8 Maggio 2018

L’articolo 18 al vaglio della Corte Costituzionale: la natura risarcitoria dell’indennità, l’alea di giudizio e la “scommessa” del datore di lavoro

di Evangelista Basile

Nel luglio 2016 il Tribunale ordinario di Trento, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sulla scelta operata dal Legislatore con l’articolo 1, comma 42, lettera b), L. 92/2012, norma che – nel riscrivere l’articolo 18, St. Lav. – attribuisce natura risarcitoria, anziché retributiva, alle somme di danaro che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al dipendente a titolo di indennizzo per l’illegittimo recesso.

Secondo il magistrato trentino tale disposizione contrasterebbe con l’articolo 3, Costituzione, poiché con l’ordine di reintegrazione – anche se disatteso dal datore di lavoro – si ricostituirebbe la lex contractus e la continuità del rapporto di lavoro, e pertanto l’indennità spettante al lavoratore avrebbe natura retributiva, in quanto collegata al rapporto di lavoro ricostituito giudizialmente.

La Corte Costituzionale, con la decisione n. 86/2018, ha respinto le censure mosse alla norma di legge, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 4, L. 300/1970.

Il Giudice delle Leggi ha infatti rilevato che, se è pur vero che su un piano formale la sentenza di annullamento del licenziamento e reintegrazione ripristinerebbe il contratto, tale ripristino in punto fattuale necessita sempre della collaborazione (facere infungibile) del datore di lavoro. Pertanto, qualora il datore di lavoro non ottemperi a tale ordine di facere, tale comportamento è riconducibile a un “illecito istantaneo ad effetti permanenti”, che fa sopravvivere le conseguenze dannose del licenziamento annullato, da cui non potrà che derivare un’obbligazione risarcitoria a carico di colui che ha causato il danno. Per questa ragione la sentenza commentata conferma la legittimità della disposizione normativa, affermando che la qualificazione risarcitoria dell’indennità “non è dunque irragionevole, bensì coerente al contesto della fattispecie disciplinata, connotata dalla correlazione tra detta indennità ad una condotta contra ius del datore di lavoro e non ad una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente.”

La Consulta ritiene superato il vaglio di legittimità dell’articolo 18 riformato, anche per quella quota di indennizzo che il datore è tenuto a corrispondere al lavoratore per non aver ottemperato all’ordine di reintegra nel periodo successivo alla sentenza e fino all’eventuale riforma della decisione di reintegrazione: tale importo – dice la Corte – ha natura risarcitoria e ciò non viola in alcun modo il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3, Costituzione. In tal modo, il Giudice delle Leggi sembra aprire alla possibilità che il datore di lavoro – “scommettendo” sulla riforma della sentenza di condanna – scelga di non adempiere all’ordine di reintegra del giudice e, qualora si accerti che il licenziamento era legittimo, stante la natura risarcitoria e non retributiva (perché il rapporto di lavoro non si è mai di fatto ri-instaurato) dell’indennità, possa chiedere al lavoratore la restituzione della somma versata medio tempore.

È fatta in ogni caso salva la possibilità per il lavoratore, in caso di mancata ottemperanza del datore di lavoro del facere infungibile di reintegra, di mettere in mora il datore di lavoro e di richiedere il risarcimento dei danni causati dalla mancata reintegrazione per il periodo che intercorre tra la pronuncia di annullamento del licenziamento e la sua successiva riforma.

 

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