16 Ottobre 2019

Welfare e categorie di dipendenti: escluso un collegamento finalistico

di Alberto Borella

Una recente risposta dell’Agenzia delle entrate, fornita con l’interpello n. 273/2019 – riguardante l’esclusione dalla formazione del reddito di quel particolare welfare rappresentato da un percorso di formazione, apprendimento e formazione professionale per un gruppo di dipendenti a rischio occupazionale – nasconde un’interessante indicazione, escludendo di fatto qualsiasi legame tra l’individuata categoria di beneficiari e la tipologia di welfare a loro riservata.

 

La fattispecie analizzata dall’interpello n. 273/2019

La fattispecie oggetto di interpello è alquanto singolare. L’istante, infatti, rappresenta di aver disposto a favore di una particolare categoria di lavoratori, individuati tra coloro che considera oggettivamente a maggior rischio di non impiegabilità e fragilità sociale, ciò che definisce un “Percorso occupabilità”, ovvero una formazione specifica, pagata ovviamente dall’azienda, che possa permettere loro una migliore occupabilità in azienda ma anche, in caso di perdita del posto di lavoro, un reimpiego agevole nel mondo lavorativo. Ai medesimi lavoratori viene altresì offerto un paniere welfare, per così dire, di tipo classico.

La questione posta riguarda, ovviamente, il corretto trattamento fiscale di tali strumenti.

 

La categoria di dipendenti

Il primo dubbio che affligge l’impresa riguarda la configurabilità del gruppo di dipendenti dalla stessa individuati, beneficiari del welfare, quale categoria omogenea di lavoratori.

Questa categoria, secondo l’istante, sarebbe costituita dai lavoratori considerabili a maggior rischio di non impiegabilità, nonché in situazione di maggior fragilità sociale, sulla base di un sistema di valutazione che assegnerebbe, basandosi su una serie di condizioni oggettive funzionali predeterminate, un punteggio crescente in funzione del rischio di scarsa impiegabilità e fragilità sociale, conseguente alla sussistenza della condizione stessa in capo al singolo individuo.

La definizione del profilo personale di occupabilità prevede il calcolo del livello di svantaggio cioè della probabilità di non essere occupato. Le caratteristiche considerate sono sia individuali (genere, età, cittadinanza, titolo di studio, stato di disoccupazione) che riferite al territorio in cui risiede la persona e, quindi, alla dinamicità del mercato del lavoro locale (tasso di occupazione, incidenza delle famiglie a bassa intensità di lavoro, densità imprenditoriale). Tutti questi dati vengono ricavati dalle stesse informazioni anagrafiche e professionali che l’utente inserisce al momento della dichiarazione di disponibilità. Grazie a questa attività verranno inclusi nel Percorso occupabilità tutti i dipendenti che avranno almeno un punteggio di 140, che rappresenta il limite minimo per essere considerati soggetti a maggior rischio di scarsa impiegabilità e fragilità sociale.

 

La prima tipologia di welfare offerta: il “Percorso occupabilità”

La società istante intende sottoscrivere un contratto integrativo aziendale che prevede un piano di welfare aziendale avente l’obiettivo di mettere a disposizione di tutti i dipendenti, rientranti in uno specifico gruppo individuato sulla base di criteri oggettivi funzionali, un percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale (in seguito “Percorso occupabilità”), volto a migliorare la quantità e la qualità delle competenze, conoscenze e capacità, al fine di potenziare l’occupabilità futura di ciascuno, sia in termini di percorso di carriera all’interno della società che in previsione di eventuali futuri diversi impieghi professionali.

Il “Percorso occupabilità” riveste una duplice finalità: da un lato, allontanare il più possibile il rischio di obsolescenza tecnica e professionale, anticipando future competenze necessarie; dall’altro, allineare le abilità possedute dal dipendente alle necessità presenti e, soprattutto, future dell’organizzazione aziendale, sia in termini di capacità di ricoprire posizioni lavorative vacanti sia posizioni del tutto nuove, avvantaggiando quindi la crescita interna e il conseguente miglioramento del benessere personale e del clima lavorativo in generale.

 

La seconda tipologia di welfare offerta: il “Paniere”

Oltre a quanto sopra, ai soli lavoratori inseriti nel “Percorso occupabilità”, sarà assegnato un budget di spesa “figurativo” (di seguito “Credito welfare”), non liquidabile né convertibile in trattamento di altro genere, che consentirà di fruire di opere, beni e servizi con finalità sociali di cui all’articolo 51, commi 2, 3 e 4, Tuir, al fine di fornire sostegno sociale.

La società si premura di precisare che a tutti gli altri lavoratori che, sulla base dei criteri oggettivi funzionali individuati, non saranno inseriti tra i beneficiari del Percorso occupabilità, le parti intendono riconoscere un’erogazione economica non legata all’andamento economico della società. Un aspetto del quale – lo anticipiamo subito – l’Agenzia pare non aver tenuto conto per la propria risposta.

Tornando, quindi, ad occuparci dei lavoratori inseriti nel citato “Percorso occupabilità” l’azienda precisa che metterà a loro disposizione un “Credito welfare” da utilizzare per usufruire delle seguenti utilità:

  1. a) buoni acquisto;
  2. b) contribuzione aggiuntiva alla previdenza complementare;
  3. c) acquisto di pacchetti sanitari integrativi;
  4. d) rimborso spese sostenute per i familiari in età prescolare;
  5. e) rimborso spese scolastiche per i familiari;
  6. f) rimborso spese sostenute per l’assistenza dì familiari anziani e/o non autosufficienti;
  7. g) servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, di assistenza sociale e sanitaria;
  8. h) rimborso spese sostenute per abbonamenti al trasporto pubblico.

 

Il parere dell’Agenzia delle entrate

La risposta dell’Agenzia parte da alcune premesse, peraltro comuni agli interpelli in materia welfare.

Si fa per prima cosa notare come l’articolo 51, comma 2, Tuir, elenchi tassativamente le somme e i valori, percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente, che in tutto o in parte sono esclusi dal reddito imponibile in deroga al principio generale dell’onnicomprensività sancito dall’articolo 51, comma 1, Tuir, secondo il quale “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” costituiscono reddito di lavoro dipendente. Affinché, però, queste utilità non generino reddito imponibile in capo al lavoratore è necessario, tra l’altro, che i servizi siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria ha più volte precisato (vedasi circolari n. 326/E/1997, n. 188/E/1998, n. 28/E/2016 e n. 5/E/2018) che il Legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione “alla generalità dei dipendenti” ovvero “a categorie di dipendenti”, non riconosce l’applicazione delle disposizioni tassativamente elencate nell’articolo 51, comma 2, Tuir, ogni qual volta le somme o servizi ivi indicati siano rivolti “ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori”.

Inoltre, con i citati documenti di prassi è stato ulteriormente chiarito che l’espressione “categorie di dipendenti”, utilizzata dal Legislatore, non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte, etc.), ovvero a un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle “utilità” previste. Sulla base di tali pregresse e ormai consolidate indicazioni, l’Agenzia delle entrate, seppur nel particolare contesto dei premi di risultato, ha di recente addirittura configurato quale “categoria di dipendenti” l’insieme di lavoratori che, avendo convertito, in tutto o in parte, il premio di risultato in welfare, ricevono una “quantità” di welfare aggiuntivo rispetto al valore del premio.

Ciò considerato, l’interpello dà atto preliminarmente di come nella fattispecie rappresentata il “Percorso occupabilità”, nonché il budget di spesa “figurativo” (c.d. “Credito welfare”) sia rivolto ai dipendenti della società istante a maggior rischio di non impiegabilità, nonché in situazione di maggior fragilità sociale. In ragione della circostanza che la valutazione di tali prerogative è legata a diversi fattori, soggettivi e oggettivi (riferiti al territorio ove risiede il lavoratore e quindi al livello di occupazione locale), e che a ognuno di essi è riconosciuta una diversa valenza, rapportata a una scala numerica di valutazione, tant’è che solo coloro che raggiungono un punteggio di 140 possono accedere alle predette “utilità”, l’Agenzia è dell’avviso che il “Percorso occupabilità”, e il conseguente riconoscimento del budget di spesa “figurativo” (il c.d. “Credito welfare”) è offerto a una “categoria di dipendenti”, così come richiesto dall’articolo 51, comma 2, Tuir.

In relazione, poi, all’applicabilità, alla fattispecie in esame, del regime agevolato previsto dalle rispettive disposizioni del più volte citato articolo 51, comma 2, Tuir, viene osservato che la lettera f) del predetto comma dispone che “Non concorrono a formare il reddito [di lavoro dipendente] … l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100” ovvero di educazione, istruzione ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

In riferimento infine all’ambito di operatività della lettera f) menzionata, l’Amministrazione finanziaria, in più occasioni, ha precisato che, affinché si determini l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, devono ricorrere congiuntamente, tra l’altro, le seguenti condizioni:

  • le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti;
  • le opere e i servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro;
  • le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale o culto.

Quanto sopra considerato, l’Agenzia ritiene, innanzitutto, che nel caso di specie oggetto dell’interpello devono ritenersi soddisfatte le prime 2 condizioni, dato che, come detto, l’offerta è rivolta a una categoria di dipendenti e, inoltre, che la medesima non si concretizza nell’erogazione, anche a titolo di rimborso, di una somma di denaro.

Per quanto concerne le finalità da perseguire, conferma l’indicazione già fornita, ovvero che la disposizione in argomento presenta una formulazione piuttosto ampia, tale da ricomprendere, per quanto interessa in questa sede, tutte le prestazioni comunque riconducibili alle finalità educative e di istruzione, indipendentemente dalla tipologia di struttura (di natura pubblica o privata) che li eroga.

Per questo, conclude l’interpello, concretizzandosi il “Percorso occupabilità” in un percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale, questo deve considerarsi perseguire la finalità di “istruzione”, così come richiesto dalla citata disposizione di cui all’articolo 51, comma 2, lettera f), Tuir, e, conseguentemente, non genererà, nei confronti dei dipendenti della società istante, alcun reddito di lavoro dipendente imponibile ai sensi del comma 1 del medesimo articolo.

Anche in relazione al budget di spesa figurativo per la fruizione delle “utilità” presenti nel paniere del piano welfare, si conferma che l’utilizzo dello stesso non genererà materia imponibile nei confronti dei lavoratori, sempreché le modalità di utilizzo di tale budget non contrastino con le finalità delle disposizioni di cui all’articolo 51, commi 2 e 3, Tuir, e sempreché il budget assegnato, in caso di non utilizzo, non venga convertito in denaro e rimborsato al lavoratore. Nel parere si rammenta anche che l’articolo 51, comma 3, Tuir, nel fornire i criteri per la determinazione del valore dei beni in natura, prevede che “Non concorre a formare il reddito [di lavoro dipendente] il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000 (€ 258,23, NdA); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.

 

Considerazioni finali

La risposta fornita dall’Agenzia delle entrate sul caso in questione appariva scontata in merito al trattamento fiscale da riservare sia al “Percorso occupabilità” che al Paniere welfare.

Il primo non poteva che rientrare nelle finalità di “istruzione”, considerando l’ampia formulazione dell’articolo 51, comma 2, lettera f), Tuir, che, lo rammentiamo ancora una volta, dispone che “Non concorrono a formare il reddito [di lavoro dipendente] … l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100” ovvero di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

La seconda tipologia di servizi previsti dal Piano welfare rappresenta il classico paniere che si rifà all’elencazione di beni indicati nell’articolo 51, commi 1 e 2, Tuir. Anche qui nessun dubbio poteva sussistere circa la loro esclusione dal reddito del percipiente.

Meno scontato, ma prevedibile o quantomeno auspicabile, risulta il via libera a considerare “categoria omogenea” il gruppo di lavoratori considerati a rischio “occupabilità presente e futura”.

Qui si ritiene sia stato rilevante il criterio oggettivo indicato per la loro individuazione, ovvero un punteggio attribuito in base alle informazioni anagrafiche e professionali che l’utente stesso inserisce al momento della dichiarazione di disponibilità.

La cosa che, invece, forse più sorprende – quantomeno chi qui scrive – è la mancanza di un alert in merito all’eventualità che il piano welfare possa astrattamente nascondere un trattamento ad personam, ovvero costituire dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori, preoccupazione che, al contrario, appare sempre manifestata nelle risposte ad altri interpelli sull’argomento.

Del resto, il cruccio che il trattamento possa risultare manifestamente discriminatorio o mirato a selezionare arbitrariamente un gruppo di lavoratori da premiare con emolumenti esenti imposte e contributi appare evidente nel richiamo al requisito della corresponsione “alla generalità dei dipendenti” ovvero a “categorie di dipendenti”, e ciò, sostiene l’Agenzia, a prescindere dall’utilizzo di questa espressione da parte del Legislatore. Chiaro il riferimento all’annoso tema del ticket restaurant, per il quale il Legislatore, a differenza di altri benefit, non ha richiesto esplicitamente il requisito della categoria. Su questo aspetto, senza peraltro voler qui riaprire il dibattito, ci limitiamo a sottolineare il richiamo fatto ai propri precedenti chiarimenti – “Al riguardo, l’amministrazione finanziaria ha più volte precisato (vedasi circolari n. 326 del 1997, n. 188 del 1998, n. 28/e del 2016 e n. 5/e del 2018)” – quasi che l’aver ribadito e il ribadire ricorrentemente il proprio orientamento lo faccia assurgere a norma vigente o, quantomeno, a interpretazione unanimemente accettata.

Più interessante sicuramente evidenziare come, nella fattispecie descritta nell’interpello, non vi sia alcun nesso tra le tipologie dei benefit – quali ad esempio, i buoni acquisto o il rimborso spese sostenute per abbonamenti al trasporto pubblico – e lo status di soggetto a rischio di licenziamento o di futura occupazione. Diversa l’ipotesi di contribuzione aggiuntiva alla previdenza complementare, dove un nesso, anche se con uno certo sforzo di fantasia, è possibile individuarlo.

In sostanza, l’interpello riconosce implicitamente alle aziende la possibilità di individuare una qualsiasi categoria di lavoratori, purché ciò avvenga in modo oggettivo, e di attribuire loro un piano di welfare, ancorché svincolato dalle potenziali necessità dei possibili beneficiari, con l’automatico e legittimo riconoscimento dei previsti benefici fiscali. Del resto, difficilmente si sarebbe potuto argomentare diversamente, dato che la norma non pone esplicitamente vincoli in tale senso.

È vero che l’istante si era premurato di precisare che ai lavoratori non inseriti tra i beneficiari del “Percorso occupabilità” sarebbe stata riconosciuta un’erogazione economica non legata all’andamento economico della società (importo peraltro non quantificato, nemmeno in percentuale, rispetto al piano welfare riconosciuto alla categoria dei soggetti a rischio occupabilità), quasi a voler evidenziare un trattamento, seppur diversificato, riservato a tutto il personale in forza, così da escluderne, quindi, qualsiasi carattere discriminatorio. Ma di questo aspetto nessun cenno viene fatto dall’Agenzia, a conferma che la cosa non è stata ritenuta rilevante nella formulazione della risposta.

Stando, quindi, all’interpretazione fornita con la risposta a interpello n. 273/2019, nulla vieterebbe di individuare quale categoria omogenea tutti i lavoratori residenti a più di 50 Km dalla sede di lavoro e anziché attribuirgli, come sarebbe certamente coerente, un “Abbonamento al trasporto pubblico”, riconoscere loro il “Rimborso spese sostenute per l’assistenza dì familiari anziani e/o non autosufficienti”. Cosa che, evidentemente, non avrebbe alcun nesso logico e/o finalistico.

Ovviamente, siamo certi che difficilmente un’organizzazione sindacale dei lavoratori firmerebbe un accordo simile anche solo per il timore delle possibili rimostranze degli esclusi, ai quali sarebbe difficile opporre la spiegazione logica di tale scelta. Ragioni di marketing, potremmo definirle.

Così come siamo sicuri che nessun datore di lavoro porrà in essere un simile piano welfare mediante un Regolamento aziendale, temendone i, diremmo giustificati, malumori degli esclusi.

E siamo, al contempo, altrettanto convinti che questa interpretazione faciliterà la stipula di accordi o regolamenti aziendali. Con un po’ di cautela e buon senso, perché, seppur l’interpello non lo rammenti, rimane pur sempre il rischio di una riqualificazione, ai fini fiscali e contributivi, di quegli interventi welfare che, proprio perché riservati a “fantasiose” categorie di lavoratori senza un’evidente connessione tra esse e gli accordati benefit, potrebbero essere ritenuti nascondere un trattamento ad personam finalizzato a costituire dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.

 

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