11 Giugno 2020

Commissariamento di UBER: non demonizziamo tutta la Gig economy

di Evangelista Basile

Con decreto n. 9/2020, il Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Uber Italy Srl, finalizzata ad esaminare i rapporti esistenti con le altre aziende del gruppo Uber, con riguardo alla gestione dei c.d. riders, allo scopo di verificare se esistano altre forme di sfruttamento di lavoratori esterni.

Prima di commentare la decisione del Tribunale, occorre fare due doverose premesse. Innanzitutto, si tratta di un provvedimento cautelare emesso in assenza di contraddittorio, che, com’è accaduto in passato, potrebbe non essere seguito da alcuna condanna penale. In secondo luogo, il presente commento non potrà che essere basato esclusivamente sul contenuto del decreto, non avendo avuto la possibilità di esaminare tutte le carte del procedimento.

Dalle intercettazioni riportate nel provvedimento emerge una realtà inquietante fatta di minacce, penali punitive, sospensioni, mancati versamenti di imposte, mance trattenute e, più in generale, di condizioni di lavoro degradanti. Per i giudici di Milano, Uberavrebbe sistematicamente procacciato – tramite una società di intermediazione di manodopera (la Flash Road City) – migranti provenienti da zone di guerra e di povertà alimentare, sfruttando il loro stato di bisogno.

Non solo. Il Tribunale ha ipotizzato anche che la società olandese Uber Portier avrebbe avuto una stabile organizzazione in Italia, proprio tramite i dipendenti di Uber Italy Srl, il che comporterebbe anche inevitabili conseguenze sotto un profilo fiscale.

Dalla lettura del decreto e, in particolare, delle finalità sottese all’amministrazione giudiziaria (ossia approfondire i rapporti con le altre società del gruppo Uber), si ha la sensazione che i giudici milanesi abbiano voluto adottare un provvedimento così marcatamente “sensazionalistico” alla luce dei numerosi (potenziali) profili di illiceità delle condotte, connessi sia alla gestione dei lavoratori sia alla struttura aziendale.

Del resto, con riferimento alla gestione dei rapporti di lavoro, se taluni comportamenti si pongono in contrasto – non solo con le caratteristiche del lavoro autonomo – ma anche con i più basilari principi del lavoro subordinato, è altrettanto vero che il corrispettivo di 3 euro netti a consegna, individuato da molti come la vera pietra dello scandalo, non può di per sé inquadrare la vicenda nell’alveo dello sfruttamento dei lavoratori e, tantomeno, del caporalato. Basti pensare che taluni Ccnl (stipulati per accontentare le esigenze della Pubblica Amministrazione ai tempi di Expo) prevedono paghe mensili di 1.000 lordi, per circa 6 euro lordi all’ora.

In quest’ottica, le modalità di gestione dei c.d. riders – se epurate da molteplici condotte contestate a Uber (quali le minacce, i mancati versamenti delle imposte e dei contributi, l’interposizione illecita di manodopera, le trattenute delle mance etc.) – non sono affatto incompatibili con il nostro sistema giuslavoristico e garantiscono, al contrario, l’accesso al mondo del lavoro anche al personale meno qualificato e più portato a rivolgersi all’assistenzialismo statale. In questo senso, il provvedimento adottato contro Uber non dev’essere utilizzato come strumento per demonizzare il mondo della Gig Economy, atteso che – diversamente procedendo –, se in un primo momento i soggetti più penalizzati sarebbero sicuramente le aziende, sul lungo periodo le conseguenze più gravi si ripercuoterebbero proprio sui prestatori di lavoro.

Spetterà, dunque, al tempo chiarire se l’indagine milanese sfocerà in una condanna penale e, inoltre, se le condotte contestate a Uber Italy siano state tenute solo dalla galassia Uber o anche da altre aziende che operano nel medesimo settore. Nel frattempo, la speranza è che si applichi a tutte le parti coinvolte e, soprattutto, a quelle estranee alla vicenda, il principio di non colpevolezza sino a condanna definitiva, sancito dall’articolo 27, comma 2, Costituzione.

Al più, in attesa della decisione definitiva, per ridurre al minimo il rischio che simili (ipotetiche) condotte possano ripetersi in futuro, il Legislatore potrebbe intervenire – in modo serio – per regolare meglio il mondo della Gig Economy, utilizzando (ad esempio) lo strumento dei tanto vituperati voucher, che, in passato, ha ridotto sensibilmente il lavoro nero tra i collaboratori domestici e regolato altre particolari forme di attività lavorativa (si pensi agli steward allo stadio).

 

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