La pignorabilità del Tfr
di Roberto Lucarini Scarica in PDF
È purtroppo noto lo strumento del pignoramento presso terzi, posto a tutela di un creditore a fronte di un debito inevaso, il quale può quindi attivarsi, con apposita procedura, al fine di operare un pignoramento sull’eventuale stipendio del debitore. Tale istituto si estende, tuttavia, fino al possibile pignoramento del Tfr.
Proposta nel nostro ordinamento a mezzo del D.P.R. 180/1950, tale procedura, in una sorta di triangolazione, viene dunque a interessare il creditore, il lavoratore, quale debitore, e il datore di lavoro, in qualità di terzo pignorato. Si tratta di una disciplina assai articolata, che, nel muoversi come detto a tutela del creditore, intende anche proteggere in qualche modo il lavoratore debitore, fornendo infatti degli specifici limiti al pignoramento dello stipendio (1/3 o 1/5). Tutto questo necessità di un’apposita procedura giudiziale e anche dell’intervento del datore di lavoro, il quale sarà chiamato a fornire una propria dichiarazione attestante la sussistenza del rapporto di lavoro e alcuni parametri retributivi.
Andando al cuore di queste note, si evidenzia come, a mente del comma 3 ss., dell’articolo 545, c.p.c., viene indicato che potranno essere pignorate “le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento”. Proprio quanto disposto dalle ultime parole del testo di legge, dunque, vi fa rientrare a pieno titolo il Tfr.
Sul piano procedurale si tratta, in sostanza, di un’unica azione, dato che nell’atto di pignoramento il creditore avanza la sua pretesa tanto sul mensile dovuto al lavoratore, stante il sinallagma contrattuale, quanto sul Tfr maturato nel corso del rapporto. Si parte dal titolo esecutivo (ad esempio, sentenza – decreto ingiuntivo esecutivo – cartella esattoriale dell’Agenzia delle entrate-Riscossione), per giungere, scaduti i termini di pagamento, al vero e proprio procedimento di riscossione coattiva, ovvero al pignoramento presso terzi.
Una distinzione di fondo, tuttavia, si rende necessaria. Mentre lo stipendio è esigibile dal lavoratore ordinariamente con cadenza mensile, il Tfr è, di fatto, un credito certo e determinato nel suo ammontare, ma non esigibile in corso di rapporto, divenendo tale solo all’estinzione di quest’ultimo, qualunque ne sia la causa. Da ciò deriva che il vincolo scaturente dal pignoramento colpisce il terzo pignorato (datore di lavoro) in funzione di custode delle somme ancora indisponibili, tanto da gravarlo dell’onere di non distrarle in quanto poste a garanzia e tutela del creditore. Non si avrà pertanto, per logica conseguenza, un’immediata disponibilità di trattenuta e riversamento del Tfr da parte del datore di lavoro, dovendosi operare tutto ciò solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, allorquando tale credito diverrà disponibile per il lavoratore.
La normativa, come già indicato, detta, tuttavia, dei precisi limiti al pignoramento del Tfr; limiti che peraltro si conformano a quelli relativi al pignoramento dello stipendio mensile.
Su un aspetto peculiare e operativo di tale vicenda ci soccorre l’articolo 545, comma 8, c.p.c., laddove dispone circa 2 distinte situazioni, peraltro estendibili anche allo stipendio mensile, che si distinguono per il fatto che l’importo del Tfr sia già stato erogato o meno al lavoratore.
Queste, in breve, le regole nelle 2 ipotesi:
- se il pagamento del Tfr, trasferito sul conto bancario del debitore, risulta precedente al pignoramento del Tfr, quest’ultimo è pignorabile per la somma eccedente il triplo dell’assegno sociale. Il creditore, in tale situazione, dovrà tuttavia rifarsi direttamente sul conto corrente del debitore;
- se, al contrario, il pagamento del Tfr, con versamento sul conto bancario del debitore, è successivo al pignoramento del Tfr, quest’ultimo risulta pignorabile nel limite di un quinto o nella misura indicata dal Tribunale nel caso dei crediti di natura alimentare.