12 Luglio 2016

Personale direttivo: limiti di orario di lavoro e dintorni

di Marco Frisoni

 

 

La Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, con sentenza 20 giugno 2016, n.12687, affronta, ancora una volta, il delicato e scivoloso rapporto intercorrente fra i limiti vigenti in materia di tempi di lavoro e la loro applicazione al personale c.d. “direttivo”, anche alla luce delle prescrizioni che si desumono dalla lettura del D.Lgs. n.66/03.

In effetti, sulla tematica, si sono, nel tempo, generati non pochi dubbi che, in una prospettiva vertenziale fra datore di lavoro e, per l’appunto, prestatori di lavoro con funzioni direttive, potrebbe comportare conseguenze insidiose e non facilmente preventivabili.

D’altro canto, a ben vedere, proprio il dettato normativo potrebbe trarre in inganno, atteso che formula dei principi che, a prima vista, appaiono netti e recisi, ma che, in realtà, esigono un’indagine condotta in aderenza ad alcune inscalfibili pietre angolari del nostro ordinamento giuslavoristico.

Invero, ai sensi dell’art.17, co.5, D.Lgs. n.66/03, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni in materia di orario normale settimanale, durata massima dell’orario di lavoro, lavoro straordinario, riposo giornaliero, pause, organizzazione e durata del lavoro notturno, non trovano cittadinanza nei confronti dei lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, per le caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere predeterminata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo.

A tal fine, devono pertanto ritenersi compresi nell’alveo definitorio del personale direttivo non solo i dirigenti in senso stretto, ma anche il c.d. personale dirigente minore, il personale preposto alla direzione tecnica o amministrativa dell’azienda, o di un reparto di essa con diretta responsabilità dell’andamento dei servizi (si pensi agli institori, i gerenti, i direttori tecnici o amministrativi, nonché gli impiegati con funzioni direttive, i capi ufficio, etc.); sovente è la contrattazione collettiva ad occuparsi dell’individuazione dei lavoratori direttivi, fornendo peculiari regole per la relativa gestione sul piano normativo ed economico.

Orbene, l’esclusione dall’applicazione di molteplici limiti in materia di orario di lavoro per i lavoratori direttivi non deve pedissequamente interpretarsi nel senso che, per tali interessati, si possa operare in una sorta di “Far West” normativo, senza cioè limiti apprezzabili e, in ogni caso, in assenza di alcuna remunerazione per le prestazioni di lavoro eccedenti i normali confini tracciati per i lavoratori “ordinari” (cioè non direttivi).

In realtà, giova sempre rammentare come il D.Lgs. n.66/03 rappresenti l’attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario, ivi per cui deriva dalle suggestioni di diritto comunitario (tutto ciò in una logica di valutazione del rango delle fonti normative in discussione) e che, comunque, sarebbe erroneo leggere il provvedimento come mera disposizione finalizzata alla gestione “amministrativa” di un particolare aspetto contrattuale del rapporto di lavoro.

In effetti, il D.Lgs. n.66/03 si radica sulla tutela di un bene costituzionalmente protetto, rappresentato dalla salute del lavoratore, su cui può incidere negativamente lo svolgimento di prestazioni lavorative al di fuori dei limiti che, nel bene e nel male, sono ritenuti un presidio tutelativo minimo e inderogabile in una prospettiva, si ribadisce, costituzionalmente orientata.

Apprezzabile e condivisibile, dunque, l’intento (quasi un monito) della Suprema Corte di evidenziare come, in una siffatta visione, anche per il personale direttivo possano (e debbano) trovare attuazione confini entro i quali circoscrivere la durata della prestazione (anche straordinaria) lavorativa in prima battuta connessi ai principi generali della protezione della sicurezza e della salute del lavoratore (anche a mente dell’art.2087 cod.civ. e del D.Lgs. n.81/08).

Non solo; i giudici di legittimità non mancano di sottolineare come, pur in stretta aderenza all’impianto protettivo appena accennato, anche la contrattazione collettiva (e, perché no, anche il contratto individuale) risulta obiettivamente abilitata a introdurre limitazioni di durata dell’orario lavorativo (anche omogenei con i lavoratori non direttivi) per il personale direttivo, nonché a prevedere forme di compensazione retributiva per le prestazioni svolte oltre le suddette restrizioni contrattuali.

Di talché, appare indispensabile abbandonare le apodittiche considerazioni sino ad ora mantenute e, di volta in volta, situazione per situazione, valutare quali soluzioni adottare per la gestione del personale con funzioni direttive.