25 Maggio 2022

Il ticket NASpI: aspetti operativi

di Maurizio Polato

L’articolo è volto a illustrare l’istituto del contributo obbligatorio che il datore di lavoro deve versare a fronte del licenziamento del lavoratore. Verrà data una definizione del c.d. ticket NASpI e ne saranno delineati i tratti operativi essenziali, come i soggetti onerati, i beneficiari, la determinazione dell’importo, i termini e le eventuali sanzioni dovute per gli inadempimenti.

 

Il ticket NASpI: una definizione

L’acronimo NASpI significa “Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego” e si tratta di un istituto a sostegno del reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente il posto di lavoro. Sebbene la prestazione sia erogata dall’Inps direttamente all’avente diritto, l’ex datore di lavoro è comunque titolare dell’obbligo al versamento di un contributo, il c.d. ticket NASpI.

L’origine dell’istituto è da rinvenirsi nella Riforma Fornero: l’articolo 2, commi 31-35, L. 92/2012, ha, infatti, stabilito l’obbligo per l’ex datore di lavoro di versare tale contributo; lo scopo perseguito – data la contingente crisi economica – era di limitare le spese dello Stato, in parte accollando alle imprese private parte del costo del finanziamento prestazioni temporanee.

Il ticket è, tuttavia, dovuto solamente in caso di risoluzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per una causa diversa dalle dimissioni e dalla risoluzione consensuale (tutte le opportune specificazioni saranno evidenziate infra).

 

Soggetto incaricato

Come visto, il contributo è totalmente a carico dell’ex datore di lavoro. Tuttavia, in alcuni casi la giurisprudenza ha stabilito il riaddebito del ticket al lavoratore: ad esempio, il Tribunale di Udine, nella recente sentenza del 30 settembre 2020, ha qualificato come legittima la detrazione dalle competenze di fine rapporto l’ammontare del ticket di licenziamento. Nella fattispecie, il rapporto era venuto meno a seguito di un procedimento disciplinare dovuto ad assenza ingiustificata del lavoratore che non si era presentato al lavoro appositamente per farsi licenziare al fine esclusivo di ottenere la NASpI.

Deve essere evidenziato che, come emerso dall’attività istruttoria espletata dal giudice friulano, l’iniziativa di porre fine al rapporto lavorativo è stata presa esclusivamente dal lavoratore, il quale, a fronte del rifiuto oppostogli dal datore, si è in seguito assentato dal lavoro deliberatamente al fine di farsi licenziare. Si potrebbe quasi dire che il lavoratore ha, di fatto, imposto il proprio licenziamento per fini esclusivamente (e comprovatamente) opportunistici.

È bene precisare, inoltre, che, a fronte di simili situazioni, il datore di lavoro non potrà comunque autonomamente decidere di non pagare il contributo, agendo in autotutela: l’unica possibilità è muoversi sul terreno civilistico, chiedendo al lavoratore il risarcimento del danno a fronte della sua condotta illecita, violatrice dei generali doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni contrattuali.

Il caso è, pertanto, del tutto peculiare: il riaddebito del contributo è del tutto eccezionale e deve necessariamente essere calato nel caso concreto, non potendo certo delinearsi una regola generale che avvalli una simile prassi.

 

Quando il ticket NASpI è dovuto

L’obbligo del versamento è intimamente legato al diritto teorico di accedere alla NASpI: il lavoratore deve trovarsi in uno stato di disoccupazione che sia involontario[1].

Si schematizzano di seguito le fattispecie che danno titolo alla NASpI (e, di conseguenza, pretendono il versamento del contributo di licenziamento):

  • licenziamento per giusta causa, giustificato motivo oggettivo o soggettivo;
  • licenziamento durante il – o al termine del – periodo di prova;
  • licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  • licenziamento di lavoratore intermittente;
  • licenziamento collettivo;
  • interruzione del rapporto di apprendistato per recesso unilaterale del datore di lavoro al termine del periodo formativo.

 

Esclusioni dall’obbligo del versamento del contributo ed eccezioni alla regola

Invece, il contributo obbligatorio non è dovuto in caso di dimissioni volontarie. I casi di esclusione dal versamento del ticket possono essere tipizzati nelle seguenti fattispecie:

  • le dimissioni volontarie;
  • la risoluzione consensuale;
  • il decesso del lavoratore;
  • la scadenza del contratto a termine;
  • il completamento delle attività e chiusura del cantiere nel settore delle costruzioni edili;
  • cambio di appalto a cui siano succedute assunzioni presso altro datore di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai Ccnl stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’esonero in esame non trova applicazione qualora la risoluzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del datore di lavoro originario sia dichiarata illegittima, sebbene il rapporto di lavoro sia passato all’impresa subentrante.

Un caso particolare che esclude sempre il contributo de quo è, invece, quello dei lavoratori domestici[2].

Nonostante la regola generale, è opportuno evidenziare alcuni necessari distinguo.

È, infatti, ugualmente necessario versare il ticket NAspI nei seguenti casi:

  • dimissioni per giusta causa;
  • dimissioni durante il periodo tutelato di maternità;
  • risoluzione consensuale del rapporto nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria (articolo 7, L. 604/1966) ovvero dell’offerta di conciliazione ex articolo 6, D.Lgs. 23/2015;
  • dimissioni in caso di trasferimento d’azienda presentate entro 3 mesi;
  • interruzioni di rapporto di lavoro intervenute nell’ambito delle procedure del contratto d’espansione;
  • risoluzione consensuale nell’ambito di accordi aziendali di incentivo alla cessazione, intervenuti nel periodo di blocco dei licenziamenti imposto dalla normativa per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19;
  • risoluzione consensuale in seguito al trasferimento del lavoratore presso altra sede della stessa impresa che disti più di 50 km dalla residenza del dipendente o che sia raggiungibile con mezzi pubblici in non meno di 80 minuti.

 

Ticket NASpI in caso di cessione del contratto?

Non deve naturalmente confondersi la cessione del contratto con la cessione d’azienda: nel primo caso può avvenire il passaggio di un dipendente, ma solo con il suo consenso, da un datore di lavoro a un altro senza che vi sia un’intera cessione d’azienda. Semplicemente, viene ceduto il rapporto di lavoro ai sensi della disciplina generale prevista dall’articolo 1406, cod. civ.. In questo caso non vi è alcuna interruzione del rapporto di lavoro, c’è solo un mutamento soggettivo dal lato datoriale. Naturale conseguenza è che non sorge alcuna necessità di versamento del contributo da parte dell’ex datore di lavoro.

 

Quantificazione del contributo

L’ammontare del contributo di licenziamento è pari al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.

Peraltro, in caso di licenziamento collettivo, l’articolo 2, comma 35, L. 92/2012, prevede la triplicazione dell’importo del ticket.

Si precisa e ricorda che il massimale NASpI è annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. Per l’anno 2022, il massimale NASpI è di 1.360,77 euro e, di conseguenza, per calcolare il contributo di licenziamento per l’anno corrente si dovrà moltiplicare la somma di 557,92 euro per 2 o per 3, a seconda dell’anzianità.

È, dunque, importante determinare l’anzianità di servizio ed evidenziare i criteri di calcolo. Come afferma l’Inps nella circolare n. 137/2021: “al fine di determinare l’esatto importo dovuto, è necessario prioritariamente determinare l’anzianità lavorativa del lavoratore cessato, applicando le regole di computo esposte al paragrafo 3.1 della citata circolare n. 40/2020; il contributo deve essere infatti calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, maturati dal lavoratore nel limite massimo di 36 mesi”.

L’Istituto aveva già precedentemente indicato i criteri per la determinazione dell’anzianità aziendale al fine del calcolo del ticket con la circolare n. 40/2020: “ai fini dell’anzianità lavorativa, deve essere considerata come intera mensilità quella in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni”.

Invece, “non si deve tener conto dei periodi di congedo di cui all’articolo 42, comma 5, del D.lgs 26 marzo 2001, n. 151, né dei periodi di aspettativa non retribuita”.

In caso di trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato si terrà conto dell’intero periodo (quindi anche dell’anzianità afferente al rapporto a tempo determinato). Analogamente, in caso di cessione d’azienda, si terrà naturalmente conto anche del rapporto intercorso con la società cedente.

Nel caso di lavoratori intermittenti, l’Istituto ha precisato che l’anzianità aziendale si determina considerando solo i giorni lavorati[3].

 

Ticket NASpI e delocalizzazioni

La Legge di Bilancio 2022, all’articolo 1 commi 224-238, ha previsto misure speciali nel caso in cui il datore di lavoro intenda chiudere una sede produttiva, procedendo a minimo 50 licenziamenti. La misura riguarda i datori di lavoro che abbiano occupato nell’anno precedente almeno 250 lavoratori (apprendisti e dirigenti inclusi). La ratio è di ostacolare o, quantomeno, limitare i danni sociali delle delocalizzazioni.

Nello specifico, il datore di lavoro dovrà comunicare, entro 90 giorni e a pena di nullità, l’avvio della procedura di licenziamento collettivo ai sindacati, alla Regione, al Ministero del lavoro nonché a quello dello sviluppo economico e, infine, all’Anpal. La comunicazione dovrà indicare il termine entro il quale saranno effettuati i licenziamenti, le ragioni soggiacenti e, naturalmente, il numero dei dipendenti soggetti.

Oltre a ciò, entro 60 giorni dalla comunicazione di cui sopra, il datore di lavoro procedente deve predisporre un piano volto a limitare le ricadute occupazionali: in esso andranno espressi interventi che il datore di lavoro si propone di attuare gestire i licenziamenti in maniera non traumatica, come, ad esempio, azioni per la rioccupazione o autoimpiego, possibili cessioni d’azienda o progetti di riconversione del sito produttivo.

Se il datore di lavoro non rispetta quanto progettato nel piano, sarà sanzionato con il pagamento del ticket NASpI di ciascun lavoratore licenziato per un importo pari a 6 volte quello ordinario.

Entro 30 giorni dalla presentazione del piano, questo dovrà essere discusso con i soggetti interessati dalla comunicazione. Qualora si raggiunga il consenso sulle misure proposte, è importante rilevare che non verrà applicato l’articolo 2, comma 35, L. 92/2012, che prevede la triplicazione del ticket NASpI in caso di licenziamento collettivo.

 

Termini per il versamento e regime sanzionatorio

L’ex datore di lavoro obbligato al pagamento del contributo deve provvedervi entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro: pertanto, entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessazione, il versamento deve essere fatto in unica soluzione.

Le somme versate come ticket NASpI hanno valenza contributiva e, pertanto, sono ovviamente soggiacenti al regime sanzionatorio disposto per tale materia[4].

[1] Come visto nella citata sentenza del Tribunale di Udine, il concetto di disoccupazione involontaria è talvolta scivoloso e decisamente meno univoco di quanto si possa pensare.
[2] Si veda la circolare Inps n. 25/2013.
[3] Per maggiori dettagli e approfondimenti si rimanda alle citate circolari Inps n. 40/2020 e n. 137/2021.
[4] Si veda l’articolo 116, L. 388/2000.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia: