6 Dicembre 2016

Civil law o common law?

di Elena Valcarenghi

 

Leggendo alcuni contributi su riviste di settore per approfondire i casi del quotidiano, i miei pensieri sono tornati agli anni di formazione scolastica e mi sono ricordata che i sistemi giuridici erano storicamente raggruppati in due grandi gruppi: di “Civil law” (nome derivato dal Corpus Iuris Civilis dell’imperatore Giustiniano) e di “Common law” (termine sviluppatosi in Inghilterra in epoca medioevale quando i poteri erano accentrati nel re che inviava i suoi giudici nelle province e poi consacrato nel XVII secolo dal Parlamento).

I Paesi, come l’Italia, appartenenti al gruppo Civil law hanno codici di diritto sostanziale e che regolano gli aspetti procedurali: in questi sistemi il giudice, identificati i fatti, è tenuto ad applicare quanto le norme stabiliscono in proposito. Nei sistemi di Common law, invece, non esistono, di norma, codificazioni, ma il principio fondamentale è il precedente, cioè un caso già risolto, cui il giudice, che in qualche modo costruisce la regola, deve uniformarsi. I sistemi come il nostro, in cui le leggi sono compito del Parlamento e vincolano i giudici, parrebbero assicurate maggior certezza e democraticità, ma nessuna legge può ricomprendere ogni caso concreto, così si creano distorsioni che devono attendere modifiche normative non sempre celeri per essere risolte. Nei sistemi di Common law, al contrario, è consentito un miglior adattamento al caso concreto, perché i precedenti valgono solo se i fatti in causa hanno caratteristiche assimilabili e perché una soluzione più idonea al caso concreto non deve attendere l’operatività del Parlamento, ma può essere espressa dal giudice.

La storia qui impropriamente riassunta sembra però non essere più attuale, almeno in Italia: chi di noi oggi può permettersi di lavorare limitandosi alla conoscenza delle leggi?

Credo nessuno, visto che spesso le norme sono scritte nella sostanza dall’ormai famoso “diritto circolatorio”, al quale peraltro i giudici non sono vincolati, e con maggior peso dalle sentenze dei giudici stessi. Le norme lasciano spazi così ampi di interpretazione da consentire agli organi giudicanti di poter sostenere la loro applicazione pur giungendo a risultati tanto difformi tra loro da richiedere l’intervento di altri giudici, quelli della Cassazione, per definire un percorso quasi certo che è comunque soggetto a continui sviluppi di adattamento all’evolversi degli orientamenti maggioritari. Non da dimenticare poi è la Corte Costituzionale, ove altri giudici decidono sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni. In attesa di tutta la giurisprudenza del caso l’uomo comune e onesto tenta di capire il da farsi.

Questo gioco di ruoli può essere senza dubbio una garanzia di equilibrio fra i singoli poteri, ma è indubbio che in un sistema così complesso ci si possa talvolta sentire inadeguati nel trovare risposte spendibili, semplici e sintetiche alle istanze. Il rapporto col cliente per chi, come i consulenti del lavoro, è chiamato a risolvere problemi e non a crearne, richiede sempre più una formazione e una consapevolezza del sistema che, mentre per il professionista è onere connesso all’esercizio della professione, per il cliente è concetto a digestione lenta. Ci accomuna la difficoltà del necessario e imbarazzante confronto in tempo reale con una tale varietà di norme, documenti di prassi, contributi di dottrina e casi di giurisprudenza che sfuggono di certo al controllo e talvolta anche alla comprensione, almeno del loro senso ultimo.

Tempi beati quelli della scuola: giovinezza, divertimento, scarse responsabilità e risultati pressoché certi a fronte di ore di studio.

Tempi complessi quelli del lavoro: età che avanza, poco tempo per il divertimento, molte responsabilità e risultati incerti, anche con l’impegno.

Un disastro?

No, solo la vita e uno stimolo a creare un nuovo gruppo nella classificazione che ha dato spunto alle riflessione, quello dei Paesi di “Experience law”, cioè quelli in cui la regola è costruita col contributo del lavoro di tutti gli interpreti. Il Legislatore scrive le norme, la dottrina le analizza e le commenta, la prassi tenta di renderle operative, aziende e i consulenti trovano la mediazione tra teoria e pratica (tutto il lavoro già svolto, infatti, non sempre basta), i giudici, con riflessioni a posteriori, riscrivono l’operato di tutti gli altri che poi, forse, si adeguano.

Non trovate che, in fondo, sia un sistema democratico?

 

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