13 Dicembre 2017

Le Faq del Ministero del lavoro sul distacco comunitario

di Giovanna Carosielli

A testimonianza dell’assoluta rilevanza e novità della disciplina nazionale attuativa degli obblighi comunitari in caso di distacco in Italia di lavoratori stranieri nell’ambito di una prestazione di servizi, sono state di recente pubblicate le Faq sull’invio di lavoratori nel nostro Paese, per chiarire ulteriori dubbi sorti in ordine all’applicazione della recente normativa. Di particolare rilievo risultano le risposte fornite dall’autorità amministrativa di vigilanza in ordine alla comunicazione obbligatoria preventiva, al referente dell’azienda straniera e alla documentazione da esibire al personale ispettivo.

 

L’emanazione delle Faq

A poco più di un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. 136/2016, il Ministero del lavoro, mediante lo strumento delle Faq – ovverosia di risposte a interrogativi posti dagli operatori economici e/o dal personale ispettivo – ritorna sugli obblighi gravanti sulle aziende straniere che distaccano in Italia propri dipendenti. L’obiettivo ministeriale è di chiarire alcune criticità tuttora persistenti sull’osservanza della normativa italiana che ha recepito la Direttiva 2014/67/UE, risolvendo dubbi pratici e al contempo uniformando e orientando l’agire ispettivo. In considerazione dell’eterogeneità delle questioni trattate, all’emanazione di un ulteriore circolare a firma dell’INL il Dicastero del lavoro ha preferito la pubblicazione dei quesiti e delle relative risposte.

Peraltro, poiché il Ministero attribuisce alle Faq il medesimo valore vincolante per il personale ispettivo tipico delle circolari, l’insieme delle risposte in commento – che, per ragioni di comodità, sono raggruppate per aree tematiche – può valere quale esposizione dell’orientamento di prassi cui fare riferimento nella ricognizione della disciplina applicabile.

 

La comunicazione obbligatoria

Com’è noto, il D.Lgs. 136/2016, nell’attuare la Direttiva 2014/67/UE, ha introdotto una serie di obblighi gravanti sulle aziende straniere distaccanti propri dipendenti in Italia: rientra tra detti obblighi l’effettuazione della comunicazione preventiva del lavoratore, su cui l’INL ha avuto modo di esprimersi con la circolare n. 3/2016 e la nota n. 4833/2017.

Nelle Faq viene pertanto precisato che la compilazione del modello UNI_DISTACCO_UE riguarda soltanto le aziende invianti lavoratori in Italia, laddove, qualora siano imprese italiane a distaccare propri dipendenti in un ordinamento comunitario, non occorrerà compilare il predetto modulo: ciò non toglie, tuttavia, che nello Stato accogliente il lavoratore dipendente dell’impresa italiana possa sussistere un identico obbligo comunicativo, con conseguente compilazione del relativo modulo, che andrà evidentemente adempiuto.

Ciò in quanto l’articolo 9, § 2, lettera a, Direttiva 2014/67/UE, ha permesso ai singoli Stati di prevedere l’obbligo, in capo a ciascuna impresa, di comunicare in via preventiva l’invio in un altro Paese di un proprio dipendente. Mediante l’assolvimento dell’obbligo di comunicazione, infatti, ogni ordinamento giuridico è a conoscenza della permanenza per un determinato periodo di tempo di lavoratori comunitari e può quindi verificare l’osservanza della disciplina nazionale attuativa di quella europea. In caso di impossibilità di invio telematico della comunicazione per malfunzionamenti del sistema informatico del Ministero del lavoro, non sono consentite modalità alternative di adempimento dell’obbligo: pertanto, l’azienda straniera dovrà attendere il ripristino del funzionamento del sistema ed effettuare la comunicazione entro le ore 24.00 del giorno successivo a quello di recupero delle funzionalità.

In relazione ai dati contenuti nella comunicazione in parola, le Faq precisano che eventuali variazioni concernenti:

  • la data di inizio o fine del distacco,
  • il luogo del distacco,
  • le correzioni di dati già forniti con la prima comunicazione,

andranno compiute, rispettivamente, entro il quinto giorno successivo alla data di inizio, di fine, di variazione del luogo di invio del lavoratore comunitario, ovvero di inizio dell’invio del lavoratore straniero in Italia.

In buona sostanza, sarà possibile modificare i dati essenziali del distacco – in quanto nel frattempo cambiati ovvero perché erronei sin dall’inizio – entro il quinto giorno successivo al momento cui il dato da comunicare si riferisce.

Infine, la normativa italiana non contempla alcun obbligo in capo al datore di lavoro straniero di consegnare al lavoratore inviato in Italia una copia della comunicazione preventiva, salvo che il distacco non riguardi il cabotaggio terrestre: in questo caso, infatti, la mobilità del lavoratore può ostacolare la ricerca della comunicazione preventiva e/o dell’ulteriore documentazione in assenza di un “cantiere” stabile, rendendo necessaria la consegna al lavoratore del modello UNI_CAB_UE.

Al netto della riportata ipotesi, la comunicazione preventiva risulta superflua anche in ragione della documentazione di lavoro che il personale può richiedere all’impresa straniera per il tramite del proprio referente, cui si riferiscono le ulteriori richieste di chiarimento contenute nelle Faq.

 

Il referente aziendale

Il referente aziendale è la persona fisica delegata dal datore di lavoro straniero a relazionarsi con il personale ispettivo, provvedendo a consegnare la documentazione richiesta e/o a ricevere gli atti ispettivi notificati per suo tramite all’impresa comunitaria. Non è necessaria alcuna specifica competenza professionale in capo al referente aziendale, né una sua iscrizione a un qualche albo e/o ordine, essendo viceversa sufficiente che i suoi dati siano indicati nella comunicazione preventiva inviata.

Benché non esplicitato nelle risposte fornite nelle Faq, è nondimeno possibile argomentare che il referente in parola debba essere un soggetto dotato di capacità d’agire e con ogni evidenza in grado di comprendere e parlare la lingua italiana: in questo senso, quindi, un dipendente e/o collaboratore dell’impresa committente italiana ben potrebbe esser indicato quale referente del datore di lavoro straniero che sta eseguendo nel nostro Paese una prestazione di servizi. Altresì, in quanto interfaccia dell’impresa straniera con il personale ispettivo, quest’ultimo potrebbe evitare di richiedere al referente dall’impresa l’esibizione dell’incarico conferitogli, posto che nella comunicazione preventiva obbligatoria, di norma compilata dall’azienda o da un soggetto dalla medesima delegato, sono indicati anche i dati relativi al proprio referente: ben potrebbe, quindi, la comunicazione preventiva riportante i dati personali del referente esser intesa dagli ispettori del lavoro quale incarico conferito dall’azienda al predetto soggetto.

In ogni caso, quest’ultimo non può mai essere considerato obbligato in solido di eventuali provvedimenti sanzionatori adottati dal personale di vigilanza, in ragione del differente ruolo svolto: infatti, egli è un mero rappresentante e non un delegato dell’impresa comunitaria, derivandone che il potere conferitogli consiste nella mera relazione con le autorità nazionali, non estendendosi alle prerogative tipicamente datoriali. Occorre in proposito rilevare, infatti, la differenza esistente tra la rappresentanza e la delega: con la prima un soggetto conferisce a un altro il potere di compiere atti giuridici (in questo caso, la gestione dei rapporti con gli ispettori del lavoro italiani e la consegna e/o ricezione di atti e documenti), senza tuttavia spogliarsi delle proprie prerogative; con la seconda un soggetto aliena a un altro un potere di cui dispone (per esempio di vendere o comprare un bene).

Pertanto, salvo che il referente non sia stato espressamente delegato all’esercizio del potere datoriale in Italia, il destinatario degli atti ispettivi resterà sempre il datore di lavoro straniero.

Nulla vieta, infine, che il referente aziendale per il personale ispettivo sia dotato anche del potere di rappresentanza aziendale rispetto alle parti sociali, per discutere e/o negoziare alcuni aspetti giuridici e/o economici riferiti ai lavoratori distaccati. Perché tale coincidenza sia realizzata, sarà tuttavia necessaria un’espressa previsione da cui emerga che la volontà dell’azienda straniera di farsi rappresentare da quel soggetto nell’interlocuzione e/o nei negoziati con le parti sociali.

 

La documentazione da esibire al personale ispettivo

Richiesto di chiarire se la documentazione da esibire durante gli accertamenti ispettivi – riferita, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a, D.Lgs. 136/2016, ai “prospetti di paga, i prospetti che indicano l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro giornaliero, la documentazione comprovante il pagamento delle retribuzioni o i documenti equivalenti, la comunicazione pubblica di instaurazione del rapporto di lavoro o documentazione equivalente e il certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile – debba esser disponibile in lingua italiana già al momento dell’accertamento ovvero se sia producibile in un momento successivo, il documento in commento precisa che “la documentazione tradotta deve essere disponibile al momento dell’accertamento del personale di vigilanza”, con ciò intendendo che all’atto dell’accesso ispettivo i predetti documenti debbano già essere presenti nel cantiere in lingua italiana, onde consentire al personale di vigilanza di verificare l’osservanza della normativa. Non diversamente, infatti, può essere intesa la locuzione “accertamento ispettivo” contenuta nella risposta alle Faq, riferendosi all’inizio del procedimento amministrativo di tipo lavoristico. Del resto, se il chiarimento fosse interpretato in senso difforme, consentendo quindi l’esibizione della documentazione in parola in una fase successiva a quella dell’accesso in cantiere, ne risulterebbero vanificate, e non di poco, le finalità della disciplina nazionale. È infatti proprio nel momento in cui gli ispettori del lavoro identificano i lavoratori e ne raccolgono le dichiarazioni che è possibile accertare eventuali irregolarità, attraverso domande specifiche rivolte ai lavoratori e emergenti dall’iniziale disamina della documentazione aziendale.

Una criticità, non oggetto di specifico chiarimento, potrebbe semmai essere rappresentata dalla differente lingua parlata dai lavoratori comunitari identificati dagli ispettori del lavoro, essendo piuttosto intuibile che questi ultimi non conoscano la lingua di origine dei primi, a loro volta non parlanti l’italiano. Un fattore risolutivo potrebbe essere intravisto nella designazione del referente aziendale, che potrebbe sopraggiungere nel cantiere nel corso dell’accesso ispettivo e intervenire, per quanto possibile, nell’interlocuzione del personale ispettivo con i dipendenti dell’azienda straniera. Tuttavia, nel testo normativo non sembra ravvisabile uno specifico obbligo per il referente dell’imprenditore distaccante di esser presente e/o reperibile al momento dell’arrivo degli ispettori del lavoro: occorre infatti distinguere tra l’obbligo di nominare un referente aziendale che si relazioni al personale di vigilanza, stabilito dall’articolo 10, comma 3, lettera b, D.Lgs. 136/2016, e obbligo per detto referente di esser presente o reperibile all’atto dell’accesso ispettivo, salvo che tale obbligo non sia argomentato in modo indiretto dal citato articolo 10, comma 3, che individua in tale soggetto la persona cui notificare i provvedimenti ispettivi, e quindi anche il verbale di primo accesso ispettivo. Ne deriverebbe, quindi, che se il verbale di primo accesso ispettivo deve esser notificato al referente aziendale, la sua presenza al momento dell’ispezione, ovvero quantomeno a ridosso della sua fase conclusiva, sia necessaria. Nondimeno, pur volendo concedere una soluzione positiva all’esposto aspetto giuridico, occorre considerare, da un lato, come nemmeno il referente aziendale potrebbe conoscere la lingua d’origine dei lavoratori stranieri e, dall’altro, pur conoscendola, non potrebbe fungere da interprete con i lavoratori sentiti dagli ispettori del lavoro, non essendo a ciò autorizzato e, non ultimo, svolgendo un ruolo di parte in rappresentanza dell’azienda comunitaria.

 

Il campo di applicazione della normativa e gli ulteriori quesiti

Infine, risultano interessanti gli interrogativi posti in relazione alla vigenza degli obblighi stabiliti dalla legge italiana nel caso di docenti e/o ricercatori universitari non appartenenti all’Unione Europea e inviati presso gli atenei italiani, ovvero dei tirocinanti che, nella cornice di programmi internazionali, svolgano un periodo formativo presso aziende italiane. In relazione al primo aspetto le Faq, nel rinviare ai chiarimenti già forniti dall’INL, precisano l’insussistenza degli obblighi ex articolo 10, D.Lgs. 136/2016, ove la permanenza nel nostro Paese riguardi dirigenti, lavoratori specializzati e/o in formazione di Paesi terzi di cui alla Direttiva 2014/66/UE, attuata nel nostro ordinamento per il tramite del D.Lgs. 253/2016, ovvero ricercatori, lavoratori autonomi o menzionati nell’articolo 27, lettera a, D.Lgs. 286/1998.

Nel caso di tirocini riguardanti stranieri, le Faq chiariscono che il D.Lgs. 136/2016 troverà applicazione soltanto ove l’ingresso in Italia riguardi lavoratori dipendenti interessati da negozi giuridici con funzione formativa, quale l’apprendistato.

Il senso delle riportate precisazioni è intuitivo: se il momento formativo è fine a se stesso e non si inserisce in un contesto negoziale più ampio, l’applicazione della normativa comunitaria e italiana non ha alcun rilievo, così come l’estrema specializzazione di docenti e/o ricercatori universitari, l’impossibilità di qualificare le attività da loro rese quali prestazioni di servizi, ma soprattutto la presenza di una disciplina di settore, elidono in radice la questione di una possibile inosservanza normativa o, peggio, di concorrenza sleale a danno di lavoratori e imprese nazionali.

Altresì, le Faq confermano l’applicazione del D.Lgs. 136/2016 anche al cabotaggio, ovverosia all’ingresso in Italia di lavoratori stranieri alla guida di mezzi di trasporto, anche qualora il carico e/o scarico delle merci riguardi pochi giorni. Da ultimo, le Faq, nel ricordare che per poter parlare di unità produttiva sita in Italia presso cui distaccare un lavoratore straniero è necessario che sussista “un minimo di organizzazione di mezzi e/o di persone, in forza della quale l’impresa stessa vada ad esercitare e/o gestisca un’attività di natura economica in Italia e costituisca, comunque, un centro di imputazione di rapporti e situazioni giuridiche riferibili al soggetto straniero, anche se per un periodo temporalmente definito” precisano che nel modello UNI_DISTACCO_UE occorrerà inserire il codice fiscale o la partita Iva dell’unità produttiva presso cui è inviato il lavoratore comunitario, anche se il distacco è operato all’interno di un gruppo di imprese, nel senso che l’impresa italiana ricevente il dipendente straniero appartiene al gruppo di imprese cui fa capo l’impresa distaccante.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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