28 Settembre 2023

Il sorpasso

di Riccardo Girotto Scarica in PDF

Il salario minimo nell’ambiente giuslavoristico può fregiarsi senza dubbio del titolo di tormentone dell’estate. Più che i contenuti tecnici, di cui si continua a discutere tra i giuristi, più che il tempismo di emersione della discussione, che pare mero esercizio di opposizione politica in tempi di bipolarismo (anche se non proprio perfetto); è interessante comprendere la posizione di coloro i quali dovrebbero rappresentare i destinatari dello strumento, ma che ora sembrano avulsi nella confusione generale che vede un solo terreno di discussione concreta: quello politico.

Eppure, qualcosa non torna, o forse torna anche troppo, i corpi intermedi rappresentati aziende e lavoratori dovrebbero essere in prima linea nella discussione, così come coinvolti tecnicamente nella ricerca di una soluzione, ma nella realtà la loro azione pare impalpabile. Mentre Cgil e Uil, pur mantenendo una coerente linea di contrasto al governo, limitano un timido sostegno al salario minimo come base di partenza e presidio dei settori non coperti da contrattazione, dichiarano risolvibile la soddisfazione dell’articolo 36, Costituzione tramite la Legge sulla rappresentanza; Cisl e Ugl confermandosi distanti dalla strumentalizzazione politica del tema, riescono a schierarsi nettamente verso il no alla misura. Dichiaratamente refrattarie anche le maggiori associazioni datoriali.

Il salario minimo rappresenta quindi il sorpasso della politica sugli operatori del lavoro, ecco perché l’assistenza delle parti sociali si dimostra così timida. In quest’ambito, così come in molte altre materie, si è spesso marcata l’inconsistenza delle discussioni politiche, che di fatto obbligavano organizzazioni sindacali a un costante sforzo supplettivo. Le stesse norme del diritto del lavoro, con sempre maggiore fiducia, leggasi anche scarico di responsabilità, hanno incrementato il percorso di delega alla contrattazione collettiva per la regolazione della materia.

Anche i singoli lavoratori, così come gli imprenditori, non hanno mai fatto mistero circa la distanza della discussione politica dalle reali esigenze della popolazione attiva. Ora, invece, il lavoratore risulta al centro di un dibattito per l’assistenza a diritti, che proprio gli operatori a lui più prossimi non sono riusciti a soddisfare.

Tutto questo riabilita la politica a un ruolo concreto, che l’azione contrattuale sul campo ha dimostrato di non saper governare.

I salari adeguati oggi arrivano da libere concessioni aziendali, una sorta di mano invisibile libera da legge o previsioni contrattuali. Per contro la contrattazione, anche da parte delle sigle autoproclamatesi leader, ha dimostrato lacune incolmabili dal punto di vista retributivo, si assuma quanto accaduto nel settore vigilanza con interventi delle procure ad arginare fenomeni di caporalato in società ree di aver applicato il contratto collettivo rappresentativo, con forte interesse anche da parte della giurisprudenza del lavoro. Di fatto la contrattazione si è dimostra ampiamente inadeguata all’impennata progressiva del costo della vita. Eppure, a inadeguatezza di fatto implosa, di mea culpa nemmeno l’ombra.

L’argomento dell’introduzione del salario minimo ai soli settori scoperti, peraltro, pare fortemente contraddittorio se posto da parte sindacale, in quanto l’individuazione del settore è sempre stata oggetto di aspro confronto; alcune organizzazioni sindacali, spesso sorrette da passaggi amministrativi, hanno preteso di poter determinare il confine di un settore o la competenza dello stesso, gestendo di fatto a piacimento i comparti coperti o meno (si veda la questione rider dove un settore scoperto è stato di default considerato dalla triplice e dal Mlps assorbito dal settore trasporto).

Dal punto di vista legale non c’è dubbio che l’intervento di un salario determinato ipso iure, non possa che giovare quantomeno nell’immeditato, combinato magari con un reale abbattimento del costo del lavoro per la parte a carico azienda. Per non far naufragare il sistema, però, dovrà prevedersi un criterio di indicizzazione automatica, snello e adattabile al mutare delle condizioni, che permetta allo strumento di performare negli effetti dinamici, che infrazione e interventi di contrasto alla stessa possono determinare. Su questo ultimo aspetto pare giustificato un certo scetticismo.

Dal punto di vista retributivo la concertazione ha fallito, pertanto, stante la definizione dei minimi per legge, potrebbe essere interessante sgravare dal cuneo tutto ciò che risulta extra salario minimo, al fine di ottenere almeno 2 risultati: il primo, diretto, creare uno stimolo alla rapida definizione di Ccnl che, alternativamente, in assenza di un presidio retributivo comunque garantito, stenterebbe a far decollare il confronto sugli altri istituti; il secondo, derivato, recuperare l’interesse delle parti sociali al tema della contrattazione, senza ritrite virate verso la richiesta di una legge sulla rappresentatività di malcelata ispirazione corporativa.

Il Consulente del Lavoro 4.0