14 Maggio 2020

Il COVID contagia lo ius variandi

di Riccardo Girotto

Il tema della ripresa incorpora criticità pressanti per le aziende, che si cimenteranno con aspetti organizzativi e gestionali del tutto nuovi, rischiando di generare un vero effetto funnel. Il bilanciamento tra i diritti soggettivi del singolo dipendente, in questo particolare caso pienamente aderenti a quelli della collettività, e la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore, necessariamente costretta tra rigorose prescrizioni, presentano uno scenario estremamente delicato, peraltro privo di possibili certificazioni preventive.

Dalla paventata forma di infortunio illustrato nella circolare Inail n. 13/2020, alle rilevazioni termiche poste all’attenzione del Garante privacy, il massimo scrupolo potrebbe produrre un significativo contraccolpo sulla produttività, pertanto il focus dei prossimi giorni dovrà concentrarsi sul warm up della ripartenza.

Innegabile come la riorganizzazione richieda una seria ricognizione in tema di ius variandi, che, pur legittimato dal nostro codice civile all’articolo 2103, comma 2, possa sollevare il datore di lavoro da possibili future rivendicazioni di sorta. Si pensi, ad esempio, alla riconversione del ristorante votato all’accoglienza, destinato a implementare i servizi di delivery o asporto per recuperare quanto ceduto in termini di spazio e reddito a causa del COVID-19, dove lavoratori inquadrati come camerieri potrebbero doversi dedicare alle attività di consegna. Il riferimento del Ccnl per i Pubblici esercizi assorbe le attività di consegna al V livello, potenzialmente demansionante per camerieri inquadrati a livelli superiori.

Allo stesso modo, l’azienda che intenderà contenere le visite ai clienti, implementando le vendite da remoto e limitando gli accessi al cliente alle mere consegne, potrebbe rivedere la figura dell’impiegato commerciale, assegnando, quindi, compiti diversi con uno scroll dal 3° al 4° livello del Ccnl Terziario. Gli esempi possono essere infiniti. Ma potranno emergere, altresì, variazioni in aumento dell’inquadramento, legate a nuove responsabilità connesse all’epidemia, impattanti sul comma 7 del citato disposto, con risvolti evidenti sul piano retributivo.

L’articolo 2103, nella sua attuale stesura, oltre a perimetrare la dinamica dell’azione datoriale, proceduralizza precisi obblighi formativi, pur non determinanti con riferimento alla legittimità della variazione, ma verso i quali, in stretta connessione con le questioni evidenziate in premessa e alla luce dei potenziali controlli che seguiranno, dovrà caldeggiarsi il totale rispetto. Il tempo per la soddisfazione di questi obblighi, peraltro, pare tiranno in questi ultimi giorni che ci separano dalla ripartenza.

Laddove l’azienda miri a tutele ancora maggiori, la diluizione dei vincoli dei Ccnl e la soddisfazione degli obblighi formativi potranno certamente trovare residenza in una seria concertazione di secondo livello nelle aziende dimensionate o nel territorio, a favore delle piccole realtà che maggiormente soffriranno la rivoluzione strutturale e organizzativa. La negoziazione degli aspetti utili alla ripartenza viene caldeggiata, altresì, dall’incipit del Governo posto nel protocollo appena approvato, conferendo quindi alle intese valore di ulteriore schermo protettivo.

Tutto questo, chiaramente, non si limiterà alla gestione della fase 2, ma dovrà stimolare la transizione verso il nuovo modo di lavorare, che non potrà prescindere da un ripensamento del diritto del lavoro ai tempi del COVID tramite una seria revisione degli inquadramenti, sensibilizzando le parti coinvolte alla rapida definizione del nuovo modello.

 

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