8 Maggio 2019

I dolori del giovane reddito di cittadinanza

di Evangelista BasileRosibetti Rubino

Lo scorso 30 marzo è entrata in vigore la L. 26/2019, di conversione del D.L. 4/2019, che ha istituito il c.d. reddito di cittadinanza. Terminologia impropria, il reddito si configura più come un sussidio di disoccupazione che come reale “reddito di base”, oscillando fra politiche attive e passive del lavoro in un impianto le cui fondamenta, però, a seguito del fallimento del referendum del 2014, sono particolarmente instabili e i cui rischi iniziano a vedersi prima ancora della concreta realizzazione della misura di sostegno stessa.

 

La vera storia del reddito di cittadinanza

Il concetto alla base del reddito di cittadinanza è storia piuttosto vecchia: il c.d. basic income vede le proprie radici in antichissimi (e ideali) sistemi di protezione sociale (si pensi a Thomas More in “Utopia”, che nel 1516 immagina un’isola in cui i mezzi di sussistenza sono garantiti a ciascun abitante senza dover dipendere da un lavoro, o a Thomas Paine nel 1795 che, con “La giustizia agraria”, teorizza un fondo alimentato dalla tassazione fondiaria da distribuirsi equamente fra la popolazione), che hanno trovato poi riconoscimento nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali dell’ONU del 1966 ad oggi vigente e ratificata da quasi tutti i Paesi del mondo, la quale afferma il diritto alla “libertà dalla fame” e dunque a “una alimentazione, alloggio e vestiario adeguati” (articolo 11).

Tale concetto è stato poi ripreso e riproposto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 34:

1. L’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali.

2. Ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.

3. Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”.

Nei secoli, quindi, il reddito di cittadinanza ha trovato le più diverse teorizzazioni da parte di padri tanto conservatori quanto progressisti, il cui minimo comune denominatore è la definizione stessa dell’istituto, ovvero “un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite”[1].

Gli elementi essenziali del basic income, quindi, sono:

  • l’erogazione periodica di una somma di denaro;
  • il finanziamento tramite tassazione generale
  • unico requisito è la cittadinanza (o in alcune teorizzazioni, la residenza nel lungo periodo).

In questo senso, come è del tutto evidente, il reddito di cittadinanza appena entrato in vigore è – come vedremo infra – in realtà un reddito minimo garantito, in quanto non universale (verrebbe versato solo a disoccupati, inoccupati e comunque sulla base del reddito dichiarato), non incondizionato (ci sono una serie di obblighi, quali iscriversi a un Centro per l’impiego e dare la disponibilità a svolgere lavori di pubblica utilità – il che lo trasformerebbe, per il tramite dell’assegno di ricollocazione, in una politica attiva del lavoro) e non di tipo individuale (è legato al proprio status familiare).

Occorre sottolineare che le ipotesi di reddito di cittadinanza sono poi costantemente naufragate, a causa delle fondate critiche che lo vedono come uno strumento che potrebbe, in verità, condurre allo smantellamento del welfare state (da cui presumibilmente si attingerebbe per finanziarlo) e dalla perdita del lavoro quale perno di appartenenza alla comunità, creando quindi una società con fili isolati, oltre che quale metodo di creazione del valore, abbassando così le possibilità di mobilità sociale che sono il primo vero metodo di redistribuzione della ricchezza.

 

Il reddito di cittadinanza in Italia

L’articolo 1, D.L. 4/2019, definisce il reddito di cittadinanza: “È istituito, a decorrere dal mese di aprile 2019, il Reddito di cittadinanza, di seguito denominato «Rdc», quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il Rdc costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili”.

Il reddito è dunque definito quale politica attiva del lavoro, i cui beneficiari sono invece quelli previsti all’articolo 2:

Il Rdc è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti:

a) con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio deve essere cumulativamente:

  • in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, come individuato dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;

b) con riferimento a requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo familiare deve possedere:

  • un valore dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, inferiore a 9.360 euro; nel caso di nuclei familiari con minorenni, l’ISEE è calcolato ai sensi dell’articolo 7 del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
  • un valore del patrimonio immobiliare, in Italia e all’estero, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000;
  • un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente in condizione di disabilità e di euro 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite  a fini ISEE, presente nel nucleo;
  • un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia è incrementata ad euro 7.560 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia è incrementata ad euro 9.360 nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica (DSU) ai fini ISEE;

c) con riferimento al godimento di beni durevoli:

  • nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente;
  • nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171.

c-bis) per il richiedente il beneficio, la mancata sottoposizione a misura  cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3”.

Come è evidente, quindi, lungi dal configurarsi quale reddito di base, il reddito di cittadinanza italiano è una sorta di reddito minimo garantito, fra l’altro particolarmente stringente nelle condizioni di accesso al beneficio.

Oltre alle condizioni personali, l’articolo 4, D.L. 4/2019 stabilisce:

1. L’erogazione del beneficio è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, nelle modalità di cui al presente articolo, nonché all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale […].

8. I beneficiari di cui al comma 7 sono tenuti a:

a) collaborare alla definizione del Patto per il lavoro;

b) accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel Patto per il lavoro e, in particolare:

  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale di cui all’articolo 6, comma 1, anche per il tramite di portali regionali, se presenti, e consultarla quotidianamente quale supporto nella ricerca attiva del lavoro;
  • svolgere ricerca attiva del lavoro, verificando la presenza di nuove offerte di lavoro, secondo le ulteriori modalità definite nel Patto per il lavoro, che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;
  • accettare di essere avviato alle attività individuate nel Patto per il lavoro;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 150 del 2015, come integrato al comma 9; in caso di rinnovo del beneficio ai sensi dell’articolo 3, comma 6, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua ai sensi del comma 9.

9. La congruità dell’offerta di lavoro di cui al comma 8 è definita anche con riferimento alla durata di fruizione del beneficio del Rdc e al numero di offerte rifiutate. In particolare, è definita congrua un’offerta dalle caratteristiche seguenti:

a) nei primi dodici mesi di fruizione del beneficio, è congrua un’offerta entro cento chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile nel limite temporale massimo di cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta, ovvero entro duecentocinquanta chilometri di distanza se si tratta di seconda offerta, ovvero, fermo quanto previsto alla lettera d), ovunque collocata nel territorio italiano se si tratta di terza offerta;

b) decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio, è congrua un’offerta entro duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario nel caso si tratti di prima o seconda offerta, ovvero, fermo quanto previsto alla lettera d), ovunque collocata nel territorio italiano se si tratta di terza offerta;

c) in caso di rinnovo del beneficio ai sensi dell’articolo 3, comma 6, fermo quanto previsto alla lettera d), è congrua un’offerta ovunque sia collocata nel territorio italiano anche nel caso si tratti di prima offerta;

d) esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità, come definita ai fini dell’ISEE, non operano le previsioni di cui alle lettere b) e c) e, in deroga alle previsioni di cui alla lettera a) relative alle offerte successive alla prima, indipendentemente dal periodo di fruizione del beneficio, l’offerta è congrua se non eccede la distanza di cento chilometri dalla residenza del beneficiario.

d-bis) esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti figli minori, anche qualora i genitori siano legalmente separati, non operano le previsioni di cui alla lettera c) e, in deroga alle previsioni di cui alle lettere a) e b) , con esclusivo riferimento alla terza offerta, l’offerta è congrua se non eccede la distanza di duecentocinquanta chilometri dalla residenza del beneficiario. Le previsioni di cui alla presente lettera operano esclusivamente nei primi ventiquattro mesi dall’inizio della fruizione del beneficio, anche in caso di rinnovo dello stesso”.

Queste, quindi, le caratteristiche del reddito di cittadinanza, le cui condizioni previste al comma 8 ricalcano, in un certo qual modo, quelle che erano previste per la corresponsione della NASpI dal Jobs Act, il quale prevedeva la possibilità di perdita del sussidio di disoccupazione in caso di rifiuto di offerte di lavoro “congrue”.

Ma il concetto di congruità dell’offerta non è l’unica cosa mutuata dalla disciplina della NASpI (il che fa trapelare, per certi versi, l’attitudine a sussidio condizionato più che a politica attiva del lavoro): secondo l’articolo 9, infatti, il beneficiario riceve dall’Anpal l’assegno di ricollocazione previsto proprio dal D.Lgs. 150/2015.

L’attuazione della normativa, quindi, ancora una volta (come era stato con il D.Lgs. 150/2015), si basa su di un’implementazione dei Centri per l’impiego, che, però, è rimasta priva di concretizzazione.

Il reddito di cittadinanza, infatti, sarebbe già dovuto partire, ma il sistema non è evidentemente ancora pronto (d’altronde non si poteva pensare lo sarebbe stato in così pochi mesi, a fronte di anni di tentativi di riforma dei Centri per l’impiego) e dei navigator, gli operatori dei Centri per l’impiego assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ancora nessuna traccia.

Ma ciò che caratterizza, inoltre, il reddito di cittadinanza è anche la modalità di spesa del beneficio: l’accredito è su di un’apposita card prepagata, con la quale potranno effettuarsi i pagamenti. Il prelievo mensile, infatti, è limitato a 100 euro (che aumentano con il variare del nucleo familiare).

Ma di particolare c’è anche che non tutto può essere acquistato con il reddito, il Legislatore, infatti, ha escluso quelle definite “spese immorali”, quali il gioco d’azzardo e gli acquisiti sui siti di e-commerce (Amazon, Zalando, etc.). Insomma, la mano di Smith non sembra più così invisibile.

 

Quali i risvolti giuslavoristici e quali le conclusioni che possiamo trarre?

Sebbene potrebbe sembrare che un istituto quale quello fin qui descritto non abbia degli impatti sui rapporti di lavoro in senso stretto, in realtà così non è: in primo luogo, per le stesse previsioni di legge, in secondo luogo, per i risvolti che l’istituto crea nelle dinamiche del mercato del lavoro.

Da una parte, infatti, l’articolo 8, D.L. 4/2019, istituisce un importante incentivo per le aziende:

1. Al datore di lavoro privato che comunica alla piattaforma digitale dedicata al Rdc presso l’ANPAL le disponibilità dei posti vacanti, e che su tali posti assuma a tempo pieno e indeterminato, anche mediante contratto di apprendistato, soggetti beneficiari di Rdc, anche attraverso l’attività svolta da un soggetto accreditato di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, è riconosciuto, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni previdenziali, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite dell’importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore all’atto dell’assunzione, per un periodo pari alla differenza tra 18 mensilità  e le mensilità già godute dal beneficiario stesso e, comunque, per un importo non superiore a 780 euro mensili e per un periodo non inferiore a 5 mensilità. In caso di rinnovo ai sensi dell’articolo 3, comma 6, l’esonero è concesso nella misura fissa di 5 mensilità. L’importo massimo di beneficio mensile non può comunque eccedere l’ammontare totale dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore assunto per le mensilità incentivate, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL. Nel caso di licenziamento del beneficiario di Rdc effettuato nei trentasei mesi successivi all’assunzione, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito maggiorato delle sanzioni civili di cui all’articolo 116, comma 8, lettera a), della legge 23 dicembre 2000, n. 388, salvo che il licenziamento avvenga per giusta causa o per giustificato motivo. Il datore di lavoro, contestualmente all’assunzione del beneficiario di Rdc stipula, presso il centro per l’impiego, ove necessario, un patto di formazione, con il quale garantisce al beneficiario un percorso formativo o di riqualificazione professionale […] 5. Il diritto alla fruizione degli incentivi di cui al presente articolo è subordinato al rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Le medesime agevolazioni non spettano ai datori di lavoro che non siano in regola con gli obblighi di assunzione previsti dall’articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68, fatta salva l’ipotesi di assunzione di beneficiario di Reddito di cittadinanza iscritto alle liste di cui alla medesima legge”.

Dall’altra, il reddito di cittadinanza può rendere meno appetibili proposte di lavoro che, specialmente in alcune Regioni dell’Italia meridionale, prevedono retribuzioni inferiori al sussidio stesso (o ancor più banalmente, si pensi a lavori part-time che agevolmente non raggiungono la soglia prevista dal reddito di cittadinanza).

Il risultato, oltre a un possibile aumento del lavoro sommerso – con tutte le criticità in tema di sicurezza che la cosa porta con sé – è anche un impatto diretto in tema di offerte conciliative, durante le quali perderà di appeal proprio l’offerta di un ulteriore posto di lavoro in caso di ricorso per licenziamento illegittimo, il che è quantomeno paradossale, se si considera che la domanda principale in un giudizio è spesso quella reintegratoria, a cui adesso il lavoratore potrebbe avere molto meno interesse ad ambire.

 

[1] Così P. Van Parijs e Y. Vanderborght, “Il reddito minimo universale”, Università Bocconi Editore, 2013.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

 

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