8 Ottobre 2015

I nuovi confini della disciplina del lavoro autonomo e subordinato

di Evangelista Basile

 

La linea di confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato nell’ordinamento giuslavoristico italiano è sempre stata decisiva, per una ragione molto semplice: la quasi totalità delle tutele riservate ai lavoratori dal nostro Legislatore sono dedicate al lavoro subordinato. Trovarsi dentro il “perimetro” della subordinazione significava – e significa ancora oggi – per un lavoratore poter accedere a tutele molto sofisticate e protettive, mentre star al di fuori dalla “cittadella” del lavoro protetto – quello subordinato – vuol dire esserne quasi integralmente escluso.

Adesso, con il D.Lgs. n.81/15 – il c.d. Codice dei contratti – cambiano ancora una volta le collaborazioni autonome, con una nuova definizione del confine tra disciplina del lavoro subordinato e autonomo.

La finalità è evidente: estendere il campo delle tutele del lavoro subordinato oltre il campo del lavoro etero-diretto (dipendente), fino a comprendere anche le collaborazioni continuative etero-organizzate, pur se genuinamente autonome.

Scompare invece il contratto a progetto e l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro.

Inutile sottolineare che l’elemento più critico è quello dell’etero-organizzazione, perché segna la nuova linea di confine tra la disciplina del lavoro subordinato e autonomo. E trattandosi di una nozione nuova, lasciata all’interpretazione dei giudici del lavoro, è inevitabile che creerà incertezze e sarà foriera di contenzioso; anche perché dall’interpretazione di tale nozione dipenderà l’estensione – maggiore o minore – del nuovo campo di applicazione del lavoro subordinato.

In prima battuta, a caldo, è possibile immaginare che la nozione di etero-organizzazione venga interpretata dalla giurisprudenza come una forma di subordinazione “attenuata”, in cui non sarà necessario – per applicare la disciplina del lavoro subordinato – accertare l’esercizio del potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro, bensì sufficiente la prova che il committente organizza il lavoro del collaboratore. Se tale interpretazione dovesse trovare conferma in giurisprudenza, si applicherebbero le tutele del lavoro subordinato anche a quei rapporti di collaborazione continuativa genuinamente autonomi, ma in cui il committente inserisce il collaboratore nella struttura dell’azienda in modo talmente organico – e coordinato – da determinare tempi e luoghi dell’esecuzione dell’opera.