20 Dicembre 2018

Prestazioni di lavoro straordinario anche nel lavoro intermittente

di Luca Vannoni

Il contratto di lavoro intermittente, pur caratterizzandosi per una forte dose di flessibilità, in quanto la prestazione è legata soltanto alle effettive chiamate del datore di lavoro, rimane una tipologia di lavoro subordinato e, pertanto, rimane soggetta alle disposizioni generali che discendono da tale qualificazione non espressamente derogate.

Tuttavia, l’applicazione e l’interpretazione della normativa del lavoro subordinato al contratto intermittente spesso si scontra con la forte specificità di tale contratto, soprattutto per aspetti legati all’essenza della propria atipicità, cioè l’orario di lavoro.

Con interpello n. 6/2018, il Ministero del lavoro risponde al. quesito presentato dall’Associazione Nazionale delle Imprese di Sorveglianza Antincendio (Anisa) “in ordine alla possibilità di non applicare al lavoratore intermittente la disciplina contenuta nel decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 in materia di orario di lavoro nel caso venga effettuato lavoro straordinario eccedente le 40 ore settimanali”.

In particolare, viene chiesto se in tale ipotesi sia possibile erogare unicamente il controvalore per la prestazione svolta come se si fosse in regime di orario ordinario di lavoro e non anche la maggiorazione per lavoro straordinario prevista dalla contrattazione collettiva.

A dire il vero, il contratto della sorveglianza antincendio 3 novembre 2009 stipulato da Anisa e Confsal, all’articolo 17 prevede che sia “considerato lavoro straordinario quello reso oltre la 173ª ora mensile. Ai fini del computo dello straordinario, si considerano ore lavorative le ore di godimento di ferie, permessi, congedo matrimoniale e le ore di assenza per malattia e/o infortunio. L’azienda potrà richiedere l’effettuazione di lavoro straordinario sino ad un ammontare complessivo annuo di 250 ore, fatte salve oggettive e documentate situazioni di impedimento del lavoratore. Oltre tale limite e nel rispetto dei limiti di legge, lo straordinario potrà essere effettuato solo con il consenso del lavoratore interessato. Per il lavoro straordinario, indifferentemente svolto in orari diurni/notturni, sarà corrisposta la maggiorazione del 20%, non computabile ai fini degli istituti retributivi indiretti e differiti”.

Balza subito all’occhio la particolare conformazione dello straordinario nel settore della vigilanza antincendi: l’orario di lavoro normale è fissato in 40 ore settimanali “medie”, formula che innesca una forma di flessibilità dell’orario su base mensile, così che vengono considerate straordinarie soltanto le prestazioni di lavoro svolte oltre le 173 ore mensili.

Sia consentito un primo commento un po’ maligno: se un lavoratore intermittente ricade nell’ipotesi di straordinario, significa che per almeno un mese, al di là di come si siano articolate le chiamate, la prestazione di lavoro è stata continuativa e potrebbero porsi problemi di riqualificazione del rapporto se venisse dimostrata la frode alla legge nel dissimulare un eventuale contratto a termine (e ben sappiamo oggi, dopo il D.L. 87/2018, che quest’ultimo contratto incontra una serie seria di disagi nell’utilizzo): la tentata fuga dalle strette maglie del lavoro a termine sarebbe, infatti, favorita dal fatto che il punto 7 della tabella allegata al R.D. 2657/1923, richiama espressamente il personale addetto all’estinzione degli incendi.

Tornando alla risposta del Ministero del lavoro, in apertura si richiamano le norme di riferimento del lavoro straordinario, in particolare l’articolo 3, D.Lgs. 66/2003, che “definisce lavoro straordinario quello prestato oltre il normale orario di lavoro pari a 40 ore settimanali, o altro definito dai contratti collettivi, senza prevedere una durata massima giornaliera dell’orario di lavoro”.

Sul punto, è bene precisare che, pur non essendo rinvenibile nel D.Lgs. 66/2003 una disposizione specifica e diretta che impone un limite massimo giornaliero di orario di lavoro, tenuto conto che il sistema di misurazione della prestazione conosce soltanto due fasi, l’orario di lavoro e il periodo di riposo, la previsione di un riposo giornaliero obbligatorio (articolo 7) pari a 11 ore, di fatto limita la prestazione giornaliera a 13 ore (per la precisione a 12 ore e 50 minuti, visto che l’artixolo 8 prevede anche una pausa obbligatoria di 10 minuti nel caso in cui l’orario di lavoro superi le 6 ore giornaliere).

La disciplina dell’orario di lavoro, continua l’interpello, trova applicazione per tutte le forme di lavoro subordinato, salvo le esclusioni espressamente contemplate agli articoli 2 e 16, D.Lgs. 66/2003.

L’analisi da parte del Ministero del lavoro sulla disciplina vigente in materia di orario di lavoro si ferma qui, dimenticandosi di un aspetto di certo non secondario: l’articolo 16, comma 1, lettera d, D.Lgs. 66/2003, esclude dall’ambito di applicazione della disciplina della durata settimanale dell’orario di lavoro (articolo 3) le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia elencate nella tabella approvata con R.D. 2657/1923 e, tra esse, come detto, al punto 7) trova espressa indicazione “il personale addetto all’estinzione degli incendi”. L’ormai quasi immortale regio decreto, richiamato dalla notte dai tempi dal D.M. 23 ottobre 2004, nacque infatti per individuare attività di lavoro discontinuo, cioè che alternano fasi di lavoro a fasi di attesa (cosa ben diversa dalle esigenze di concentrare in momenti circoscritti e incerti nel loro verificarsi prestazioni intermittenti), proprio per escluderle dai limiti, al tempo vigenti, giornalieri e settimanali in materia di orario di lavoro.

L’esclusione dall’applicazione della norma sull’orario normale di lavoro per tali attività determina, conseguentemente, l’impossibilità di individuare ore di straordinario “legali”: se non vi è un limite per l’orario di lavoro normale, non è nemmeno possibile avere ore di lavoro straordinarie.

Ad ogni modo, è bene evidenziare che, fatte salve le previsioni della contrattazione collettiva (che tendono a fissare una durata normale dell’orario di lavoro anche per i lavori discontinui o di attesa), le attività previste dal R.D. 2657/1923 sono tendenzialmente immuni da problematiche afferenti il lavoro straordinario.

Riguardo alla disciplina del lavoro intermittente, il D.Lgs. 81/2015 (confermando quanto precedentemente previsto dal D.Lgs. 276/2003) prevede, all’articolo 17, in virtù del tipico principio di non discriminazione spesso richiamato a livello normativo nell’ambito dei contratti flessibili, che “il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello. Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente, è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale”.

Già tale disposizione è sufficiente per considerare le prestazioni di lavoro intermittente al pari di quelle svolte con altre tipologie contrattuali al fine del riconoscimento (e dell’eventuale trattamento normativo) delle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario. Ovviamente, nel caso in cui non sia applicabile al “lavoratore di pari livello” la normativa sul lavoro straordinario, lo stesso regime si trasmette anche al lavoratore intermittente.

Sembra meno decisivo, viceversa, il richiamo operato dall’interpello n. 6/2018 alla circolare del Ministero del lavoro n. 4/2005, dove, nel fornire i primi chiarimenti e indicazioni operative con riferimento alla previgente disciplina del lavoro intermittente, da un lato si è evidenziato che “il legislatore non abbia imposto alcun obbligo contrattuale in merito all’orario ed alla collocazione temporale della prestazione lavorativa”, dall’altro che “si tratta pur sempre di un contratto di lavoro dipendente, ragione per cui la libera determinazione delle parti contraenti opera, quantomeno con riferimento alla tipologia con obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro, nell’ambito della normativa di legge e di contratto collettivo applicabile, con specifico riferimento alla disciplina in materia di orario di lavoro”.

Sul punto, è bene ribadire che i periodi di disponibilità, ancorché remunerati in caso di obbligo di risposta (ipotesi quasi teorica e di rara applicazione), non possono rilevare ai fini dell’orario e devono considerarsi tempi di riposo, a meno che si accompagnino a ulteriormente rari vincoli in tali periodi che ne precluderebbero la disponibilità del proprio tempo.

Sarebbe stato auspicabile che nella risposta a interpello venissero offerte ulteriori valutazioni legate all’ipotesi di utilizzo di lavoro intermittente per ipotesi previste dal R.D. 2657/1923, nel caso in cui il Ccnl nulla preveda in ordine all’orario di lavoro per le mansioni discontinue: l’assenza di una specifica regolamentazione contrattuale abbinata all’esclusione normativa dalla disciplina dell’orario normale di lavoro e, conseguentemente, dell’orario straordinario, porterebbe a ritenere l’inapplicabilità delle maggiorazioni e dei limiti per il lavoro straordinario.

 

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