20 Maggio 2019

La settimana finanziaria

di Mediobanca S.p.A.

 

IL PUNTO DELLA SETTIMANA: iniziati come una strategia negoziale, i dazi US sono adesso un rischio per crescita e inflazione

  • Le nuove barriere tariffarie USA-Cina comportano rischi al ribasso per la crescita e al rialzo per l’inflazione. Il loro impatto, amplificato dalle catene globali del valore, dipenderà dalla capacità di questi due paesi di sostituire le loro reciproche importazioni con altre provenienti da paesi terzi
  • Venuto meno l’effetto degli sgravi fiscali del 2018, il consumatore US è ora più vulnerabile a nuove barriere tariffarie
  • La fiducia di imprese e investitori ne risentirà, con un conseguente aumento della volatilità sui mercati
  • La Fed adotterà un easing bias solo a fronte di un inasprimento delle condizioni finanziarie

L’amministrazione Trump ha accusato la Cina di aver violato per anni la proprietà intellettuale US, etichettando come predatorie le pratiche da questa adottate in campo sia industriale che commerciale. A partire dal 2018, ha quindi intrapreso una politica protezionistica, imponendo tre round di barriere tariffarie nei confronti della Cina. Il primo round è iniziato a luglio 2018, con l’imposizione di dazi pari a 25% su 1.300 tipologie di prodotti importati dalla Cina, per un valore annuo di importazione pari a $ 50 miliardi. A settembre 2018 è stato annunciato il secondo round pari all’imposizione di dazi del 10% su altre merci per un valore di $ 200 miliardi, a cui la Cina ha reagito con $ 60 miliardi di dazi sulle sue importazioni dagli USA. Infine, in autunno, il Presidente Trump ha minacciato un incremento al 25% dei dazi a partire dal 1 gennaio 2019, in caso di un mancato accordo con la Cina. Questa data di inizio è stata prima posticipata al 1 marzo, per poi essere fissata al 10 maggio (insieme alla minaccia di estendere il dazio del 25% su tutte le merci), quando i negoziati si sono improvvisamente interrotti, quando l’amministrazione US ha accusato la Cina di aver ridefinito unilateralmente i termini della loro adesione all’accordo, arretrando su punti già concordati nei mesi passati. Oggi gli USA chiedono l’eliminazione degli aiuti pubblici alle aziende e la revisione del loro piano “made in Cina 2025”, oltre che una maggior tutela della proprietà intellettuale e degli investimenti stranieri in Cina. Quest’ultima da parte sua chiede la cancellazione di tutti i dazi, che, benché iniziati come una strategia negoziale, oggi rappresentano un fattore di rischio globale, avendo raggiunto un livello storicamente importante.Riteniamo che le tensioni commerciali USA-Cina si protrarranno nel medio periodo, dato che ciascuno dei due paesi scommette sulla maggior debolezza e vulnerabilità dell’altro. Da un lato, l’amministrazione Trump non vorrà accettare un accordo debole nei confronti della Cina, che si configurerebbe come un rischio politico per gli USA e preferirà proseguire le contrattazioni. Dall’altro, la Cina sembra avere un’elevata resilienza ai dazi imposti dagli USA, oltre che la capacità finanziaria per fronteggiare una guerra commerciale.Secondo il Peterson Institute for International Economics (PIIE), quando queste barriere tariffarie saranno entrate in vigore pienamente, gli USA applicheranno una tariffa media verso la Cina del 18,3%. Inoltre, il presidente Trump ha minacciato l’imposizione di un ulteriore 25% su altri $ 325 miliardi di importazioni, dando mandato all’US Trade Representative di predisporre le condizioni amministrative necessarie ad attuare le nuove misure. Se il Presidente Trump dovesse dar seguito a queste ulteriori minacce, i dazi aumenterebbero su una vasta gamma di prodotti di consumo importati (abbigliamento, scarpe, giocattoli ed elettronica). Nel loro insieme, tali misure porterebbero i dazi US verso la Cina a livelli simili a quelli prodotti dal famigerato Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, emanato alla vigilia della Grande Depressione(Fig.1). Dal canto suo, non potendo contare su un deficit commerciale paragonabile a quello americano, la Cina ha invece imposto dei dazi su beni per un valore di $ 110 miliardi, coprendo quasi l’interezza delle sue importazioni dagli USA, cercando però di colpire in maniera più incisiva le produzioni di gas naturale liquido e soia, provenienti dagli stati che hanno maggiormente supportato Trump elettoralmente, di cui la Cina è il primo importatore mondiale, cercando invece di non colpire i prodotti strategici per l’industria cinese. Inoltre, la Cina ha lasciato svalutare la propria valuta nei confronti dello USD (lo yuan si è svalutato di circa il 9%, passando da 6,3 di metà 2018a 6,9 yuan per USD), permettendo a tutte le merci cinesi esportate negli USA di guadagnare competitività e compensare i dazi. Questo fattore va inevitabilmente considerato nel computo dei rispettivi danni che le due potenze si stanno infliggendo reciprocamente.

Fig1: Livello medio dei dazi sulle importazioni dalla Cina prima e dopo le misure decise da Trump (Fonte: PIIE)

Fig.2: Dazi a livello globale e partecipazione alle catene globali del valore

In primo luogo, questo nuovo innalzamento dei dazi avrà un maggior impatto sul consumatore statunitense. Il Centre for Economic Policy Research (CEPR), a marzo 2019, ha mostrato recentemente che le politiche protezionistiche US implementate nel corso del 2018 si sono riflesse  in: 1) aumenti sostanziali dei prezzi dei prodotti intermedi e finali; 2) cambiamenti nella rete delle catene di approvvigionamento US; 3) riduzione della disponibilità di varietà di beni importati; 4) trasmissione integrale delle tariffe sui prezzi interni delle merci importate; andando nel 2018 a colpire il consumatore statunitense  con una riduzione del reddito reale statunitense di $ 1,4 miliardi al mese. Nel 2018 gli sgravi fiscali concessi dall’amministrazione Trump e il calo dei prezzi dell’energia hanno compensato parzialmente l’impatto delle tariffe dello scorso anno, sebbene ciò abbia comportato un calo della fiducia dei consumatori alla fine del 2018. Ora queste misure di sostegno sono venute meno. Pertanto, la spesa per consumi US (e la fiducia dei consumatori stessi) sembra più vulnerabile rispetto al 2018. In secondo luogo, l’impatto dei nuovi dazi dipenderà da diversi fattori e sarà tanto più significativo sull’economia globale quanto più sono integrate le catene dl valore. Dalla metà degli anni ’90, la riduzione delle tariffe e dei costi di trasporto e comunicazione è andata di pari passo con un aumento significativo della partecipazione alle catene globali del valore (Fig. 2). La maggiore integrazione globale della produzione, mediante le catene globali del valore, crea maggiori possibilità di specializzazione e migliora la produttività, ma, allo stesso tempo, aumenta il rischio di ricadute transnazionali in presenza di aumenti dei dazi doganali, perché gli aumenti delle tariffe bilaterali danneggiano la produzione, l’occupazione e la produttività, non solo nelle economie interessate, ma anche nelle catene del valore a monte e a valle. Utilizzando più modelli di stima, il FMI ha pubblicato ad aprile 2018 una valutazione degli effetti sugli scambi commerciali USA-Cina di un aumento generalizzato dei dazi (Fig.3). A livello di scambi bilaterali, il FMI stima che essi si contrarranno nel breve periodo del 20-30%, mentre nel lungo periodo saranno soggetti a fluttuazioni più ampie, fino a un possibile 70%, a seconda dei modelli di calcolo presi in considerazione. Sempre secondo il FMI, le tensioni commerciali produrranno una riduzione del PIL, determinata dal calo della domanda estera nell’ordine dello 0,3-0,6% per gli USA e dello 0,5-1,5% per la Cina. Il differente impatto sul PIL dei due paesi dipenderà innanzitutto dal maggiore peso per l’economia cinese delle esportazioni verso gli USA rispetto a quanto non accada nella direzione opposta. In secondo luogo, sulla Cina sono stimati effetti più pronunciati per via della maggiore rigidità dei prezzi e dei salari, che più difficilmente si adeguano alla minore domanda estera. Ulteriori effetti negativi per la Cina derivano invece dalla perdita di economie di scala e da un peggioramento delle ragioni di scambio dovute ad una riduzione del tasso di cambio, che, viceversa, tenderà ad apprezzarsi negli USA. L’impatto delle barriere tariffarie sul resto del mondo, anche se amplificato dalla presenza di catene integrate del valore, dipenderà molto dalla capacità con la quale Cina e USA riusciranno a sostituire le loro reciproche importazioni con prodotti provenienti da paesi terzi. 

Fig. 3: Stima del FMI degli effetti prodotti da un aumento del 25% delle barriere tariffarie sugli scambi USA-Cina

L’ultimo bollettino economico della BCE ha cercato di quantificare l’effetto indiretto di una guerra commerciale, prodotto dal deteriorarsi del clima di fiducia tra le imprese e dalle tensioni sui mercati finanziari (quantificato in un aumento del premio al rischio delle obbligazioni societarie di 50 pb e un calo dei prezzi delle azioni di 2 deviazione standard in tutti i paesi). Secondo le stime della BCE, un aumento delle tensioni commerciali avrebbe un significativo impatto diretto sull’attività US, aggravato dall’intensificarsi delle tensioni finanziarie e da un peggioramento del clima generale di fiducia. Negli USA i flussi commerciali potrebbero essere duramente colpiti, con un calo del 26,6% delle esportazioni in termini reali e un 22,8%, meno significativo, delle importazioni, con conseguenti effetti complessivamente negativi per l’interscambio commerciale sull’attività economica. La vasta portata dell’impatto sui flussi US riflette il fatto che le loro esportazioni (e importazioni) verso (e da) tutti i partner commerciali sono soggette a dazi più elevati. Al contrario, la Cina probabilmente subirà perdite più contenute (Fig. 4), poiché le minori esportazioni verso gli USA sono in parte compensate da maggiori esportazioni verso quei paesi in cui la Cina ha migliorato la propria competitività di prezzo rispetto ai produttori statunitensi. Analogamente, altri paesi potrebbero migliorare la propria competitività sui mercati cinesi a spese degli USA, prendendo il loro posto come paese di origine delle esportazioni verso la Cina. Inoltre nel breve, il mancato accordo Usa-Cina si traduce in un temporaneo allentamento della minaccia di imposizione di dazi US sul settore automobilistico europeo.

 

Fig.4. Effetto dell’aumento del 10% delle barriere tariffarie US sulle importazioni per tutti i partner con ritorsioni simmetriche

Fig.5 I mercati hanno rimodulato le aspettative di un taglio dei tassi negli USA

In sintesi, i rischi maggiori per lo scenario globale si configureranno difronte ad un ulteriore deterioramento della fiducia dei consumatori US e di un peggioramento delle condizioni finanziarie, mentre un moderato aumento dell’inflazione US, a fronte di un aumento dei dazi (almeno per l’anno successivo alla loro attuazione), potrebbe essere accolto con positività dalla Fed. Attualmente, è improbabile che nuovi dazi porteranno ad un cambiamento della politica monetaria US, ma potrebbero modificare la percezione dei rischi degli investitori relativamente alla traiettoria del costo del denaro in US. Mentre la Fed sembra più preoccupata di un’eccessiva diminuzione delle aspettative di inflazione, che non di un deterioramento della crescita economica prodotta dalle tensioni commerciali. I mercati, invece, hanno iniziato a prezzare un taglio del costo del denaro “precauzionale” (Fig. 5): la probabilità di un taglio dei tassi entro gennaio 2020 è aumentata a circa l’80%, dal 61% di una settimana fa. Tuttavia, all’interno del FOMC non c’è un consenso in questa direzione, che è invece ampiamente diffuso in merito al mantenimento dei tassi invariati per tutto il 2019.  Sull’altra sponda del Pacifico, la Cina, per preservare i suoi obiettivi di crescita, continuerà con la sua politica di stimolo monetario (tassi di interesse più bassi e tagli al coefficiente di riserva obbligatoria) e fiscale, con un conseguente deprezzamento dello yuan. La Cina, probabilmente non deprezzerà attivamente lo yuan, lasciando che lo faccia il mercato. Contestualmente, nei prossimi mesi si assisterà probabilmente ad un aumento della volatilità derivante dalla necessità dei mercati di interpretare l’esito dello scontro USA-Cina. A cura di Teresa Sardena, Mediobanca SGRSETTIMANA TRASCORSA EUROPA: l’indice Zew torna ascendere a maggio

A maggio, l’indice tedesco di fiducia ZEW sulla fiducia degli investitori è tornato in territorio negativo scendendo a -2.1, dal precedente +3.1 in aprile, disattendendo il consenso per un miglioramento a +5. L’indice è stato trascinato al ribasso dalla componente delle aspettative con un calo a -2,1 (consenso 5.0, valore precedente 3,1). L’indice torna, dunque, a scendere dopo sei mesi di rialzo, confermando le prospettive di crescita deboli per la Germania. La componente relativa alle aspettative è invece migliorata attestandosi a 8.2 dal precedente +5.5. La seconda stima del PIL dell’Area Euro non ha riservato sorprese ed ha confermato la prima stima (0,4% t/t da 0,2% t/t di T4 2018 corrispondente a 1,2% a/a da 1,1% a/a). La crescita dell’Area Euro è stata favorita da un’ottima crescita registrata dalla Spagna, da una crescita moderata in Francia e dal ritorno alla crescita in Italia. La stima preliminare del PIL tedesco per T1 si è attestata a +0.4% t/t (consenso 0.4% t/t, valore precedente 0 in T4 2018). Non è ancora disponibile la ripartizione per componenti, ma il comunicato stampa riporta che la produzione è stata incrementata dalla componente delle costruzioni (che sospettiamo sia dovuta alle condizioni atmosferiche), dagli investimenti in macchinari e dai consumi delle famiglie. Al contrario, vi sono stati “segnali contrastanti” da parte della domanda esterna, poiché sia le esportazioni che le importazioni sono aumentate. In Italia, a marzo i dati sugli ordinativi all’industria hanno messo in evidenza un parziale recupero pari a 2,2% m/m dopo la flessione di 2,8% m/m di febbraio. Il rimbalzo è imputabile principalmente alla domanda estera, a fronte di ordinativi domestici in calo per il terzo mese consecutivo. Ancora negativa però la variazione su base annua: -3,6% a/a da -3,1% a/a con tutte le componenti su livelli inferiori rispetto a marzo 2018, ad eccezione di tessile e elettronica.

USA: la debolezza delle vendite al dettaglio è controbilanciata dalla forza dell’edilizia abitativa

Ad aprile le vendite al dettaglio hanno registrato una contrazione a sorpresa, scendendo dello 0,2% m/m (consenso 0,2%, valore precedente 1,7%). Al netto della componente delle auto le vendite al dettaglio sono scese dell’1,1% attestandosi a +0,1% (consenso +0,7%). Le vendite di automezzi e ricambi sono diminuite dell’1,1% dopo il significativo aumento di marzo (+2,2%).

L’indice di fiducia manifatturiera Empire della Fed di New York relativo al mese di maggio si è attestato al di sopra delle attese salendo a 17,8 da 10,1, ai massimi da sei mesi. Le imprese segnalano un’accelerazione degli ordinativi e delle spedizioni, a fronte di scorte in modesto calo e di un aumento degli ordini inevasi, segnalando una domanda ancora robusta coerente con una prosecuzione dell’espansione in corso, anche se un allentamento dovrebbe essere fisiologico dopo i ritmi particolarmente vivaci osservati in precedenza. A maggio l’indice Philadelphia Fed è salito al di sopra delle attese, attestandosi a 16,6 (consenso 9,0 valore precedente 8,5 in aprile). Positive anche le aspettative per i prossimi sei mesi. Le indicazioni sui prezzi continuano però a segnalare modeste pressioni al rialzo per l’inflazione. In aprile la produzione industriale è diminuita dello 0,5% m/m nel mese di aprile (consenso 0.0). Anche la produzione manifatturiera è diminuita dello 0,5% m/7. La categoria delle apparecchiature business sensitive in termini di capex è diminuita del 2,0%. L’indice del mercato immobiliare NAHB mostra una stabilizzazione dell’attività abitativa: ha continuato a salire raggiungendo il livello più alto da ottobre, 66 dal precedente 63. La composizione è rimasta stabile, con aumenti in tutte e tre le sotto-componenti: vendite correnti (+3 pt. a 72), traffico di potenziali acquirenti (+2 pt. a 49) e vendite future (+1 pt. a 72). Sono aumentati anche tre dei quattro indici regionali, guidati da un forte aumento nel Nord-Est (+10pt a 65). Il sotto-indice del Midwest è rimasto piatto a 56. Positivi anche i dati di aprile relativi ai cantieri (5,7% m/m da 1,7% m/m, consenso 6,2% m/m) e ai permessi di costruzione (0,6% m/m da -0,2% m/m, consenso 0,1% m/m), in linea con una possibile ripresa degli investimenti immobiliari nei prossimi mesi.

ASIA: al netto degli effetti stagionali l’economia cinese si sta stabilizzando

La stagionalità sta influenzando i dati congiunturali cinesi in questi primi mesi del 2019. Una chiusura insolitamente prolungata del nuovo anno cinese a febbraio, ha avvantaggiato i dati relativi al mese di marzo. I numeri di aprile sono poi tornati ad essere più moderati. Trascurando la stagionalità, vediamo che l’economia si sta stabilizzando. In Cina i dati relativi all’attività di aprile sono stati più deboli del previsto. In particolare, la crescita delle vendite al dettaglio è rallentata al 7,2% a/a (consenso 8.6%, valore precedente 8.7%), registrando il valore più debole da maggio 2003. La produzione industriale è aumentata solo del 5,4% a/a (consenso 6,5%, valore precedente dell’8,5% a marzo). La debolezza è stata ampiamente guidata dalle vendite di auto, che sono scese marcatamente. L’ufficio statistico ha dichiarato che la produzione di auto ha risentito dei tagli dell’IVA. Gli investimenti di capitale fisso sono aumentati del 6,1% (consenso 6,4%, valore precedente 6,3%). In particolare, gli investimenti immobiliari (il principale fattore trainante del mese scorso) hanno registrato una marginale accelerazione, rafforzata dai miglioramenti nelle vendite di abitazioni commerciali. I prezzi delle case sono aumentati dello 0,6% m/m in aprile, mantenendo il ritmo a marzo. Guardando alla scomposizione, 67 città su 70 hanno registrato aumenti, rispetto ai 65 di marzo. La ripresa dei mercati di livello 1 e 2 ha compensato la decelerazione del livello 3. La narrazione si è spostata dalle preoccupazioni per una bolla immobiliare verso il riconoscimento del fatto che quest’area è uno dei pochi motori di crescita dell’economia, il che a sua volta ha stimolato il dibattito sul fatto che i responsabili politici allenteranno i freni agli investimenti preventivi come forma di stimolo.

PERFORMANCE DEI MERCATI Dati aggiornati alle ore 17.30 di venerdì 17 maggio
MERCATI AZIONARI

Settimana priva di variazioni significative sui mercati azionari, che dopo un lunedì di vendite, recuperano nel corso degli altri giorni. ll clima di avversione al rischio riemerso con lo stallo dei negoziati commerciali tra USA e Cina  ha continuato a pesare sui flussi verso principali indici azionari durante la settimana. Il tema dominante continua ad essere la tensione sul fronte commerciale e di sviluppo tecnologico (i.e. 5g) tra USA e Cina, che sembra ad oggi ancora lontana da una possibile soluzione. A livello settoriale i settori difensivi (utilities e consumer staples) registrano delle buone performances, così come il settore energetico (soprattutto in EU), grazie alla stabilizzazione del prezzo del greggio. Gli utili attesi, in variazione a/a dagli analisti (IBES) a 12 mesi sono in territorio positivo ovunque ad eccezione di Germania e Asia; un aspetto positivo da valutare è la revisione degli utili stessi, che ha svoltato al rialzo a livello globale. I multipli (P/E) sono tornati a salire nel corso del 2019 (la dicotomia rialzo dei prezzi e peggioramento del quadro macroeconomico sembrerebbe essere la caratteristica dominante, per ora, di questa prima parte dell’anno): in Eurozona sono attorno a 13, in USA a 17, mentre più in basso per gli emergenti. Questo ultimo aspetto, assieme a banche centrali ancora decisamente accomodanti, potrebbe favorire quest’ultima area nel corso dei prossimi trimestri.

 

VIEW STRATEGICA

Le revisioni al ribasso del tasso di crescita degli utili, coerenti con il rallentamento del ciclo economico, stanno trovando compensazione in banche centrali meno aggressive delle attese, fattore che sostiene temporaneamente gli attivi rischiosi. L’asset class continua ad offrire un profilo rischio/rendimento più attraente rispetto al comparto obbligazionario. 

MATERIE PRIME E VOLATILITA’

Le tensioni geopolitiche hanno spinto al rialzo il prezzo del petrolio, che sembra accantonare per il momento i rischi di un rallentamento della crescita economica con riflessi sulla domanda di greggio. Lo scorso fine settimana due petroliere saudite sono state oggetto di sabotaggio, subendo danni significativi in un attacco vicino allo Stretto di Hormuz. Contestualmente, è emerso che gli USA la settimana scorsa che hanno inviato la settiman scorsa una portaerei, bombardieri e una batteria antimissile Patriot nel Golfo Persico per contrastare la crescente minaccia dall’Iran. Il rapporto mensile sul mercato petrolifero dell’EA riporta che la domanda globale di petrolio crescerà più lentamente del previsto, -riportando al prima riduzione della domanda stimata da ottobre 2018- e segnala che le forniture saranno ridotte a causa delle sanzioni degli Stati Uniti sull’Iran. Le stime per la domanda globale di petrolio per T1 sono state ridotte di 400.000 barili giorno, e per l’intero anno a 200.000 bpd. I prezzi dei metalli industriali risentono invece delle tensioni commerciali.

 

TASSI DI CAMBIO

In settimana abbiamo assistito ad un rafforzamento del dollaro USD nei confronti dell’euro, che è tornato sotto quota 1.12, avvantaggiandosi dei buoni dati macroeconomici.

Il dollaro USD si è rafforza anche nei confronti dello yen giapponese. Prosegue, invece, la debolezza della sterlina, con il cross EUR/GBP ai massimi da tre mesi. Sulla valuta britannica pesano le tensioni politiche interne al partito conservatore, con alcuni membri del partito di governo che chiedono le dimissioni del Primo ministro May. Risultano particolarmente deboli anche le valute emergenti.

 

VIEW STRATEGICA

La divergenza di politica monetaria delle due principali banche centrali, ha creato un gap nel percorso di rialzo dei tassi che dovrebbe iniziare a restringersi nel corso del 2019, determinando un indebolimento del dollaro US nei confronti della moneta unica europea. Inoltre, l’evoluzione della valuta comune dipenderanno probabilmente, nei prossimi mesi, dall’evoluzione di alcuni rischi allo scenario globale, come Brexit e le relazioni commerciali tra USA e Cina.

 

PERFORMANCE DEI MERCATI Dati aggiornati alle ore 17.30 di venerdì 17 maggio
MERCATI DEI TITOLI DI STATO

Due driver contrapposti guidano i rendimenti dei titoli di stato US: la solidità dell’economia USA giustifica rendimenti più elevati mentre l’aumento dell’avversione al rischio (guerra commerciale) innesca flussi di acquisto verso titoli safe- haven. Il consenso all’interno del FOMC continua ad essere rivolto alla stabilità dei tassi di interesse. Il presidenti Rosengren e Wiliam hanno confermato di voler mantenere i tassi di interesse invariati data la situazione attuale, ribadendo che nonostante esistano rischi al ribasso per la crescita è prematuro modificare la stance di politica monetaria. Il presidente, George, ha, inoltre scongiurato un taglio dei tassi di interesse “precauzionale” che in presenza di un’inflazione persistentemente bassa potrebbe alimentare bolle patrimoniali. Il rendimento dei titoli governativi tedeschi sono tonati a scendere, toccando in settimana -0.12, il più basso dall’inizio di ottobre 2016, influenzati all’aumento dell’avversione al rischio (inasprimento tensioni commerciali USA-Cina, crescenti preoccupazioni sulle prospettive fiscali dell’Italia, l’incertezza relativa al processo di Brexit in corso nonché le elezioni europee della prossima settimana, che potrebbero vedere i partiti populisti ottenere un ampio sostegno). Lo spread dei titoli governativi italiani rispetto al Bund è nuovamente sotto pressione sia a causa del calo dei rendimenti dei titoli governativi tedeschi sia a seguito dell’aumento di quelli italiani, dopo le recenti dichiarazioni del ministro dell’interno, Salvini, sul presunto possibile sforamento del 3% di deficit/PIL dichiarazioni poi smentite dal ministro Tria, ha confermato l’impegno del governo a raggiungere gli obiettivi previsti DEF.

VIEW STRATEGICA

Governativo US. Il ciclo economico è positivo ma mostra segni di rallentamento L a FED ha adottato un atteggiamento più dipendente dai dati e dai mercati preparandoli ad una pausa prolungata nel suo ciclo di rialzo dei tassi, complice anche la moderazione dell’inflazione. Il rischio di recessione negli Stati Uniti rimane limitato ma in aumento.

Governativo Euro. L’inflazione non mostra segni di aumento in un contesto di perdita di momentum per la crescita economica. La BCE continuerà pertanto ad esser presente sul mercato attraverso la politica di reinvestimento dei titoli che giungeranno a scadenza nel corso del 2019 restando attendista sul rialzo dei tassi. C’è un consenso crescente all’interno del Consiglio Direttivo della BCE a favore dell’offerta di nuove LTROs.

 

MERCATI DEI TITOLI CORPORATE

Nella settimana trascorsa il mercato corporate è stato caratterizzato da due fasi ben distinte: un inizio settimana piuttosto negativo con la prosecuzione del movimento di allargamento degli spread iniziato con il nuovo mese e una fase decisamente più positiva a partire da metà settimana con una seduta molto forte giovedì e una giornata più di assestamento in chiusura di settimana.  Il mercato primario si è mantenuto comunque molto attivo, come peraltro anche la settimana scorsa nella debolezza con emissioni su tutti i comparti. Su base settimanale, inclusa la giornata odierna, gli indici HY hanno avuto performance lievemente negative (sia in Eur che US HY) con performance positiva ma contenuta per Subordinati, mentre negativa in particolare sui titoli di emittenti periferici. Su Indici CDS, particolarmente liquidi ed utilizzati anche per riposizionamenti più veloci sull’asset class, la settimana su Itraxx Xover (Hy) si e’ chiusa con un lieve restringimento (279 da 281) dopo aver toccato oltre 10bp di allargamento nelle prime sedute. Itraxx Main (IG) ha chiuso a 65 (-1) mentre Sub Fin a 162 (+2); stessa dinamica, anche se lievemente peggiore rispetto all’Europa, in US, con IG (+3) e HY (+10) nella settimana in cui le headlines sul Trade hanno continuato a creare fasi alterne di volatilità sul mercato. [A cura del team obbligazionario di Mediobanca SGR].

VIEW STRATEGICA

Corporate IG: Valutazioni elevate, congiuntamente al rischio connesso alle curve governative di riferimento, superano l’effetto positivo derivante dal ciclo economico, inducendoci ad esprimere una view negativa sull’asset class.

Corporate HY: La correlazione positiva con il mercato azionario ed il recente allargamento degli spread, mantengono interessante l’investimento sull’asset class, pur in un contesto fragile dati i crescenti rischi di scenario. La ridotta liquidità nelle fasi di stress ed il ricomparire del «rischio idiosincratico» suggeriscono comunque un approccio prudente e diversificato alla stessa

 

LE PROSSIME DUE SETTIMANE: quali dati?

  • Europa: dopo il dato deludente sull’indice ZEW, l’attenzione sarà rivolata alla pubblicazione dell’indice di fiducia delle imprese IFO di maggio. I verbali dell’ultimo meeting della BCE potrebbero fornire alcuni indizi per le TLTRO
  • Stati Uniti: l’attenzione sarà rivolta alla pubblicazione dei verbali del FOMC del primo maggio. Inoltre saranno pubblicati i valori preliminari degli indici Markit PMI di maggio, insieme a ordini di beni durevoli, richieste di disoccupazione e vendite di case nuove ed esistenti di aprile.
  • Asia: in Giappone sarà pubblicata la stima preliminare del PIL relativa a T1 oltre che produzione industriale, PMI manifatturiero, CPI nazionale e bilancia commerciale

 

A cura della Funzione Asset Allocation

Il presente documento (il “Documento”) è stato preparato dalla Funzione Asset Allocation di Mediobanca SGR SpA (la “SGR”) a scopo puramente informativo. Il documento non ha carattere di offerta, invito ad offrire, o di messaggio promozionale finalizzato all’acquisto, alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti/prodotti finanziari di qualsiasi genere. Inoltre, esso non è inteso a raccomandare o a proporre una strategia di investimento in merito a strumenti finanziari. In particolare il presente Documento non costituisce in alcun modo una raccomandazione personalizzata; lo stesso è stato predisposto senza considerare gli obiettivi di investimento, la situazione finanziaria o le competenze di specifici investitori. Il presente Documento è proprietà di Mediobanca SGR; esso non può essere riprodotto o pubblicato, nemmeno in una sua parte, senza la preventiva autorizzazione scritta della SGR. Le informazioni, opinioni, valutazioni e/o previsioni contenute nel presente Documento (le “Informazioni”) si basano su fonti ritenute autorevoli ed attendibili; tuttavia, la SGR non assume alcuna responsabilità per eventuali errori od omissioni né potrà considerarsi responsabile per le eventuali perdite, danni o conseguenze di qualsivoglia natura (legali, finanziarie o fiscali) che dovessero derivare dal fatto che si sia fatto affidamento su tale Documento. Ciascun investitore dovrà pertanto assumere le proprie decisioni di investimento in modo autonomo, tenuto conto delle sue caratteristiche e dei suoi obiettivi di investimento, e a tale scopo non dovrà basarsi, prioritariamente o esclusivamente, sul presente Documento. I rendimenti passati, eventualmente rappresentati nel Documento, non sono indicativi né garantiscono gli stessi rendimenti per il futuro. Le Informazioni contenute nel presente Documento costituiscono valutazioni aggiornate alla data della sua produzione e potrebbero variare nel tempo, senza necessità di comunicazione da parte della SGR.