sistemi di monitoraggio ha contribuito a sopprimere i gemiti di sviluppo, fin dal concepimento delle misure.

Vale la pena ricordare alcune regole d’ingaggio presenti nel nostro mercato del lavoro, per assumere come i propositi a tutela delle politiche attive, ex post, possano riqualificarsi in veri e propri limiti:

  • articolo 4, comma 8, lettera b), n. 5, D.L. 4/2019: “decadenza dal RdC nel caso il beneficiario tenuto alla stipula del patto per il lavoro non accetti almeno una di tre offerte di lavoro congrue segnalate dal servizio per l’impiego ovvero, in caso di rinnovo del RdC ai sensi dell’articolo 3, comma 6, non accetti la prima offerta congrua utile (…). Il rifiuto di una offerta di lavoro va pertanto inteso come rifiuto a candidarsi a una posizione di lavoro vacante. (…) il rifiuto di sottoscrivere un contratto di lavoro congruo da parte del beneficiario di RdC costituisce causa di decadenza del beneficio”;
  • articolo 22, D.Lgs. 150/2015: “a) in caso di mancata presentazione alle convocazioni ovvero agli appuntamenti di cui al comma 1 e mancata partecipazione alle iniziative di orientamento di cui all’articolo 20, comma 3, lettera a), in assenza di giustificato motivo: 1. la decurtazione di un quarto di una mensilità per la prima mancata presentazione; 2. la decurtazione di una mensilità, per la seconda mancata presentazione; 3. la decadenza dalla prestazione per la ulteriore mancata presentazione;
    b) in caso di mancata partecipazione alle iniziative di cui all’articolo 20, comma 3, lettera b), ovvero alle iniziative di cui all’articolo 26: 1.  la decurtazione di una mensilità per la prima mancata partecipazione; 2. la decadenza dalla prestazione per la ulteriore mancata presentazione”.

Propositi condivisibili, limiti prevedibili.

A dire il vero, la recente ipotesi del Fondo nuove competenze potrebbe, prima facie, rappresentare una buona soluzione, non fosse, però, dedicata prevalentemente ad aziende strutturate, nonché realizzabile entro scadenze stringenti che rischiano di sterilizzarne l’impianto. Possibile, quindi, che la misura si rifletta in una sorta di boomerang, in quanto i risultati scarsamente apprezzabili potrebbero ricondurre ancora una volta al fallimento delle politiche attive, proprio quando un raggio di luce pareva scorgersi. Questo Fondo lavora sullo stanziamento di risorse destinate a garantire la retribuzione del lavoratore nei periodi di formazione alternativa al lavoro. Per assurdo (mica tanto), connettere il progetto formativo a ogni ipotesi di cassa COVID a zero ore permetterebbe, invece, di diffondere esponenzialmente lo strumento senza impiego di risorsa aggiuntiva alcuna.

Per i prossimi mesi una soluzione, a mio avviso fin troppo ovvia, potrebbe imporre la formazione obbligatoria connessa a ogni ammortizzatore tramite l’utilizzo dei Fondi interprofessionali, così da sdoganarne definitivamente la funzione, marcando proprio il sinallagma necessario formazione-percezione tramite gli SR41 contenenti la presenza ai corsi, piuttosto che l’assenza dal lavoro, al fine di innescare, de plano, risultati diffusi:

  • stimolo alla formazione per il lavoratore, che potrà così riqualificarsi incrementando le proprie skills, coniugato allo stimolo aziendale per favorire la ricollocazione interna;
  • stimolo all’azienda nel proporre un progetto il più aderente possibile alle esigenze proprie dell’attività concretamente necessaria, al fine di sviluppare passaggi di ricollocazione interna senza sforzo alcuno;
  • azzeramento delle pratiche spregevoli legate alla fruizione dell’ammortizzatore in periodi di occupazione (lato azienda), oppure al respingimento di offerte lavorative scomode rispetto alla sospensione indennizzata (lato percettore).

Certamente, non sarà semplice l’avvio di progetti di formazione massiva; prima di arrivare a una presa di coscienza generalizzata sarà importante somministrare gradatamente la cultura della riqualificazione, ma è proprio iniziando a formare che si potrà diffondere tangibilmente l’utilità della riqualificazione, magari utilizzando produttivamente le vere vittime dell’attuale fantaricollocazione.

Mi riferisco ai navigator, che, avendo speso del tempo per traghettare gli espulsi dal mercato del lavoro verso un porto occupazionale sicuro, indipendentemente dai modestissimi risultati ottenuti, rischiano di essere proprio i primi a non riuscire a ormeggiare. Di fatto, anche prorogando i loro contratti, i mezzi a disposizione per lo svolgimento della loro, innovativa, missione continuano ad essere fortemente insufficienti, tanto da integrare il paradosso, inammissibile, che vede la promozione della loro conferma in servizio fino al momento in cui gli strumenti saranno pronti, sine die. Ricapitolando, la strada da seguire potrebbe sostenere:

  • ammortizzatori fruibili senza costi per l’impresa che avvia politica attiva (i costi non incassati dall’Inps risulterebbero ben coperti dalla riduzione di accesso alla NASpI);
  • navigator che lavorano al piano formativo in azienda, evitando, quindi, le sovrapposizioni, foriere di gelosie informative, con i Centri per l’impiego (lavoro sulla risorsa prima dell’espulsione del mercato del lavoro, con l’obiettivo di contenere gli esodi tramite l’immissione di competenze, non di vincoli legali);
  • lavoratori che fruiscono dell’ammortizzatore solo a fronte di partecipazione ai progetti di politica attiva (condizionalità certe, apparato sanzionatorio severo).

I Fondi interprofessionali andrebbero a coprire i costi di docenza e dei navigator calati sui progetti; i datori di lavoro riceverebbero lavoratori formati a costo zero e avrebbero tutto l’interesse ad avviare i progetti a fronte dell’esenzione dei costi riferiti allo strumento; i lavoratori, durante la sospensione, otterrebbero una formazione professionalizzate, utile per la ricollocazione interna o esterna, a fronte del pagamento dell’ammortizzatore. Residua l’attività controllo, la parte antipatica finalizzata alla revoca degli strumenti, che in un sistema virtuoso a regime risulterebbe, ne sono sicuro, addirittura superflua[1]. Impensabile che l’attuale organizzazione degli enti ispettivi possa svolgere proficuamente tale ruolo, per questo l’Anpal potrebbe finalmente assumere una vera utilità, agendo sui dati forniti dai navigator attivi sul campo, con funzioni premiali o repressive a seconda dei risultati di monitoraggi puntuali. Nessun costo aggiuntivo, quindi. Il sistema proposto, oltre a generare un enorme risparmio di risorse, magari non creerà nuovi posti di lavoro in sede di prima applicazione, risultato comunque irrealizzabile in un momento di recessione condito da un blocco dei licenziamenti, ma offrirà lavoratori dalle potenzialità occupazionali massimizzate, eliminando lo spreco degli ammortizzatori a pioggia. Risultato forse impopolare, in un momento ove la vera sfida dello Stato è spendere i denari.

Un ultimo pensiero lo rivolgo alla valutazione preliminare dall’esito tutt’altro che scontato. Prima di avviare un ipotetico sistema di ricollocazione, infatti, è necessario assicurarsi che l’efficienza delle politiche attive, contraria all’elargizione dei trattamenti diffusi, rappresenti veramente l’obiettivo di tutti.

[1] Sul tema interessante la recente Cassazione n. 3116/2021, che affossa definitivamente la pluriefficacia delle comunicazioni obbligatorie ex L. 296/2006, determinando un imponente passo indietro nel percorso verso la semplificazione amministrativa. Tale pluriefficacia pareva assecondata dalla circolare Inps n. 57/2014, che deve quindi considerarsi superata.

 

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