11 Gennaio 2024

Licenziamento nel periodo di prova

di Roberto Lucarini Scarica in PDF

Vi sono circostanze particolari, perentoriamente delineate dall’ordinamento lavoristico, che consentono al datore di lavoro un recesso ad nutum, ossia non assistito da una specifica motivazione; situazioni che, per loro stessa natura, giustificano quindi un più libero potere di rescissione. Tra queste rientra quella oggetto di queste brevi note, ovvero il licenziamento durante il periodo di prova.

Ricordo, solo per inciso, come il recesso datoriale debba necessariamente rispondere ad una giustificazione, che può distinguersi in base all’oggetto che né è posto alla base. Si parla infatti di: giustificato motivo oggettivo (Gmo), altrimenti rinominato come recesso per motivi economici; giustificato motivo soggettivo (Gms) o giusta causa (Gc), i quali rientrano nell’alveo dei cd. licenziamenti di tipo disciplinare, connotandosi a seconda dell’entità del fatto illecito commesso dal lavoratore.

Prima di affrontare la specificità del licenziamento del lavoratore in prova, è utile ricordare, sia pur in sintesi, la definizione civilistica riguardante tale periodo. L’art. 2096 c.c., per la parte che interessa, recita:

“Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.

L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.

Oltre le necessarie indicazioni formali e definitorie, la norma citata ci avverte che il recesso di parte, durante il periodo di prova, può avvenire liberamente senza obbligo di preavviso o d’indennità; esso ha dunque la peculiare caratteristica di essere sostanzialmente motivato dalla prova in corso e, dunque, da un fallimento dell’esperimento tentato.

Vi sono tuttavia dei punti di attenzione, che vanno oltre l’esplicitata libertà di parte, messi in rilievo dalla giurisprudenza formatasi nel tempo. Eccoli indicati in massima sintesi:

  • Valutazione della congruità della durata del periodo di prova.

Sappiamo che la durata di tale periodo è stabilita ordinariamente dalla Contrattazione Collettiva, salvo il limite massimo posto ex lege in sei mesi. Ai fini dell’indicata libertà di recesso, tuttavia, l’insegnamento giurisprudenziale avverte come l’effettiva durata del periodo di prova non debba risultare troppo breve, dato che in tal caso ne risulterebbe inficiata la valutazione delle parti. Attenzione quindi ad un recesso effettuato senza che sia decorso un congruo periodo di prova, giacché tale interruzione potrebbe ritenersi non rispettosa del principio di buona fede che informa il rapporto di lavoro.

 

  • Valutazione circa l’effettiva validità del patto di prova sottoscritto.

Data per avvenuta la redazione in forma scritta, possono manifestarsi ulteriori ipotesi patologiche del patto che potrebbero inficiarne gli effetti. Tali ipotesi possono rilevarsi su due distinti piani: in relazione al momento della sottoscrizione; in relazione alla completezza esplicativa del patto.

Ricordo che la sottoscrizione del patto deve avvenire prima che il lavoratore inizi la propria attività, pena la nullità della clausola stessa.

In relazione alla completezza, invece, l’attenzione deve andare alla chiara indicazione delle mansioni svolte dal lavoratore in prova, evitando dunque un’informazione generica. In linea generale la giurisprudenza ammette, per tale questione, il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all’inquadramento del lavoratore.

 

  • Valutazione circa la presenza di eventuali eventi sospensivi del periodo di prova.

Si tratta in sostanza di assenze del lavoratore, giustificate e tutelate dall’ordinamento, al verificarsi delle quali l’arco temporale dell’esperimento risulterà sospeso, postergandone pertanto il termine. Ai fini del calcolo della corretta durata del periodo di prova, dunque della sua congruità temporale, le parti devono tenere conto di quanto appena detto.

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