1 Ottobre 2015

La riforma dei controlli a distanza

di Evangelista Basile

 

In relazione ai controlli a distanza, l’art.23, D.Lgs. n.151/15, ha riscritto l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, senza rivoluzionare completamente la materia, ma riordinandola e rispondendo, a mio avviso con ragionevolezza ed equilibrio, ad alcuni problemi che la vecchia disciplina aveva lasciato irrisolti.

Non mancano comunque aspetti ancora poco chiari, che non potrebbero generare contenzioso e che con maggior attenzione – e una miglior scrittura del testo di legge – forse potevano essere evitati.

Gli aspetti positivi della novella sono almeno tre.

In primo luogo, è stato chiarito che gli strumenti da cui può derivare anche un controllo a distanza dei lavoratori possono essere impiegati anche per esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, non solo per la tutela del patrimonio aziendale. Serve sempre, ovviamente, l’accordo con le rappresentanze sindacali – eventualmente anche solo a livello nazionale, se l’impresa ha unità produttive distribuite su più province o regioni – o, in difetto, l’autorizzazione della DTL (co.1).

In secondo luogo, è stata correttamente esclusa la necessità dell’accordo sindacale o dell’autorizzazione della DTL per gli strumenti utilizzati dal dipendente per rendere la prestazione lavorativa e per quelli di registrazione degli accessi e delle presenze (co.2). Il che significa che l’impresa potrà assegnare a un dipendente un PC, un tablet, un telefono cellulare e così via (se utili per lavorare) e potrà anche controllare – a posteriori – che tali strumenti vengano utilizzati nel rispetto delle disposizioni aziendali, senza per questo dover ottenere il previo consenso di altri.

Infine, è stato chiarito che le informazioni raccolte a seguito dell’uso di tali strumenti – nel rispetto di quanto sopra detto – potranno essere utilizzate “per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, quindi anche disciplinari. Ciò a condizione che:

  1. i lavoratori vengano informati sulle modalità d’uso degli strumenti e dei controlli;

  2. vengano rispettate le norme del Codice della privacy (comma 3).

Quanto alle criticità, ne segnalo almeno due.

Anzitutto, sorgeranno non poche discussioni sulla nozione di “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, esclusi dal necessario consenso delle rappresentanze sindacali o della DTL. Infatti, ci possono essere dei casi in cui lo strumento assegnato al lavoratore è solo in parte necessario per rendere la prestazione: si immagini un particolare software (magari in grado di ricostruire gli accessi a internet) installato sul PC assegnato al dipendente. In questi casi, prudenzialmente, sarà meglio che l’impresa ottenga l’accordo sindacale o l’autorizzazione della DTL.

Altro aspetto delicato della novella è il richiamo generico di cui al co.3 al rispetto del Codice della privacy, quale condizione per l’utilizzo – a qualunque fine – delle informazioni acquisite tramite i controlli (legittimi). È ragionevole che – nel contemperare gli interessi aziendali e di riservatezza dei dipendenti – ai secondi venga data informazione sia sulle modalità di uso degli strumenti di controllo sia sulle modalità con cui detti controlli verranno effettuati dal datore di lavoro. Per contro, il rinvio generico al Codice delle privacy temo possa generare incertezze e rigidità, anche alla luce dell’atteggiamento mostrato nel corso di questi ultimi anni dal Garante nelle decisioni che attenevano alla riservatezza nei luoghi di lavoro.

 

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