10 Febbraio 2016

Collaborazioni coordinate e continuative: le indicazioni ministeriali

di Roberto Lucarini

 

Con la recente circolare n.3/16 il Ministero del Lavoro è finalmente intervenuto su un tema molto delicato, profondamente innovato a mezzo del DLgs. n.81/15 (codice dei contratti): le nuove norme relative alle collaborazioni coordinate e continuative.

Premettendo, non senza un effetto intimidatorio, che il Ministero scrivente “intende avviare specifiche campagne ispettive nel corso del 2016, in particolare nel settore dei call-center” i tecnici di via Veneto intervengono sul tema delle nuove (o forse vecchie) co.co.co., a mezzo della circolare n.3/16.

Come noto, mediante l’art.52, DLgs. n.81/15, si è assistito al superamento del contratto a progetto, con l’abrogazione degli articoli da 61 a 69-bis, L. n.276/03, e al ritorno alla precedente forma di collaborazione, in forma coordinata e continuativa, ex art.409 c.p.c.. Restano validi, ovviamente, i presupposti di base del tipo contrattuale, ovvero i caratteri della continuità del rapporto di collaborazione – in antitesi all’occasionalità – così come della personalità della prestazione fornita.

Ed è su tale presupposto che il Legislatore della riforma ha voluto innestare una rilevante novità; la c.d. etero-organizzazione. In sostanza, ex art.2, D.Lgs. n.81/15, qualora il rapporto collaborativo si concreti con modalità di esecuzione “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, si applicherà a detti rapporti “la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. Valutando il profilo etimologico, questa organizzazione posta in essere da altri funge da presunzione legale di sussistenza di un diverso rapporto di lavoro, in specie di lavoro subordinato.

È su questo che, a mio parere, la circolare in commento fornisce i punti di maggior chiarimento; erano da chiarire, infatti:

  1. sia gli spazi valutativi che la norma avrebbe potuto concedere in sede ispettiva;
  2. sia la concreta manifestazione delle conseguenze legate a una sussistente etero-organizzazione.

1. Sul primo punto il Ministero afferma che la norma semplifica “di fatto l’attività del personale ispettivo che, in tali ipotesi, potrà limitarsi ad accertare la sussistenza di una etero-organizzazione”. Salta quindi, secondo l’interpretazione ministeriale, ogni riferimento alla c.d. etero-direzione e agli altri indici di subordinazione di ordine giurisprudenziale, potendosi adesso riferirsi soltanto a un indagine mirata su due presupposti, ambedue peraltro contemporaneamente necessari: organizzazione di tempi e luoghi di lavoro da parte del committente.

A ben vedere tutto questo è davvero rivoluzionario, sotto l’aspetto della tenuta giuridica del tipo contrattuale. Prima di tale disposizione, che è entrata peraltro in vigore il 1° gennaio 2016, un’eventuale riqualificazione contrattuale avrebbe dovuto passare attraverso una complessa analisi del rapporto collaborativo corrente, tesa a dimostrare la sussistenza di un’etero-direzione, potere direttivo e disciplinare del committente, ovvero altri caratteri presuntivi sussidiari (orario di lavoro, compenso prestabilito, etc.). Il tutto, comunque, sempre quale presunzione non assoluta, iuris tantum, quindi vincibile con prova contraria. Adesso, invece, basta la prova dell’etero-organizzazione – peraltro a mio parere da fornire in maniera rigorosa – a sparigliare le carte. Ove ciò accadesse, infatti, scatterebbe conseguenzialmente una presunzione assoluta, iuris et de iure, di mancata genuinità dal contratto di collaborazione, con applicazione della disciplina relativa al lavoro subordinato.

Non lo dice il Ministero, ma riterrei che a fronte della nuova presunzione assoluta la vecchia presunzione relativa non sia estinta. È evidente che, in sede ispettiva, verrà dapprima ricercata la via breve dell’etero-organizzazione; non trovandola, tuttavia, rimarrebbe aperta la possibilità riguardante la sussistenza di un’etero-direzione e dei criteri ausiliari.

 

2. Vediamo adesso il secondo aspetto da chiarire. La norma, infatti, non parla di riqualificazione del contratto originario, che deve quindi restare formalmente di natura collaborativa. Nella sostanza, tuttavia, saranno da applicare le regole del lavoro dipendente, ossia, come chiarito dal Ministero, “l’applicazione di qualsivoglia istituto, legale o contrattuale (ad es. trattamento retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso i licenziamenti illegittimi ecc)”.

Tutto questo, è facile immaginarlo, procurerà un terremoto di tipo amministrativo: differente trattamento contributivo, con posizione tutta da ricostruire; ricadute sul piano fiscale; mancata indicazione dell’orario di lavoro (non necessaria, né opportuna, nel caso dei collaboratori); sanzione per errata comunicazione di instaurazione rapporto (Unilav) al centro per l’impiego; mancata consegna della dichiarazione di assunzione.

Con l’intervento amministrativo in esame, il Ministero tratta poi altri due argomenti correlati.

Per quanto riguarda le fattispecie che fuoriescono, ex lege, dalla presunzione ex art.2, viene riprodotto l’elenco normativo (collaborazioni: previste da Ccnl; prestate nell’ambito di professione regolamentata; componenti di organi societari; rese verso società sportive affiliate alle federazioni), non senza specificare, infine, che sia pur astrattamente anche in tali situazioni non si può escludere, in assoluto, la diversa qualificazione in lavoro subordinato.

Qualche parola anche sul tema delle c.d. stabilizzazioni (ex art.54, D.Lgs n.81/15). Con tale procedura, esperibile dal 1° gennaio 2016, il datore di lavoro può procedere alla regolarizzazione di un precedente rapporto, ancora sussistente o meno, di collaborazione, a progetto, ovvero di lavoro autonomo con partita Iva, non genuini; vengono infatti estinti gli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali. Una sanatoria a tutto tondo, figlia della nuova impostazione giuridica, che necessita tuttavia di tre presupposti:

  • assunzione del lavoratore con contratto a tempo indeterminato;
  • sottoscrizione, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, di un atto di conciliazione in una delle sedi di cui all’art.2113, co.4, cod.civ. o avanti alle commissioni di certificazione;
  • nei dodici mesi successivi alla suddetta assunzione il datore di lavoro non deve recedere dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Tutto questo, ovviamente, non potrà essere effettuato una volta che abbia avuto inizio un accesso ispettivo.

Cambia il mercato del lavoro, dallo stralcio degli articoli della Legge Biagi, verso una forma di collaborazione che già preesisteva. Cambierà però, e su questo occorre fare molta attenzione, il modo di valutazione in sede ispettiva. Inutile nasconderci che, con le nuove regole, il contratto di collaborazione appare certamente più debole.