22 Settembre 2015

Il cubismo legislativo sul potere di controllo del datore di lavoro

di Alessandro Rapisarda

L’ordinamento del lavoro italiano a volte supera i confini di quelle arti pittoriche che hanno segnato la distanza tra la visione reale e la visione della realtà artistica. Gli interpreti riescono poi a superare anche l’immaginario artistico, proiettando prospettive applicative indefinite.

Basti pensare che le norme, che sino all’ingresso delle modifiche introdotte dal Jobs Act disegnano i confini del potere di controllo sul lavoratore, sono in contrasto tra loro per la natura della tutela e per genesi storica.

Come in un celebre romanzo di Jules Verne, orientarsi al “centro” di queste norme non è facile, soprattutto quando le conseguenze sanzionatorie sono interpretate diversamente dalla giurisprudenza penale rispetto a quella civile e ancora diversamente dal Garante Privacy. Le norme qui richiamate sono la L. n.300/70, alias Statuto dei Lavoratori, e il D.Lgs. n.196/03 (Codice Privacy). Queste leggi nascono in epoche differenti, con un’eredità storica notevolmente diversa.

Basti pensare che lo Statuto dei Lavoratori viene scritto in un momento della storia italiana di profondo scontro sociale e d’interesse, non più rinvenibile nei giorni nostri. Mentre il Codice Privacy ha origine in Europa con l’intento di individuare e poi tutelare un diritto di terza generazione, quello della riservatezza di tutti i cittadini, indipendentemente dalle obbligazioni contrattuali contratte fra loro.

La differenza tra queste norme si evince anche dagli organi amministrativi di tutela preposti; non a caso in materia di privacy l’organo competente è un’authority.

Il Legislatore ha già provato a dipanare la distonia legislativa, tentando di allargare le anacronistiche strette maglie dell’art.4 dello Statuto, inserendo “il controllo del lavoratore” tra le materie regolabili con accordi di prossimità ex art.8, D.L. n.138/11. Il decreto che dovrà dare attuazione alla legge delega prevede sostanzialmente la revisione dell’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, con il fine di adeguare la disciplina all’evoluzione tecnologica, pur nel rispetto delle disposizioni in materia di privacy.

Il Garante, che ad aprile 2015 ha emanato il nuovo vademecum per il trattamento dei dati dei dipendenti, ha già chiesto al Governo di porre la massima attenzione nello scrivere il testo, con specifico riferimento alle modalità di trattamento dei dati. L’intento dichiarato dal Ministero del Lavoro nella stesura del decreto è stato quello di passare a una norma chiara, che disciplini espressamente anche l’utilizzo degli strumenti di lavoro, oltre che gli impianti fissi di videosorveglianza, pur sempre nel rispetto del Codice della Privacy. Si rinviene poi la possibilità di ammettere, come prova di una possibile violazione disciplinare, le informazioni raccolte con i sistemi di controllo, purché sia stato rispettato anche l’obbligo di informazione preventiva e congrua ai lavoratori sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli stessi.

La norma non prevede l’obbligo di accordo della Rsa/Rsu o autorizzazione preventiva della DTL competente per gli strumenti utilizzati dal lavoratore al fine di rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle uscite. Tuttavia, qualora su tali strumenti venissero installate applicazioni che permettano anche il controllo dei lavoratori, gli stessi rientrerebbero nell’obbligo generale dell’accordo/autorizzazione.

Resta il dubbio che questa modifica risolva le precedenti distonie e che, anzi, non apra ulteriori fronti di contenzioso.

 

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