20 Giugno 2017

Il lavoro agile sarà davvero smart?

di Evangelista Basile

Il Legislatore ha introdotto il lavoro agile con gli articoli 18 e ss. della L. 81/2017, ma lo “smart working” – come talora viene denominato – è già da anni sperimentato (positivamente) dalle imprese e dai loro dipendenti.

Il lavoro agile infatti non è a ben vedere un nuovo “tipo” contrattuale, ma soltanto una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato perfettamente rientrante nella fattispecie generale dell’articolo 2094 cod. civ..

Per questo, come detto, le imprese stanno già utilizzando questa particolare modalità di collaborazione, che sino a oggi è stata disciplinata e negoziata con i contratti individuali o anche con accordi collettivi a qualunque livello.

Di norma, quando mi è stato chiesto – anche in passato – di redigere un contratto di smart working le parti mi avevano manifestato la seguente esigenza: il lavoratore vuole eseguire la prestazione dove e quando vuole (anche per contemperare meglio le proprie esigenze personali con quelle di lavoro), mentre il datore di lavoro è interessato solo a dirigere il dipendente e verificare che l’attività sia svolta correttamente.

La sperimentazione aveva dato esiti positivi, perché i contratti di lavoro agile anche in Italia stavano prendendo piede (oltre i nostri confini sono già da anni una realtà ben consolidata).

A questo punto la primissima domanda da porsi è la seguente: visto che il nostro sistema giuslavoristico consentiva già, a normativa invariata, di realizzare contrattualmente il lavoro agile, valeva davvero la pena che il Legislatore intervenisse? E ancora, la novella legislativa aiuterà la diffusione del lavoro agile o la ostacolerà?

Io devo essere molto sincero: avevo paura del Legislatore. A mio modesto avviso, c’era solo un aspetto che sarebbe stato opportuno disciplinare per legge: la materia dell’infortunio sul lavoro e delle malattie professionali. Se, infatti, la prestazione di lavoro poteva avvenire ovunque, a piacimento del dipendente, riconoscere l’infortunio occorso in occasione di lavoro non era affatto semplice. Tant’è che alcune imprese, che già utilizzavano lo smart working, si erano assicurate per questo tipo di “sinistro” nel caso in cui l’Inail avesse negato la tutela.

Il resto non era necessario disciplinarlo per legge, perché lo smart working – per funzionare bene – deve poggiare su una disciplina altrettanto “smart”, che lasci libere le parti di negoziare le modalità di esecuzione della prestazione.

Invece, nella novella legislativa in commento, la materia dell’infortunio sul lavoro è appena accennata e non risolve i tanti problemi che si possono porre in concreto. Per contro vengono disciplinati molti altri aspetti che sarebbe stato meglio non toccare affatto. Solo per rimanere a qualche esempio, il Legislatore si lancia con impeto definitorio descrivendo il lavoro agile come quello in cui la prestazione di lavoro “viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno”; e se invece venisse svolta solo all’esterno, come di norma avviene?

Si afferma anche che il lavoro agile si svolge “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, salvo poi – due righe più sotto – affermare che dovranno essere rispettati i “limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale”. Di regola il datore di lavoro – se di smart working si parla – non controlla gli orari e neppure può garantire il rispetto di qualche limite. Il contratto di lavoro agile – si dice nella legge – deve poi disciplinare il potere direttivo e le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Se è già difficile immaginarsi le condotte sanzionabili all’interno dei locali, figuriamoci quelle – infinite – che il dipendente potrebbe tenere fuori.

Insomma, come dicevo, c’era un problema da risolvere – quello dell’infortunio sul lavoro – e non lo si è fatto (per cui non rimane che attendere le circolari esplicative dell’Inail per sperare di avere le idee più chiare su come si comporterà l’ente assicurativo).

Gli altri problemi non c’erano, ma ce li siamo creati. E il rischio è che – per assurdo – il lavoro agile arresti la sua ascesa, proprio nel momento in cui viene riconosciuto dalla legge.

 

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