4 Giugno 2019

Nuove soluzioni dalla contrattazione sul contratto termine in attesa del supporto normativo

di Luca Vannoni

Sono sempre più numerosi i settori della contrattazione collettiva che si sono cimentati nella regolamentazione del contratto a termine. Pur nella eterogeneità delle soluzioni individuate, gli accordi sottoscritti sul tema si caratterizzano da un approccio comune, volto a disinnescare le limitazioni più fastidiose derivanti dal DL 87/2018, a volte sfruttando i canali certi di delega del D.Lgs. 81/2015 alla contrattazione collettiva (es. limiti per sommatoria o. ipotesi di stagionalità),  molto più spesso affrontando a muso duro materie che non rimandano in alcun modo alla contrattazione collettiva.

Se prendiamo il recente rinnovo del settore del Cemento, da una parte riscontriamo l’estensione a 36 mesi del limite di durata per sommatoria (visto che correttamente si cita la delega dell’art. 19, co. 2 del D.Lgs. 81/2015, l’espressione, non felicissima, “la durata dei contratti a tempo determinato” deve essere intesa per sommatoria e non come durata massima per il singolo contratto), sulla base di un meccanismo di trasformazione a tempo indeterminato del 50% dei lavoratori assunti a td nei 36 mesi precedenti nell’unità produttiva.

Dall’altra, in modo demiurgico, si aggiungono come causali (che rimangono obbligatorie) l’incremento dovuto a particolari richieste di mercato anche stagionali, o per particolari commesse e l’avvio di nuove attività o produzioni definite e predeterminate nel tempo

Ovviamente, in questo secondo caso, non si giudica il merito dell’intervento, che richiama concetti chiari e che trovano riscontro nella vita delle aziende rispetto all’orrore giuridico delle condizioni dell’art. 19 co. 1, ma la possibilità di farlo: forse sarebbe stato meno rischioso considerarle delle specificazioni delle causali legali e, parallelamente, integrare i concetti di stagionalità.

Molto più creativo è stato il rinnovo cooperative sociali. Da una parte si prevede la possibilità di estensione a 36 mesi (o 40 mesi per i lavoratori svantaggiati) solo per i datori di lavoro che hanno trasformato almeno il 20% dei lavoratori il cui contratto a termine, comunque eccedente i 24 mesi, sia venuto a scadere nei 12 mesi precedenti, con esclusioni legate a dimissioni, giusta causa di licenziamento, mancata accettazione della proposta del datore di lavoro al caso di un solo contratto scaduto. Dall’altra si cerca di estendere il più possibile la causale sostitutiva, anche alle ipotesi di trasformazioni a part time a tempo determinato (sicuramente un estensione più prudente rispetto a settori dove si aprirebbero ipotesi sostitutive in riorganizzazioni interne senza assenze, anche parziali).

Il  moltiplicarsi delle esperienze non può che confermare la necessità di un intervento legislativo che apra anche il comma 1 dell’art. 19, sulle causali e sulla durata del singolo contratto, ad un intervento della contrattazione collettiva, che peraltro si è già verificato.

 

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