I rischi del Tfr in busta paga
di Evangelista Basile Scarica in PDF
Con nota n. 616 del 3 aprile2025, l’Ispettorato del lavoro ha risposto ad alcuni quesiti in merito alla legittimità della prassi – peraltro di discreta diffusione – di anticipo mensile del Tfr in busta paga.
La L. 190/2014 aveva, infatti, introdotto in via sperimentale detta possibilità, ma per un periodo limitato di paga decorrente dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018.
Il trattamento di fine rapporto (Tfr) rappresenta una somma di denaro che viene accumulata mensilmente dal datore di lavoro, per conto del dipendente, allo scopo di assicurare un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.
L’articolo 2120, cod. civ., nei primi 5 commi, individua i criteri di calcolo del Tfr e nei commi successivi disciplina le condizioni in presenza delle quali, su richiesta del lavoratore, è possibile procedere all’anticipazione del trattamento di fine rapporto.
L’ultimo comma dello stesso articolo rimanda, infatti, alla contrattazione collettiva o ai patti individuali l’introduzione di condizioni di miglior favore relative all’accoglimento delle richieste di anticipazione, in mancanza delle quali l’erogazione monetaria non può che qualificarsi quale maggiore retribuzione assoggettata all’obbligazione contributiva, come chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 4670 del 22 febbraio 2021.
Secondo l’Ispettorato, in virtù della collocazione sistematica del rimando operato dal comma 10 dell’articolo 2120, cod. civ., che si pone al termine della disciplina delle anticipazioni del Tfr, è possibile ritenere che la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto un’anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile, che, a questo punto, costituirebbe una mera integrazione retributiva, con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo. Tale operazione, peraltro, sembrerebbe contrastare – a detta dell’ente – con la stessa ratio dell’istituto, che è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.
Del resto, si ricorda che, dal 1° gennaio 2007, il datore di lavoro con almeno 50 dipendenti è obbligato al versamento della quota di Tfr al Fondo di tesoreria istituito ai sensi dell’articolo 1, commi 756 e 757, L. 296/2006, le cui modalità attuative sono disciplinate dal D.M. 30 gennaio 2007. Tale versamento assume la natura di contribuzione previdenziale, stante l’equiparazione del Fondo a una gestione previdenziale obbligatoria, con applicazione dei principi di ripartizione e dell’automaticità delle prestazioni di cui all’articolo 2116, cod. civ., con la conseguenza che le quote di Tfr versate al Fondo rispondono al regime di indisponibilità proprio della contribuzione previdenziale, ferme restando le ipotesi di pagamento anticipato del Tfr nei casi e nei limiti normativamente previsti.
Pertanto, secondo l’Ispettorato, laddove si ravvisino le descritte ipotesi di anticipazione, il personale ispettivo dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di Tfr illegittimamente anticipate attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione di cui all’articolo 14, D.Lgs. 124/2004.
Peraltro, il principio è stato anche confermato dalla giurisprudenza, la quale ha di recente statuito: “In materia di lavoro, l’impresa non può versare ai dipendenti la quota di tfr insieme alla retribuzione in modo continuativo e senza indicare la causale. L’anticipazione costante, infatti, contrasta con l’accantonamento mensile e si pone quale sistema pattizio capace di contrastare il meccanismo legale dell’istituto” (così Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 20 maggio 2025, n. 13525).