2 Febbraio 2016

I dipendenti pubblici hanno le tutele crescenti?

di Evangelista Basile

 

Si è discusso molto negli ultimi mesi se la nuova disciplina delle tutele crescenti in tema di licenziamento debba estendersi o meno ai dipendenti pubblici, sia sotto il profilo dell’opportunità sia sotto il profilo giuridico. Oltretutto, il tema appare ancor più attuale e scottante dopo gli ultimi clamorosi casi di assenteismo balzati agli onori della cronaca.

Di fronte a un’opinione pubblica poco incline a tollerare un’ulteriore diversità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, la politica sembra invece orientata – almeno nelle dichiarazioni ufficiali di alcuni suoi ministri – a dettare una disciplina speciale per la tutela dei licenziamenti nel settore pubblico, pur dichiarandosi inflessibile nella volontà di colpire comportamenti abnormi dei propri dipendenti (pubblici).  

Nel frattempo, in attesa di un intervento chiarificatore del Legislatore, ci si chiede se – attualmente – i nuovi assunti nella Pubblica Amministrazione siano a tutele crescenti o meno. Il D.Lgs. n.23/15 – quello cioè che ha introdotto le tutele crescenti – non lo chiarisce e neppure la legge delega è di aiuto, avendo taciuto sul tema.

A mio avviso, tutto dipenderà da come la giurisprudenza – quando sarà chiamata a pronunciarsi sul punto – interpreterà l’art.51, co.2, Testo Unico sul pubblico impiego. La norma in questione dispone infatti che: “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.

Quando l’art.18 St.Lav. è stato modificato dalla c.d. Riforma Fornero, nel 2012, il dubbio è stato presto risolto dalla giurisprudenza, la quale ha affermato – correttamente – che anche ai dipendenti pubblici doveva applicarsi la nuova disciplina proprio per il rinvio “mobile” operato dal Legislatore allo Statuto dei Lavoratori e, dunque, anche al suo art.18.

Più complicata e aperta, a mio avviso, la questione dell’estensione delle tutele crescenti ai pubblici dipendenti la cui disciplina si trova in una legge nuova, il D.Lgs. n.23/15. Se tale disciplina la si intende come “modifica” dell’art.18 St.Lav., allora il rinvio “mobile” consentirà la parificazione tra lavoratori pubblici e privati, altrimenti i primi – assunti dopo il 7 marzo 2015 – potrebbero rimanere ancorati alle vecchie tutele.

Un bel pasticcio, anche perché l’eventuale diversità di trattamento tra nuovi assunti nel settore pubblico e nel privato sarebbe difficilmente giustificabile, soprattutto in una stagione in cui si cerca semmai di parificare le discipline. Le argomentazioni che circolano a favore della diversificazione sono peraltro piuttosto deboli. Alcuni richiamano il rischio di licenziamenti per ragioni politiche nella Pubblica Amministrazione, ma tale “tipologia” di vizio è sanzionata con la reintegra anche nelle tutele crescenti. Altri ancora richiamano la disciplina delle assunzioni tramite concorso e i relativi principi costituzionali di efficienza e buon andamento dell’Amministrazione, che però attengono alle procedure di accesso al posto pubblico, non alle tutele contro i licenziamenti.

Dall’altra parte, si chiede a gran voce l’introduzione di norme che consentano di responsabilizzare la dirigenza pubblica ad applicare – in concreto – la disciplina dei licenziamenti disciplinari, soprattutto per i casi più clamorosi di condotte illecite o comunque scorrette da parte dei dipendenti. E il Governo appare intenzionato a dare garanzie sul punto. A me, invece, la questione non pare di così grande importanza, atteso che le norme esistono già, è solo una questione di volontà. Infatti, l’art.55 sexies, D.Lgs. n.165/01 – c.d. Testo Unico sul pubblico impiego – prevede sanzioni importanti per i dipendenti pubblici (dirigenti e non) che omettono di avviare e concludere procedimenti disciplinari nei confronti di dipendenti che si macchiano di condotte scorrette. Allo stesso tempo, per evitare che i dirigenti temano di subire conseguenze sul piano personale (erariale) dall’eventuale pronuncia di illegittimità del licenziamento, la medesima norma ha escluso la responsabilità del dirigente per eventuale illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare, salvo i casi di dolo o colpa grave.