Anticipazione del Tfr in busta paga, l’intervento dell’INL e il contesto
di Andrea Ercoli Scarica in PDF
Il recente intervento dell’INL (nota n. 616/2025), che verrà analizzato di seguito, ha riportato al centro del dibattito un tema ormai classico nella gestione delle competenze dovute a un lavoratore dipendente: l’anticipazione del Tfr in busta paga. In particolare, non una semplice anticipazione una tantum, ma la liquidazione mensile – con le competenze del mese medesimo – della quota di Tfr maturata nel medesimo periodo. La questione è stata affrontata in varie sedi, che ne hanno evidenziato i profili sostanziali e le ricadute fiscali, fino a precipitare nella quotidiana gestione dei clienti da parte di qualsiasi studio: è facile immaginare che qualsiasi persona abbia lavorato nell’area giuslavoristica o della consulenza del lavoro, almeno una volta, si sia trovato ad affrontare il tema con un cliente, un lavoratore, un responsabile delle risorse umane.
La rilevanza sulla gestione dei rapporti è evidente: l’istituto del Tfr, tra quelli a liquidazione posticipata, è evidentemente un unicum, in quanto lo spazio tra l’inizio della maturazione e la liquidazione può essere rilevantemente esteso, in termini di tempo: ciò implica un accantonamento di somme, da parte del datore di lavoro, che spesso si scontra con la quotidiana dinamicità delle imprese. Ecco, quindi, che spesso emerge, per l’imprenditore, la volontà di liquidare mensilmente tale somma, pur sostenendo l’uscita di cassa. L’Ispettorato, tuttavia, ha ribadito oggi una posizione già precedentemente sostenuta dai più, le cui basi normative sono analizzate nel prosieguo.
L’ambito normativo
Il contesto in cui analizzare la materia non può essere costituito che dalla norma istitutiva del Tfr, oltre che dal corredo di atti che ne disciplinano la gestione fiscale. La disciplina è rinvenibile nel codice civile, in particolare nell’articolo 2120, arcinoto e commentato da moltissimi punti di vista differenti: “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. (…) Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta. (…)
La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:
a) eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.
L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal Tfr.
Nell’ipotesi di cui all’articolo 2122, cod. civ., la stessa anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima.
Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione”.
Ai fini dell’analisi è particolarmente rilevante la seconda parte dell’articolo, che disciplina compiutamente l’istituto dell’anticipazione.
Come evidente dal testo, è il prestatore di lavoro – oltretutto solo quello che possa vantare determinate caratteristiche di anzianità – che può richiedere l’anticipazione di una quota del Tfr. Non è previsto, dalla normativa, il verso opposto: il testo non conferisce facoltà al datore di lavoro di erogazione spontanea e/o per propria decisione imperativa, senza che la medesima sia anticipata da una specifica richiesta del lavoratore destinatario del trattamento medesimo.
Molto importante l’ultimo comma, su cui si basa la teoria “possibilista” sull’erogazione mensile del Tfr: essendo possibili pattuizioni, anche individuali, di miglior favore sembrerebbe ipotizzabile anche un accordo tra le parti per un’erogazione mensile. Oltretutto, il testo della norma non prevede una forma specifica per tali accordi, che, pertanto, potrebbero essere conclusi anche verbalmente.
Altra normativa di sicura rilevanza, con riferimento al Tfr, è l’articolo 17, Tuir, in cui si definisce la modalità applicativa della tassazione sulle somme riconosciute a fine rapporto:
“L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi:
a) trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, […]; altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, …”.
Il dettato normativo del Tuir, in questo caso si rifà espressamente a quanto stabilito dal precedentemente richiamato articolo 2120, cod. civ., determinando per tali somme una modalità applicativa particolare dell’imposta. Ciò al fine di ripartire l’imposizione fiscale sulla durata del periodo di maturazione della somma erogata a titolo di Tfr. Viceversa, l’applicazione dell’imposta ordinaria senza tener conto del lungo periodo di accumulo avrebbe implicato forti trattenute in capo al lavoratore.
Il Tuir determina, poi, il metodo di calcolo dell’imposta in forma separata, con il successivo articolo 19: “Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici. Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti”.
La rilevanza di queste norme, con riferimento all’anticipazione mensile del Tfr, è centrale: il rimando alla disciplina codicistica per individuare il Tfr, la centralità data al momento contiguo alla cessazione del rapporto, il medesimo trattamento riconosciuto alle somme erogate in corrispondenza della cessazione. Sono tutti elementi che evidenziano il collegamento (anche funzionale) della modalità di calcolo dell’imposta con la natura di erogazione legata alla cessazione del rapporto. Tale collegamento si romperebbe, in caso di erogazione in momenti differenti (salvo il caso delle anticipazioni, accuratamente censite e individuate da parte del codice), conferendo alla liquidazione mensile una natura eminentemente retributiva, continuativa.
Non ultima, per importanza, la disposizione di cui all’articolo 6, D.Lgs. 314/1997, che esclude il Tfr dalla base imponibile su cui è calcolata la contribuzione previdenziale:
“4. Sono esclusi dalla base imponibile:
- a) le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto; (…)”.
Tale normativa garantisce al Tfr la sola imposizione fiscale, nei termini sopra richiamati e, anche in questo caso, il particolare trattamento appare legato alla qualificazione della somma come Tfr genuino. Argomento richiamato anche dall’Ispettorato del lavoro nella nota n. 616/2025.
La nota dell’Ispettorato
Il 3 aprile 2025, l’INL, con propria nota n. 616/2025, su sollecitazione dell’Ispettorato di Milano, ha preso una posizione netta nei confronti della modalità di erogazione del Tfr che prevede una liquidazione mensile delle quote maturate. L’INL, recependo le indicazioni del Ministero del lavoro, ha mosso la propria analisi dal rimando – operato dalla disciplina codicistica sopra richiamata – a pattuizioni di miglior favore, sfruttando il quale sono stati sottoscritti patti che determinavano la liquidazione mensile del Tfr.
Secondo l’opinione dell’Ispettorato, si deve ritenere che la “pattuizione collettiva o individuale”, cui l’articolo 2120, cod. civ., fa riferimento, possa avere ad oggetto un’anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile. Viceversa, l’importo erogato mensilmente costituirebbe una mera integrazione retributiva, con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo.
L’INL rimarca la funzione del Tfr, così come la ratio sottostante il dettato codicistico: il supporto economico derivante dal Tfr è pensato per essere riconosciuto al termine del rapporto di lavoro, non durante il medesimo.
L’Ispettorato introduce anche il tema previdenziale, con riferimento ai datori di lavoro obbligati al versamento del Tfr al Fondo di tesoreria. Il versamento di tali somme al Fondo, che ha natura di contribuzione previdenziale, in quanto lo stesso è equivalente a una gestione previdenziale obbligatoria, ne implica l’assoggettamento al regime di indisponibilità proprio della contribuzione previdenziale, salve le ipotesi di pagamento anticipato del Tfr “nei casi e nei limiti normativamente previsti” (sempre INL, nota n. 616/2025).
La conseguenza che l’INL prevede, al riscontrarsi della pratica scorretta, per il datore di lavoro è rilevante e molto onerosa: “il personale ispettivo dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di TFR illegittimamente anticipate attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 124 del 2004”.
Pertanto, le conseguenze non si limitano al solo trattamento previdenziale ordinario delle somme anticipate, in quanto importi che vengono considerati semplici integrazioni dell’ordinaria retribuzione, ma anche l’emanazione di provvedimento dispositivo che obbliga ad accantonare le somme precedentemente erogate nel Fondo del lavoratore.
L’esperienza della QuIR
Uno dei riferimenti riportati dalla nota dell’INL riguarda la c.d. Quota integrativa della retribuzione (abbreviata in QuIR). Tale meccanismo era stato istituito dalla L. 190/2015, nell’ambito della riforma complessiva del diritto del lavoro operata nel corso di quell’anno. L’Istituto della QuIR prevedeva l’erogazione – sperimentale – del Tfr nella busta paga mensile del lavoratore, su iniziativa del medesimo. A fronte di un’esplicita richiesta da parte del lavoratore dipendente, quindi, il datore di lavoro avrebbe erogato, unitamente alle competenze del mese, anche la quota di Tfr maturata nel medesimo periodo, in busta paga. Tale istituto venne previsto per un periodo sperimentale con decorrenza dal 1° marzo 2015 e conclusione al 30 giugno 2018 (data in cui è effettivamente cessata tale esperienza, che non fu prorogata).
È interessante notare alcuni aspetti, relativi a tale disciplina sperimentale. In prima battuta, anche in quel caso l’iniziativa era lasciata al lavoratore, che avrebbe dovuto spontaneamente decidere per l’erogazione in busta paga del Tfr: non era prevista una facoltà, per il datore di lavoro, di imporre tale scelta. Ovviamente tale scelta era esclusa per i lavoratori che avessero optato per la destinazione del Tfr alla previdenza complementare, oltre che per quelle situazioni in cui sul Tfr gravasse un diritto di garanzia per qualche altro debito (ad esempio, nei casi di cessione del quinto ovvero di pignoramenti attivi).
Anche il tema delle modalità operative con cui liquidare il Tfr mensilmente, quale Quota integrativa della retribuzione, offre alcuni spunti. In particolare, l’importo da liquidare coincideva con il maturato del mese, al netto della contribuzione dello 0,50% prevista dall’articolo 3, ultimo comma, L. 297/1982. Oltre a questo, particolarmente interessante era l’imposizione fiscale applicata alla QuIR secondo le indicazioni normative: trattandosi di integrazione della retribuzione, l’imposta veniva applicata in forma ordinaria (non separata come per il Tfr), aspetto che rimarca il punto sopra richiamato del collegamento con l’evento di cessazione del rapporto. Per altro verso, l’erogazione rimaneva esente da contribuzione previdenziale, alla stregua del Tfr.
La posizione della giurisprudenza
Altro elemento richiamato dalla nota dell’INL è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 4670/2021, secondo cui l’erogazione mensile del Tfr deve qualificarsi quale maggiore retribuzione, per questo motivo assoggettata all’obbligazione contributiva. Questa pronuncia dei giudici di legittimità, tuttavia, merita un approfondimento ulteriore.
Leggendo il testo, brevissimo, dell’ordinanza, si coglie come il tema affrontato dai giudici non scenda molto nel particolare della cadenza mensile, ma si limiti ad analizzare la mancata produzione di prove sufficienti a identificare una delle motivazioni di anticipo previste dall’articolo 2120, cod. civ.: il datore di lavoro non ha provato nessuna delle casistiche in giudizio, pertanto l’anticipazione è stata correttamente assoggettata a contribuzione. L’ordinanza, tuttavia, si concentra su questo unico aspetto, non sulla cadenza mensile dell’anticipazione. Non solo, i giudici sottolineano anche che “solo la sussistenza dei prescritti elementi costitutivi qualifica l’erogazione datoriale come anticipazione del TFR e in difetto della relativa prova l’erogazione monetaria al lavoratore non si sottrae all’obbligazione”.
A questo riguardo, oltretutto, giova ricordare quanto è rinvenibile nella disciplina codicistica sopra riportata: anche contratti collettivi o patti individuali possono essere valevoli condizioni di erogazione anticipata. Alla luce di ciò, pertanto, l’ordinanza richiamata dall’INL potrebbe essere ritenuta non perfettamente calzante con la tesi dell’impossibilità della liquidazione mensile.
Al fine di identificare correttamente il contesto, inoltre, ci sono altre pronunce che devono essere tenute in considerazione. In particolare, è interessante la motivazione della Cassazione della sentenza n. 4133/2007, che ha ribadito con dovizia di particolari che la pattuizione individuale possa essere valida motivazione di anticipazione del Tfr, ai sensi di quanto stabilito dalla normativa di cui all’articolo 2120, cod. civ.. Le condizioni per l’accesso all’anticipazione poste dalla norma, infatti, devono essere considerate come condizioni “minime”, pertanto derogabili in melius.
Le posizioni alternative in dottrina
Quanto sopra riportato, in aggiunta alle varie pronunce analizzate nel corso degli anni, ha portato alla formazione di 2 tesi contrapposte in dottrina, una “possibilista” sull’erogazione mensile e l’altra “limitativa” di tale facoltà. Se l’indicazione dell’Ispettorato in commento sposa decisamente la seconda via, non sono da trascurare alcuni elementi che i fautori della prima tesi evidenziano, meritevoli di una particolare attenzione.
Il primo è sicuramente derivante dal tenore letterale della norma codicistica, soprattutto tenendo in considerazione la lettura che la giurisprudenza ne ha dato. In particolare, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 142/1991, ha esplicitamente dichiarato che le condizioni di anticipo previste dall’articolo 2120, cod. civ., sono minime, potendo le medesime essere derogate in melius per effetto della disciplina di cui al comma 11 dello stesso articolo, citato. L’utilizzo di questa possibilità per ottenere un patto di erogazione mensile dipende dalla corretta identificazione della tutela sottesa all’introduzione delle motivazioni obbligatorie per l’anticipo, anche per evitare un’eccessiva richiesta da parte dei lavoratori, che comporterebbe un’uscita di cassa onerosa per l’azienda, garantendo comunque l’accesso a tali somme in caso di necessità. Da questo punto di vista, una modifica in melius della disciplina potrebbe identificarsi con opzioni aggiuntive garantite al lavoratore per l’accesso all’anticipazione. In ogni caso, la derogabilità delle casistiche anche per patto individuale implica che l’anticipazione non può ritenersi limitata a fattispecie tassative.
Un altro aspetto si basa sulla funzione del Tfr. Deve ritenersi superato il punto di vista secondo cui il Tfr abbia un ruolo di sostegno al reddito a seguito di cessazione, come fosse una sorta di indennità per coprire la disoccupazione del lavoratore. Tale indicazione, infatti, è superata dalla realtà dei fatti: basti pensare che il Tfr viene erogato anche ai lavoratori che cessano il proprio rapporto non per entrare in uno stato di disoccupazione, ma semplicemente per variare la propria occupazione. Inoltre, il Tfr viene erogato anche ai lavoratori che accedano direttamente al trattamento di NASpI, quest’ultima una specifica erogazione al fine di sostenere il soggetto in stato di disoccupazione. Pertanto, tale argomento non è valido per vincolare eccessivamente il pagamento del Tfr alla cessazione del rapporto, individuando ogni altro patto come pura eccezione.
Stanti questi argomenti, rimane l’autorevole posizione dell’INL, che – nella nota n. 616/2025 – fornisce anche indicazioni agli ispettori sull’irrogazione di atti dispositivi, ove ravvisino condotte di liquidazione mensile. Oltretutto, l’Ispettorato non nega la possibilità di pattuizione alternativa prevista dalla norma, ma opera per limitarne la portata, sottolineando come “la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto una anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile”.
Da questo punto di vista, pur ritenendo valide le obiezioni della tesi “possibilista”, non si può prescindere – nell’operatività – dalle indicazioni che gli ispettori hanno ricevuto, che porterebbero a evidenti criticità in caso di accesso e valutazione di patti simili. Se si optasse, comunque, per procedere a una pattuizione che preveda l’erogazione mensile (o bimestrale o altre cadenze ridotte), anche la ricaduta contributiva e fiscale, sempre dal lato pratico, è da tenersi in considerazione in anticipo: la posizione dell’Ispettorato, unita all’ordinanza di Cassazione citata (seppure con i distinguo operati sopra), invita a considerare tali erogazioni nell’imponibile contributivo. Allo stesso modo, anche l’applicazione della tassazione separata non sembra ragionevole, né consigliabile, in questo caso: un’erogazione in corso di rapporto, senza che questo stravolga l’imponibile fiscale annuo, non avrebbe le motivazioni sottese all’applicazione della tassazione separata.
Soluzioni alternative: il ruolo della previdenza complementare
Tutto quanto sopra appare dettato, nella larga maggioranza dei casi, da una volontà da parte del datore di lavoro di non mantenere nelle proprie casse le somme a titolo di Tfr per lunghi periodi, cosa che potrebbe provocare forti erogazioni in caso di cessazioni di dipendenti con lunga anzianità. Spesso, sono quindi i datori di lavoro a invitare alla conclusione di tali patti, seppure rinunciando alla liquidità dettata dal mantenimento in cassa del Tfr, appunto per evitare esborsi eccessivi.
Una soluzione alternativa, per ottenere un risultato analogo, viene percorsa da un numero sempre maggiore di aziende, poggiandosi sulle possibilità offerte dalla previdenza complementare: anche in questo caso il datore di lavoro compirà versamenti mensili che consentiranno di non mantenere “in cassa” il Tfr, ma in un ambito perfettamente legittimo, che non crea alcuna criticità gestionale. Ovviamente, anche questa è una scelta individuale di ciascun lavoratore, che può liberamente optare per la previdenza complementare o per il mantenimento in azienda del proprio Tfr.
Per incentivare la diffusione di questo strumento, tuttavia, sempre più realtà organizzano momenti formativi e informativi sul tema, coinvolgendo professionisti che possano spiegare alla popolazione dei lavoratori i vantaggi della soluzione. Per altro verso, si registra anche la diffusione di patti migliorativi della contribuzione, stipulati a livello aziendale, con cui il datore di lavoro incrementa la contribuzione già prevista dalla forma di previdenza complementare prescelta per ciascun lavoratore che aderisca.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.