3 Marzo 2016

Non esiste lo sciopero individuale

di Evangelista Basile

 

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Con una recente sentenza – la n.24653/15 – la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di astensione dal lavoro giustificato “formalmente” dalla proclamazione di sciopero, mancante tuttavia del requisito indefettibile della finalità di tutela di un interesse professionale collettivo.

L’azienda aveva da subito sostenuto che l’astensione dal lavoro proclamata dai rappresentanti sindacali era illegittima e non costituiva neppure sciopero, mancando nella fattispecie un’“astensione collettiva” dal lavoro, in quanto si era piuttosto in presenza di “astensioni individuali”, tra loro slegate, finalizzate al soddisfacimento di interessi meramente personali e familiari di sospensione della prestazione lavorativa.

Contro il parere delle decisioni delle Corti di merito – che in entrambi i gradi avevano rigettato la domanda del datore di lavoro diretta a dichiarare l’illegittimità dello sciopero o presunto tale – la Corte di Cassazione ha invece affermato che il datore di lavoro aveva anzitutto un interesse ad agire, perché se l’astensione dal lavoro non era qualificabile come sciopero legittimo, la stessa avrebbe integrato un inadempimento contrattuale da parte dei lavoratori che avevano interrotto le prestazioni.

In secondo luogo, chiarita la questione preliminare dell’interesse ad agire, la Suprema Corte ha esaminato la doglianza principale della società, la quale lamentava che i rappresentanti sindacali non avevano invitato i lavoratori ad esercitare il diritto di sciopero, indicando loro le modalità collettive dell’astensione, ma avevano solo lanciato il messaggio che, a partire da una certa data (inizio della protesta) e ad oltranza, ciascuno poteva andare a lavorare o meno se lo desiderava e andarsene quando gli pareva, il tutto ad esclusiva discrezione di ogni “singolo” interessato all’astensione.    

In verità, dello sciopero c’era solo l’etichetta formale, sotto la quale si nascondeva la possibilità per ciascun singolo dipendente di lavorare o meno, a suo piacimento. Lo sciopero, invece, è un diritto soggettivo (individuale) che tuttavia si concretizza nell’astensione collettiva dal lavoro per finalità di carattere collettivo. Inoltre, lo sciopero – anche quando è tale – incontra il limite della tutela di posizioni soggettive concorrenti, laddove possa pregiudicare – per le modalità di esercizio – il diritto alla vita, all’incolumità delle persone o all’integrità degli impianti produttivi.

Ebbene, nel caso esaminato, posto che le modalità di attuazione del presunto sciopero erano rimesse totalmente ai singoli lavoratori interessati, senza una loro predeterminazione, il datore di lavoro – dice la Cassazione – era esposto a pregiudizi derivanti dall’impossibilità di prevenire i rischi sulla produttività aziendale con riferimento ai reparti ove, di volta in volta, sarebbe stata attuata anche all’improvviso l’astensione, con l’inevitabile insorgenza di pericoli per il controllo dell’igiene, per la sicurezza etc.

In definitiva, le modalità di attuazione della proclamata astensione esorbitavano i limiti sia interni sia esterni del diritto di sciopero, atteso che ne snaturavano la forma e le finalità tipicamente collettive e ponevano in serio pericolo la produttività aziendale.

La sentenza è indubbiamente molto importante e interessante, perché – oltre a chiarire i limiti dello sciopero rispetto ad altri diritti di pari rango costituzionale – si sofferma anche sulla nozione stessa di sciopero, precisando come possa chiamarsi tale – e dunque giustificare la sospensione delle prestazioni lavorative – solo l’astensione collettiva e finalizzata a tutelare interessi collettivi, non quella individuale.

La sentenza della Corte di Cassazione non è solo corretta giuridicamente, è soprattutto di buon senso.