13 Settembre 2022

Nullum crimen sine poena, nulla poena sine lege. Forse.

di Riccardo Girotto

Il brocardo che ha ispirato questo titolo sembra tautologico nell’affermare un principio scontato di derivazione costituzionale (articolo 25, comma 2, Costituzione), ma ancor più di buon senso. Come posso sanzionare una condotta che di fatto non è definita o per la quale non è prevista alcuna sanzione specifica?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare la traumatica situazione dello scorso agosto, quando l’introduzione del Decreto Trasparenza e la revoca gattopardesca dello smart working emergenziale hanno gravato di apprensione l’inizio delle ferie e di tensione il rientro dalle stesse. A tutto ciò si aggiungano le acrobatiche interpretazioni di prassi tese a tentare di sanare, maldestramente, le lacunose novelle.

Passando in rassegna il Decreto Trasparenza, pare di difficile comprensione l’interpretazione di previsioni tutt’altro che concrete, foriere di comportamenti sempre contestabili:

La carrellata esemplificativa è presto servita: articolo 4, comma 1, lettera o) “… Organizzazione del lavoro in tutto o in gran parte prevedibile”; articolo 4, comma 1, lettera o) “… modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili”; articolo 7, comma 2 “… il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto”; articolo 8, comma 2, lettera c) “… conflitto di interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà”; articolo 9, comma 4 “… senza un ragionevole periodo di preavviso”; articolo 10, comma 1 “… forma di lavoro con condizioni più prevedibili”; etc.. Qui l’appartato sanzionatorio è previsto, ma il percorso logico-giuridico per applicarlo resta quantomeno misterioso, e l’imprecisione dei termini, alimentando l’alea, non giova certo alle aziende investite dal carico di adempimenti.

Continuando a scrutare l’apparato sanzionatorio del Decreto Trasparenza si può notare, all’articolo 4, comma 6, come, in caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, le informazioni, gran parte sensibili, da comunicare ai lavoratori debbano essere notificate anche alle rappresentanze sindacali interne o addirittura a OO.SS. esterne all’azienda. Il mancato rispetto della condotta pesa notevolmente dal punto di vista sanzionatorio, tanto che l’INL, con circolare n. 4/2022, precisa: “Si evidenzia altresì che la violazione delle disposizioni contenute nell’art. 1-bis è sanzionata dal nuovo art. 19, comma 2, del D.Lgs. 276/2003 con una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro “per ciascun mese di riferimento”, soggetta a diffida ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004. La sanzione va quindi applicata per ciascun mese in cui il lavoratore svolga la propria attività in violazione degli obblighi informativi in esame da parte del datore di lavoro o del committente”.

Posto che risulta consigliata al datore di lavoro la raccolta di autorizzazioni precise al trattamento di questi dati, nel caso di mancato rilascio da parte del dipendente, assolutamente non vincolato a rendere noti dati personali a soggetti terzi sia pure di matrice sindacale, il datore di lavoro si troverà nella situazione di dover scegliere tra il vedersi applicata la sanzione monstre replicabile mensilmente, tutelandosi comunque in merito alla divulgazione di informazioni presidiate dalla tutela alla privacy, oppure evitare la sanzione amministrativa esponendosi a un rischio connesso proprio alla divulgazione di dati sensibili. Anche in questo caso il precetto di legge dovrebbe sgombrare il dubbio circa il percorso applicativo dell’apparato sanzionatorio, che, di fatto, pare davvero aggrovigliarsi su se stesso.

Per capire, quindi, quale input scomoda il brocardo che relaziona la pena a una determinata omissione o commissione prevista dalla legge, si rende necessaria una penetrazione più in profondità nel tema; nello specifico, ispira addirittura simpatia il tentativo dell’INL di convogliare i lavoratori assunti dal 1° al 12 agosto nel perimetro di applicazione normativa che vede, invece, l’entrata in vigore dal 13 agosto e l’estensione, su richiesta (per effetto di un articolo 16 di fatto contraddittorio nel combinato tra i primi 2 commi), ai lavoratori assunti prima del 1° agosto. La circolare riporta testualmente “Per il richiamato disallineamento temporale la lettera della norma non sembra interessare direttamente i rapporti di lavoro instaurati tra il 2 ed il 12 di agosto 2022, rispetto ai quali trovano comunque applicazione i medesimi principi di trasparenza, solidarietà contrattuale e parità di trattamento tra lavoratori che fondano la novella normativa, cosicché anche questi ultimi possono richiedere l’eventuale integrazione delle informazioni relative al proprio rapporto di lavoro”; indubbiamente non può comprendersi quale valore possa acquisire in diritto il “disallineamento normativo”, tantopiù rilevato dalla prassi. Ciò che è chiaro, però, è che la norma palesemente non impone alcuna condotta agli assunti dal 1° al 12 agosto 2022 e su questo possiamo essere tutti “allineati”. Nessun obbligo previsto, scongiurati i rischi sanzionatori.

Andando oltre, il D.M. 149/2022 introduce la nuova comunicazione dedicata al lavoro agile, di fatto la comunicazione semplificata non viene considerata più tale, ma resta da inviarsi una diversa comunicazione semplificata; non solo, le variazioni rispetto allo smart working emergenziale paiono davvero impercettibili se si fa eccezione per l’accordo, orale fino al 31 agosto, che dal 1° settembre diventa obbligatoriamente scritto. Oltre 2 anni di smart working “spintissimo” hanno prodotto il ritorno alla norma, totalmente inutilizzata, di cui già disponevamo nel 2017, chiaramente inadatta alle necessità pratiche dell’istituto, non essendo stata mai testata concretamente.

La nuova comunicazione risulta totalmente priva scadenza, non è così per il Ministero del lavoro, che per mezzo di una nota del 26 agosto 2022, oltre a concedere il termine cuscinetto di 5 giorni dall’avvio della modalità agile per l’esecuzione delle comunicazioni e indicare lo slittamento del termine del 1° settembre al 1° novembre (pare un tentativo di captatio benevolentiae, che, in realtà, cela il tempo necessario alla P.A. per l’adeguamento del sistema telematico), sorprende tutti tramite un’acrobazia giuridica che crea il collegamento sanzionatorio per prassi.

La sanzione per la mancata comunicazione è prevista dall’articolo 19, comma 3, D.Lgs. 276/2003, inerente alle comunicazioni relative alla costituzione e alla variazione di durata e luogo di lavoro. Eppure, il decreto non prevede un termine, ergo mancano i contorni della condotta da sanzionare, alla definizione dei quali non può certamente sopperire una comunicazione pubblicata sul sito del Ministero.

Il quadro parrebbe lineare, quindi, totale assenza di presidio sanzionatorio, nonostante la posizione della prassi, eppure gli imprenditori non dormiranno sonni tranquilli. Si potrebbe, infatti, obiettare che il principio citato in premessa sia proprio del diritto penale, ma tale obiezione viene prontamente smarcata dall’estensione del principio di legalità di cui all’articolo 25, Costituzione, al diritto amministrativo, fatto inconfutabile e confermato, altresì, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Poche scuse, quindi, dove latita l’apparato sanzionatorio non può applicarsi alcuna sanzione, eppure le posizioni di Ministero e INL potrebbero non restare lettera morta, anzi, potrebbero creare notevoli grattacapi. Si pensi all’obbligo, da parte del personale ispettivo, di applicare le circolari emanate dalla propria Amministrazione, le funzioni di indirizzo perdono valore di fronte alla legge, ma incorporano un dogma per l’ente di appartenenza. Capiterà, quindi, che l’ispirazione di prassi, pur in assenza di precipuo presidio sanzionatorio, tramite l’attività ispettiva vada comunque a punire il datore di lavoro.

Ancor più grave il collegamento con la nuova procedura di disposizione introdotta in sordina dalla L. 120/2020 in piena pandemia e tesa a stravolgere il mondo delle ispezioni. Al momento pare poco percepibile il rischio, stante la carenza di ispezioni sul campo, ma è chiaro che tale strumento, come recentemente modificato, permette la sanzionabilità di condotte irrispettose di precetti di fatto privi di sanzione (qui, in realtà, la sanzione c’è; è la condotta omissiva a non essere definita).

Di fronte a tutto questo il datore di lavoro potrà sempre argomentare in giudizio la carenza di collegamento sanzionatorio, e, nel caso di specie, la posizione avrà sicura tenuta giuridica, qualora, invece, la posizione aziendale fosse quella di evitare proprio il giudizio, il consiglio, ahimè, non può che tendere al rispetto rigoroso dei dettami di legge come interpretati dai documenti di prassi.

Insomma, nulla poena sine lege. Forse.

 

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