15 Dicembre 2022

Per non dimenticare i tirocini. Troviamo una soluzione senza tirare la palla in tribuna

di Riccardo Girotto

Prima o poi la resa dei conti sui tirocini arriverà. L’imbeccata della L. 234/2021, al momento assunta come mero spauracchio che influenza già l’operatività concreta, ma non tange il diritto positivo, non potrà temporeggiare ancora molto, stante l’occhio vigile dell’Europa.

Eppure, il tirocinio formativo di natura extracurriculare continua a essere una forma d’ingresso nel mercato del lavoro grandemente utilizzata dalle aziende. Ancora una volta, però, l’abuso dello strumento da parte di alcuni rischia di penalizzare tutti, in quanto l’incapacità di eseguire controlli puntuali, anche in presenza di specifico presidio sanzionatorio, genera l’impossibilità di diffondere l’educazione all’utilizzo corretto dello strumento. Una storia nota, tristemente ricorrente.

Per penetrare in profondità nella nostra analisi è bene riportare alcuni dati utili ad affrontare la questione. Il recente rapporto Anpal offre uno scenario statistico interessante, indicando come, nel triennio 2019/2021, che ricordiamo ricomprendere il periodo pandemico ove gran parte dei tirocini risultavano sospesi, sono stati attivati 910 stage extracurriculari. Lo strumento si rivela determinante per l’ingresso nel mondo del lavoro: 41,40% per i tirocinanti under 30 e, addirittura, 67% per gli under 20.

Interessante capire la trasformazione in reali rapporti di lavoro a seguito dell’attivazione dello strumento, realizzata nel 27% dei casi, che, al netto dei rifiuti da parte dei tirocinanti, non pare sicuramente un dato confortante, oltre a suggerire valutazioni di possibili abusi legati a cicliche sostituzioni di soggetti per la medesima posizione operativa.

I dati, quindi, non possono ingannare, il ricorso allo strumento è massivo, ma la metamorfosi in rapporto di lavoro sicuramente ancora insufficiente. Ne desumiamo, quindi, che le ipotesi di intervento, of course, sono sicuramente 2 alternative: eliminare lo strumento o migliorarne gli aspetti critici.

La L. 234/2021 pare percorrere il primo di questi, mirando alla possibile attivazione dei tirocini extracurriculari unicamente con lavoratori svantaggiati. Si confinerebbe, così, l’istituto in casistiche promosse dagli enti e poche volte avviati d’impulso datoriale, quindi la soluzione equivarrebbe, di fatto, alla soppressione dello strumento, almeno nella fruizione più apprezzata.

Viene da chiedersi se, come sempre accade quando si intende sopprimere una tipologia negoziale, esisterà la capacità di intercettare tramite altro istituto tutte le possibilità di ingresso nel mondo del lavoro che la normativa intende eliminare. Perché, se è vero che sono in molti a ospitare un tirocinio, non vi è alcuna certezza che gli stessi siano disponibili a diventare datori di lavoro della medesima risorsa.

La seconda soluzione, che chi scrive intende caldeggiare con veemenza, è quella di regolare il rapporto di stage estendendo almeno parte di quelle tutele che, di fatto, scavano il gap tra un tirocinio e un rapporto di lavoro. Puntare sulla stabilità o su un diritto alla continuità non pare possa essere coerente con uno strumento di inserimento nel mondo del lavoro, ma mirare a una sorta di contribuzione sociale, oltre a percorsi retributivi più ricchi, sicuramente potrebbe mantenere l’appeal e allontanare i casi di puro abuso.

Allo stesso modo, un percorso formativo più rigoroso e monitorato conferirebbe marchio di qualità a chi rimarrebbe interessato a questo mezzo per l’ingresso nel mondo del lavoro ed educherebbe le aziende a dedicare la giusta attenzione alle esperienze formative in ingresso.

Qualcuno obietterà che seguire una traccia di questo tipo obbligherebbe il tirocinio a cambiare pelle, a somigliare sempre più a un rapporto di lavoro. E chissenefrega, non mi pare il sistema si possa reggere sull’immodificabilità del paradigma rapporto di lavoro o meno. Se un aspetto positivo c’è, e questo aspetto si chiama 27% di stabilizzazione, credo l’assimilazione alla fattispecie del rapporto di lavoro non possa rappresentare un problema insuperabile.

Rifiutare una soluzione costruttiva è sintomo di palese incapacità nella verifica circa il rispetto delle norme. La sottrazione dello strumento, infatti, non crea problemi di controllo ed è più facile da attuare, ma l’INL, con la nota n. 1451/2022, ha chiaramente elencato i passaggi, anche intertemporali, utili a sanzionare le condotte illecite e quelle corredate da condotte fraudolente. La nota ha chiarito, altresì, come l’ipotesi di costituzione del rapporto a mezzo riqualificazione[1] permane unicamente in capo al lavoratore[2], mentre la pretesa previdenziale può agire autonomamente e indipendentemente dalla costituzione del rapporto di lavoro. Quindi gli strumenti ci sono tutti, tanto in capo al lavoratore quanto in area ispettiva, tutto questo, però, pare difettare di esperienza pratica, consolidando la tesi che afferma come la sottrazione dello strumento palesi un fallimento delle attività di monitoraggio e verifica sul campo.

Alcuni abusi sono comunque già stati valutati e perseguiti[3], forse non in larga scala, forse non con metodo scientifico, ma ricondurre ogni tema all’eterna contrapposizione tra flessibilità e precariato, francamente, ha stancato gli operatori del diritto.

I dati prodotti dal rapporto Anpal dimostrano chiaramente come l’interesse verso lo strumento meriti una riflessione concreta, che, come per i temi della parasubordinazione, dello smart working, del lavoro a termine, pare nessuno abbia voglia di condividere.

Al momento dibattiti sterili, irrisolti, spazzati in tribuna.

[1] Anche se tecnicamente non si può realmente parlare di riqualificazione, ma di verifica della sussistenza, stante il fatto che la qualificazione formale del tirocinio non configura un rapporto di lavoro.
[2] Poi. nei fatti. il percorso si rivela comunque oneroso; Cassazione n. 25508/2022 depone per la prova rigorosa dei criteri di subordinazione.
[3] Cassazione n. 18192/2016.

 

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