25 Giugno 2025

I lavoratori sportivi minori di età

di Lina Musumarra Scarica in PDF

Il contesto normativo relativo al lavoro minorile è particolarmente articolato, comprendendo disposizioni di livello internazionale, eurounitario e nazionale, oltre a specifici riferimenti nella Costituzione. La disciplina attualmente vigente in materia è dettata dalla Legge n. 977/1967, come novellata dal D.Lgs. n. 345/1999, di attuazione della Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro e dalla Legge n. 296/2006, per la quale l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 16 anni. In ambito sportivo, con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 36/2021 anche i minorenni possono svolgere attività lavorative nel settore dilettantistico in qualità di atleti o collaboratori con ruoli tecnici, didattici o gestionali, nel rispetto, da parte del datore di lavoro, degli obblighi e degli adempimenti prescritti dalla normativa in esame, al fine di tutelare primariamente l’integrità psico-fisica dei medesimi.

 

Premessa

Il D.Lgs. n. 36/2021, all’art. 33, comma 6, nell’introdurre disposizioni specifiche a tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva[1], ha operato un rinvio espresso alla disciplina contenuta nella Legge n. 977/1967 sull’impiego dei minori in attività lavorative di carattere sportivo, per le quali il datore di lavoro deve rispettare gli obblighi e gli adempimenti prescritti al fine di garantire condizioni di lavoro adatte alla loro età[2].

In ambito internazionale, in tema di lavoro minorile si è soliti distinguere fra “child labour” e “child work”, intendendo, con la prima espressione, il lavoro “sfruttato”, svolto solitamente dai minori all’esterno del nucleo familiare con modalità tali da impedire la frequenza scolastica, caratterizzato da bassa remunerazione e, talvolta, da mansioni rischiose; con il secondo termine, invece, si fa riferimento ai lavori “non lesivi”, solitamente svolti dai minori per la propria famiglia e che, in genere, non ostacolano la frequenza scolastica.

In questo ambito, gli interventi giuridici che si sono succeduti negli anni, a livello sia internazionale sia europeo, hanno avuto come scopo quello di introdurre norme specifiche che, in ipotesi di un utilizzo lecito del lavoro minorile, garantissero la salute e l’integrità psico-fisica dei minori, nonché il rispetto dei loro diritti e libertà fondamentali mentre, in ipotesi di un utilizzo illecito del lavoro minorile, intervenissero a fini di prevenzione e repressione del fenomeno.

In particolare, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, muovendosi sulla linea tracciata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, non si limita a una dichiarazione di principi generali, ma rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli Stati contraenti.

All’art. 32 è sancito il diritto del bambino a essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale.

In tempi più recenti, le Nazioni Unite hanno ribadito l’impegno contro lo sfruttamento del lavoro minorile nell’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile con la quale tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure immediate per rimuovere le peggiori forme di lavoro minorile.

La disciplina vigente in materia di lavoro minorile è dettata dalla Legge 17 ottobre 1967, n. 977, come novellata dal D.Lgs. n. 345/1999, e successive modificazioni, di attuazione della Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro.

Anche per l’Unione Europea la protezione e la promozione dei diritti dei minori sono obiettivi fondamentali (artt. 3, par. 3 e 5, del Trattato sull’Unione Europea).

L’art. 32 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il divieto del lavoro minorile, basandosi sulla Direttiva 94/33/CE, e prevede che l’età minima per l’ammissione al lavoro non possa essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, fatte salve le norme più favorevoli per i giovani ed eccettuate deroghe limitate.

L’articolo in parola stabilisce, inoltre, che i giovani ammessi al lavoro debbano beneficiare di condizioni lavorative appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni attività che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, psichico, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione.

I diversi limiti posti dall’ordinamento internazionale ed europeo intendono quindi garantire condizioni idonee e adeguate alla crescita e allo sviluppo dei minori per permettere loro di assolvere l’obbligo scolastico e successivamente promuovere l’occupazione giovanile, favorendo l’ingresso nel mercato del lavoro.

Tra le linee di intervento più diffuse vi è l’utilizzo di contratti di lavoro a contenuto formativo – i quali hanno lo scopo di migliorare le competenze dei giovani rispetto alle richieste del mercato del lavoro – a cui sono associate varie forme di agevolazioni da parte degli Stati membri dell’Unione Europea.

Il contratto di apprendistato è quello più utilizzato, consistendo, per la Commissione Europea, in forme di istruzione e formazione professionale iniziale che combinano formalmente e alternano la formazione svolta in azienda (periodi di esperienza pratica di lavoro sul posto di lavoro) con l’istruzione scolastica (periodi di istruzione teorica/pratica seguiti in una scuola o in un centro di formazione) e il cui completamento con successo porta a titoli di certificazione IVET (Initial Vocational Education and Training) riconosciuti a livello nazionale[3].

Qualsiasi attività lavorativa che si collochi al di fuori dei perimetri indicati dalla normativa costituisce una forma di lavoro illegale oltre che un rischio per i minori in termini di sfruttamento economico, salute e sicurezza, sviluppo fisico, psichico, morale, sociale e soprattutto formativo[4].

La recente indagine condotta dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza in tema di lavoro minorile ha evidenziato che «la cultura lavoristica italiana non ha ad oggi colto che fino ai 18 anni quella del minorenne rappresenta una condizione del tutto specifica»[5].

In particolare, dai risultati dell’analisi quantitativa, è emersa «l’assenza di un focus specifico sulla fascia dei 15-17enni da parte di tutti gli enti preposti alla produzione ed elaborazione dei dati, sia per quanto riguarda la dimensione lavorativa (quanti hanno un contratto di lavoro, che tipo di contratto, in che settore, se al momento dell’assunzione sono in possesso di una qualifica professionale, se hanno assolto all’obbligo formativo), sia relativamente agli infortuni sul lavoro (quante denunce di infortuni di minorenni giungono all’INAIL, quante sono relative ad incidenti occorsi a studenti e quanti a lavoratori, in quali settori, quali sono gli indici di rischio). In sostanza, nelle basi dati disponibili i 15-17enni che lavorano non sono riconosciuti come universo a sé stante e sono considerati all’interno della prima fascia di età (che, a seconda dei casi, comprende i 15-19enni o i 15-24enni), che include anche i giovani maggiorenni. La mancanza di dati rende difficile persino quantificare questo target all’interno del mondo del lavoro, titolare di forme di tutela che dovrebbero garantire che l’esperienza di lavoro sia parte di un percorso evolutivo».

Rispetto alla cultura della sicurezza è stato registrato un processo di generale crescita del sistema: «Centri di Formazione professionale, Dirigenti scolastici e imprese mostrano un’accresciuta sensibilità relativamente alle grandi responsabilità che ciascuno per la propria parte è chiamato ad assumersi quando un minorenne viene inserito in un luogo di lavoro. Tuttavia, a fronte di ciò rimane ancora una grande perplessità relativa al fatto che il tema della sicurezza non è né declinato direttamente sui minorenni né articolato a partire da una mappatura e analisi puntuale dei rischi che corrono nei vari contesti di lavoro».

Peraltro, «la residualità dei moduli sulla sicurezza nell’ambito della programmazione scolastica tradizionale costituisce una criticità, nonostante sia un tema fondamentale non solo per l’inserimento nel mondo del lavoro ma anche per la possibilità di acquisire una consapevolezza più ampia sul ruolo di ognuno nel promuovere condizioni di sicurezza nell’ambito della vita comunitaria».

 

Costituzione del rapporto di lavoro

La disciplina attualmente vigente in materia di lavoro minorile è dettata dalla Legge n. 977/1967, sopra richiamata, come novellata dal D.Lgs. n. 345/1999, di attuazione della Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, e dalla Legge n. 296/2006, la quale, a decorrere dall’anno scolastico 2007/2008, ha stabilito che l’istruzione, finalizzata a conseguire un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro i 18 anni, è obbligatoria per almeno 10 anni (art. 1, comma 622).

L’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 16 anni.

Quindi, per i bambini – intesi come i minori che non hanno ancora compiuto 16 anni di età o che sono ancora soggetti all’obbligo scolastico – è vietata l’adibizione al lavoro, mentre per gli adolescenti – ovvero i minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni di età e che non sono più soggetti all’obbligo scolastico – sussistono precise norme di tutela a loro favore.

La violazione dei limiti di età per l’ammissione al lavoro comporta la nullità del contratto stipulato.

Il Legislatore ha previsto la possibilità di impiego dei minori, anche se di età inferiore ai 16 anni, in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché non siano pregiudicati la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale[6].

In tal caso, l’assunzione è subordinata al rilascio di apposita autorizzazione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, occorrendo il preliminare assenso scritto dei titolari della responsabilità genitoriale, da allegare alla domanda, unitamente alla documentazione sanitaria attestante l’idoneità fisica del minore allo svolgimento dell’attività per cui avviene l’assunzione.

L’Ispettorato, verificata la sussistenza di tali condizioni, autorizza il bambino al lavoro esclusivamente per il tempo strettamente necessario allo svolgimento dell’attività e comunque entro precisi limiti.

L’autorizzazione è dovuta nella sola ipotesi in cui sussista un rapporto di lavoro, non essendo necessaria, ad esempio, per il rilascio, a titolo gratuito, di una intervista da parte di un minore in un programma televisivo[7].

Sono escluse dall’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva tutte quelle attività che, per la loro natura intrinseca, per le modalità di svolgimento o per il loro carattere episodico ed estemporaneo, non siano in alcun modo assimilabili al concetto di lavoro e neppure a una vera e propria “occupazione”, la quale di per sé esige una prefigurazione in termini soggettivi, oggettivi, temporali e programmatici dell’intervento del minore.

Fanno anche eccezione le attività non retribuite svolte nell’ambito di iniziative didattiche promosse da organismi pubblici aventi istituzionalmente compiti di educazione e formazione dei minori[8].

Per quanto concerne l’orario di lavoro dei bambini e degli adolescenti, non può superare per i minori di 16 anni, liberi da obblighi scolastici, le 7 ore giornaliere e 35 settimanali.

Durante gli obblighi scolastici, invece, l’attività lavorativa può essere svolta solo se compatibile con la frequenza della scuola e con l’adempimento dei relativi doveri di studio oppure durante il periodo estivo.

Per gli adolescenti non possono essere superate le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali (art. 18, Legge n. 977/1967).

La prestazione lavorativa giornaliera dei bambini e degli adolescenti, inoltre, non può durare senza interruzione più di 4 ore e mezza (art. 20, Legge n. 977/1967).

Qualora la prestazione giornaliera superi tale durata, il minore deve fruire di un riposo intermedio della durata di un’ora che può essere ridotta a mezz’ora, quando l’attività non presenti caratteri di pericolosità o gravosità, da parte dei contratti collettivi oppure previa autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

In materia di riposo settimanale, ai minori deve essere assicurato un periodo di assenza dal lavoro di almeno 2 giorni, possibilmente consecutivi, e comprendente la domenica.

Tuttavia, per comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo, il periodo minimo di riposo può essere ridotto ma non può comunque essere inferiore a 36 ore consecutive.

Per quanto riguarda, invece, i minori impiegati in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario nel settore dello spettacolo, nonché, con esclusivo riferimento agli adolescenti, nei settori turistico, alberghiero o della ristorazione, il riposo settimanale può essere concesso anche in un giorno diverso dalla domenica.

In ambito sportivo anche per i minorenni il gesto atletico può divenire oggetto di una prestazione sportiva, la quale assume connotati del tutto peculiari correlati all’età dello sportivo, perdendo il proprio tratto originario di attività essenzialmente ludica per assumere la fisionomia di un impegno preordinato al perseguimento degli obiettivi agonistici prefissi dall’ente che lo ha tesserato.

Per quanto concerne, in particolare, il gioco del calcio, sono qualificati “giovani” i calciatori e le calciatrici che abbiano anagraficamente compiuto 8 anni e che non abbiano ancora compiuto 16 anni (art. 31, NOIF).

In questo caso sono vincolati alla società per la quale sono tesserati per la sola durata della stagione sportiva, al termine della quale sono liberi di diritto, salvo che abbiano sottoscritto un contratto di apprendistato, nella forma del contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore[9].

Sono invece qualificati come “giovani dilettanti” i calciatori e le calciatrici che in corso di stagione abbiano compiuto 16 anni, se sono tesserati con società della Lega Nazionale Dilettanti o con società della Divisione Serie B Femminile (art. 32, NOIF).

Il loro tesseramento, in assenza di nuovo accordo con la società, scade al termine della stagione sportiva, mentre, in caso di nuovo accordo con la società, può durare al massimo due stagioni sportive, salvo che abbiano instaurato un rapporto di lavoro sportivo pluriennale di durata maggiore, nelle forme previste dal D.Lgs. n. 36/2021, ovvero stipulato un contratto di apprendistato, nelle forme sopra richiamate[10].

 

Il tesseramento degli atleti minorenni e capacità contrattuale del minore

L’art. 16, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2021, nel prevedere che la richiesta di tesseramento del minore «può essere compiuta disgiuntamente da ciascun genitore nel rispetto della responsabilità genitoriale», riconosce la natura di ordinaria amministrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 320, c.c.

Solo in caso di “disaccordo” o di “esercizio difforme dalle decisioni concordate” si applicano le disposizioni contenute nell’art. 316, c.c., le quali prevedono il ricorso al giudice ordinario con l’indicazione dei provvedimenti più opportuni, tenendo conto, in ogni caso, delle «capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del minore», come previsto dal predetto comma 1, dell’art. 16 del D.Lgs. n. 36/2021[11].

Nell’ipotesi, poi, in cui il minore abbia compiuto i 14 anni di età, «non può essere tesserato se non presta personalmente il proprio assenso» (art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 36/2021)[12], valorizzando in tal modo il Legislatore il diritto del minore ad esprimere la propria volontà rispetto al suo ingresso nell’ordinamento sportivo[13].

Per quanto concerne i minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani, l’articolo in parola prevede che se «anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere tesserati presso società o associazioni affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate o agli enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani» (comma 3)[14].

Sotto il profilo dell’attività negoziale e con riferimento all’accesso al lavoro, occorre però ricordare che la minore età ha tra le conseguenze giuridiche più rilevanti l’incapacità di agire, come previsto dall’art. 2, c.c., ovvero l’inidoneità di esercitare direttamente i diritti di natura patrimoniale.

Tuttavia, la disposizione in parola prevede che «sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro», come appunto disciplinato dalla Legge n. 977/1967, secondo il testo novellato[15].

In ambito calcistico, come visto, per quanto concerne gli atleti minorenni che abbiano compiuto 16 anni, qualificati come “giovani dilettanti”, il modulo di tesseramento può essere accompagnato dalla dichiarazione di prestazione di natura volontaria, ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs. n. 36/2021, oppure dalla sottoscrizione di un rapporto di lavoro sportivo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 36/2021.

In entrambi i casi, pur non essendo necessaria per la validità del rapporto, viene richiesta dagli enti sportivi dilettantistici anche la firma degli esercenti la responsabilità genitoriale, ritenuta opportuna sotto il profilo gestionale, mantenendo, peraltro, gli stessi il potere-dovere di vigilanza affinché l’attività lavorativa del minore non pregiudichi la sua salute, sicurezza ed educazione[16].

Tra gli adempimenti a carico dell’ente sportivo che intende avvalersi, in generale, di collaboratori minorenni ultra sedicenni, non solo in qualità di atleti, ma anche di istruttori, allenatori, direttori tecnici, direttori di gara[17] o di altre figure di lavoratori sportivi, non è necessaria, innanzitutto, l’autorizzazione preventiva da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro e ciò vale anche per le prestazioni di lavoro autonomo occasionale[18].

Si applicano, invece, le tutele lavoristiche previste non solo dalla Legge n. 977/1967, già richiamate, adibendo il minore a mansioni compatibili con la giovane età, evitando lavori pericolosi o insalubri, garantendo i riposi, il proseguimento degli studi (se ancora in corso), ma anche quelle contenute nel D.Lgs. n. 81/2008[19], nonché l’obbligo a carico del datore di lavoro di acquisire il certificato del casellario giudiziale anche per il lavoratore sportivo o volontario ultra sedicenne che ha contatti diretti e regolari/continuativi con minori, quale misura di prevenzione e contrasto, nelle politiche di safeguarding, ad abusi e discriminazioni[20].

Sotto il profilo dell’accertamento sanitario attestante l’idoneità specifica alla mansione, occorre rilevare che si tratta di un requisito minimo necessario per occupare un lavoratore minorenne, indipendentemente dal fatto che l’attività lavorativa sia genericamente soggetta o meno alle attività di sorveglianza sanitaria.

In base alle previsioni contenute nell’art. 8 della Legge n. 977/1967, in capo al minore (che si tratti di bambino – nei casi ammessi dalla norma – o adolescente) vi è sempre l’obbligo di verifica dell’idoneità sanitaria, sia a livello preventivo, sia periodico e a intervalli non superiori all’anno.

La visita medica viene svolta dal medico competente, ove la mansione a cui è adibito il minore sia soggetta a sorveglianza sanitaria, ex art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008[21],mentre viene svolta dal Servizio sanitario nazionale qualora la mansione non sia interessata dalla sorveglianza sanitaria. Sotto tale profilo è necessario ricordare che l’attività svolta dal datore di lavoro (o la singola mansione) si ritiene soggetta a sorveglianza sanitaria qualora possa comportare, anche solo potenzialmente, un rischio per la salute dei lavoratori e tale condizione viene verificata dal datore di lavoro, in collaborazione con un medico del lavoro, in fase di valutazione del rischio e di redazione del relativo documento (DVR)[22].

[1] Si richiama, sotto tale profilo, la designazione del responsabile della protezione dei minori contro ogni tipo di abuso, di violenza e discriminazioni su di essi (“safeguarding officer”).
[2] La Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro ha definito “giovane” ogni persona di età «inferiore a 18 anni»; “bambino” ogni giovane che «non ha ancora compiuto 15 anni» o che ha «ancora obblighi scolastici a tempo pieno imposti dalla legislazione nazionale»; “adolescente” ogni giovane “di almeno 15 anni che non ha ancora compiuto 18 anni» e che “non ha più obblighi scolastici a tempo pieno imposti dalla legislazione nazionale». L’art. 37 della Costituzione tutela il lavoro dei minori «con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
[3] Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la struttura causale mista del contratto di apprendistato rimane centrata sulla formazione del lavoratore, come ribadito dalla Corte di Cassazione nella sent. n. 6990/2025: se la formazione non è effettiva, l’apprendistato si converte in un “normale” contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
[4] Per un maggiore approfondimento si rinvia a A. D’Andrea, “Tutela del lavoro minorile, politiche occupazionali e apprendimento”, in JusLaboris, 2022, pag. 29 ss.
[5] Il rapporto “Il lavoro regolare minorile tra formazione e sicurezza”, pubblicato nel 2023, illustra i risultati del progetto FA.S.E. “FormAzione Sicura in Età adolescenziale” promosso dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e realizzato con la collaborazione dell’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali ETS e della Fondazione Censis.
[6] Il D.M. n. 218/2006 contiene una specifica disciplina per l’impiego di minori di anni 14 nei programmi radiotelevisivi. In particolare, il provvedimento proibisce alle emittenti televisive di: a) sottoporre i minori di anni 14 ad azioni o situazioni pericolose per la propria salute (o anche più semplicemente di mostrarli senza motivo in situazioni pericolose); b) far assumere ai minori, anche per gioco o per finzione, sostanze nocive; c) coinvolgere i minori in situazioni con contenuto volgare, licenzioso o violento; d) utilizzare i minori in richieste di denaro o di elargizioni abusando dei naturali sentimenti degli adulti per i bambini.
[7] INL, nota n. 7966/2019.
[8] Ministero del Lavoro, circolare n. 1/2000.
[9] Si rinvia sul punto all’art. 30 del D.Lgs. n. 36/2021, il quale concretizza la volontà del Legislatore di dare risalto al valore educativo, sociale e culturale della formazione: dal 1° luglio 2023 l’apprendistato sportivo trova infatti una propria individualità, qualificandosi come strumento idoneo a garantire ai giovanissimi atleti – a partire dai 14 anni per il datore di lavoro/società sportiva del settore dilettantistico e dai 15 anni per le società del settore professionistico – «una crescita non solo sportiva, ma anche culturale ed educativa, nonché una preparazione professionale che favorisca l’accesso all’attività lavorativa anche alla fine della carriera sportiva». Come indicato nella Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 163/2022, con l’apprendistato professionalizzante si intende facilitare l’accesso alle professioni di lavoro sportivo, adattando le caratteristiche di tale strumento alle specificità dello sport, rispetto alle norme che disciplinano il rapporto di lavoro ordinario. Si richiamano, altresì, in materia gli artt. 42-bis e 42-ter del CCNL attualmente vigente per i lavoratori dello sport – Confederazione dello Sport.
[10] Nel contesto delle attività sportive dilettantistiche sono sempre più frequenti i casi di giovani atleti o collaboratori minorenni che svolgono attività di supporto tecnico, didattico o gestionale, soprattutto in occasione dell’organizzazione e programmazione di camp e centri estivi.
[11] Tale articolo prevede, inoltre, che nei casi di «separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 337-bis e seguenti del Codice civile».
[12] Tale soglia di età è stata fissata in modo aderente ad altre ipotesi, come nel Codice della privacy in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione; per l’imputabilità penale (art. 97 c.p.); nel codice della strada (art. 115, comma 1, lett. a); in materia di scelte scolastiche e di iscrizione nelle scuole secondarie superiori (art. 1, Legge n. 281/1986); per la richiesta di rimozione dei contenuti nocivi dalla rete o dai social media (l’art. 2 della Legge n. 71/2017, in tema di tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, abilita il minorenne che abbia compiuto 14 anni (oltre all’esercente la responsabilità genitoriale) a presentare richiesta rivolgendosi ai gestori o se necessario al Garante per la protezione dei dati personali).
[13] A mente dell’art. 15, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2021, «il tesseramento è l’atto formale con il quale la persona fisica diviene soggetto dell’ordinamento sportivo ed è autorizzata a svolgere attività sportiva con una associazione o società sportiva, con i Gruppi Sportivi Militari o i Corpi Civili dello Stato e, nei casi ammessi, con una Federazione sportiva nazionale o Disciplina sportiva associata o Ente di promozione sportiva, anche paralimpici»; Trib. Massa, sent. n. 396/2015, per il quale mediante il tesseramento sia le società che gli sportivi manifestano la volontà di sottostare per il futuro alle disposizioni federali che disciplinano i contratti posti in essere nell’ambito dell’organizzazione sociale.
[14] Si tratta del tesseramento in base al principio “ius culturae sportivo”. L’art. 52, comma 2, lett. b), del D.Lgs. n. 36/2021 ha previsto, come è noto, l’abrogazione della Legge n. 12/2016, la quale consentiva ai minori extracomunitari di praticare attività sportiva agonistica in Italia, e quindi essere tesserati, purché regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età (principio “ius soli sportivo”).
[15] A. Langella, “Capacità del minore e tesseramento sportivo”, in Diritto dello Sport, vol. 4, n. 1/2023, pag. 27. L’autrice rileva che la presunta incapacità d’agire dei minori «non è un concetto così rigido e assoluto», come accade in diverse legislazioni europee: ad esempio, il codice civile spagnolo esclude dalla rappresentanza legale dei genitori gli atti relativi ai diritti della personalità del minore e tutti gli atti che il minore può compiere direttamente in conformità alla legge e alle sue condizioni di maturità. Chi ha più di 16 anni può inoltre compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione relativi alla propria attività professionale.
[16] F. Romei, “Minorenni e contratti di lavoro sportivo o occasionale”, in www.fiscosport.it del 7 maggio 2025.
[17] Ai sensi dell’art. 45 del Regolamento dell’Associazione Italiana Arbitri «la qualifica di arbitro effettivo, che abilita anche alle direzioni di gare del Calcio a cinque, si consegue con il superamento di un esame a seguito di un corso, indetto ed organizzato secondo le modalità previste nel presente Regolamento e nelle norme secondarie, al quale possono essere ammessi tutti i residenti nel territorio dello Stato che ne facciano domanda scritta e che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età e non abbiano compiuto il quarantesimo anno alla data di effettuazione degli esami (…)».
[18] INL, nota n. 109/2022.
[19] Per quanto concerne il contratto di apprendistato, l’art. 30, comma 5, del D.Lgs. n. 36/2021 prevede che agli apprendisti si applicano le disposizioni contenute nei successivi artt. 32, in tema di controlli sanitari dei lavoratori sportivi e 33, in tema di sicurezza dei lavoratori sportivi e dei minori.
[20] Art. 16, D.Lgs. n. 39/2021; per un maggiore approfondimento sul punto si rinvia a M. Pozzi, “Il certificato del casellario giudiziale richiesto da ASD e SSD: obblighi, modalità operative e conseguenze della mancata acquisizione”, in Associazioni e Sport, n. 5/2025, pag. 44-48. L’esercente la responsabilità genitoriale o tutoriale potrà rilasciare l’autocertificazione di assenza di condanne penali del minore.
[21] L’art. 33 del D.Lgs. n. 36/2021 precisa che il lavoratore sportivo è sottoposto a controlli medici a tutela della salute nell’esercizio delle attività sportive (il c.d. rischio sportivo specifico in gara e durante l’allenamento caratterizzante la singola disciplina sportiva) secondo le disposizioni di cui al precedente art. 32, comma 1 del D.Lgs. n. 36/2021 (in tal caso la competenza è del medico specialista in medicina dello sport) e che «l’idoneità alla mansione, ove non riferita all’esercizio dell’attività sportiva, è rilasciata dal medico competente», il quale «utilizza la certificazione rilasciata dal medico sportivo». Nell’ambito sportivo, diversamente da altri luoghi di lavoro, per quanto concerne la figura dell’atleta/lavoratore sportivo, l’oggetto dell’attività è una prestazione fisica, dalla quale possono derivare fisiologicamente danni e/o infortuni direttamente correlati all’attività sportiva stessa, con conseguente operatività della scriminante atipica del c.d. rischio consentito. Nella Relazione illustrativa al Decreto in parola è stato evidenziato che tale intervento è finalizzato ad «evitare una possibile sovrapposizione del ruolo del medico specialista in medicina dello sport» – il quale certifica «l’idoneità psico-fisica del lavoratore sportivo sulla scorta di indagini strumentali» – con quello del «medico competente di cui all’art. 2, comma 1, lett. h) del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale ha il compito di effettuare la sorveglianza sanitaria, definita dall’art. 2, primo comma, lett. m) del Testo Unico come insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa».
[22] In relazione all’obbligo di visita medica a cui deve essere sottoposto il minore prima di accedere a qualsiasi attività lavorativa, l’art. 8, comma 4, della Legge n. 977/1967 prevede che le visite mediche a cui si sottopone il minore devono essere attestate da apposito certificato. Tuttavia, l’art. 42 della Legge n. 98/2013 (di conversione del D.L. n. 69/2013) ha abrogato l’obbligo di certificazione di idoneità al lavoro per adolescenti e bambini adibiti ad attività non rischiose, fatti salvi gli obblighi di certificazione previsti dal D.Lgs. n. 81/2008. Pertanto, al di fuori delle condizioni di applicazione delle disposizioni di sorveglianza sanitaria disposte da quest’ultimo Decreto, non è più previsto il rilascio di certificazione attestante l’idoneità al lavoro del minore, ma rimane comunque l’obbligo di sottoporre il minore a visita medica, come rilevato dalla Corte di Cassazione nella sent. n. 51907/2016, per la quale «la condotta di ammissione al lavoro di minore senza la prescritta visita medica costituisce tutt’ora reato».

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Associazioni e sport”.

Rapporti di lavoro nel settore sportivo