11 Ottobre 2017

Call center: novità e controlli

di Carmine Santoro

Lo scorso 31 luglio è stato stipulato un nuovo accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nelle attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti realizzati attraverso attività di call center c.d. outbound.

L’accordo prevede 3 finalità:

1) evitare abusi intesi a dissimulare rapporti di lavoro subordinato;

2) definire il corrispettivo minimo del collaborator;

3) garantire un sistema di tutele per i collaboratori.

Contestualmente, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha dettato rilevanti istruzioni al proprio personale in merito alla tutela della riservatezza dei lavoratori dei call center nei confronti dell’utilizzo, da parte del datore di lavoro, di taluni sistemi informatici che possono integrare un controllo dell’attività lavorativa.

 

L’accordo collettivo: contenuti e finalità

L’ambito di applicazione del nuovo accordo sul personale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (d’ora in poi co.co.co.) è circoscritto ai collaboratori che svolgano attività di vendita diretta di beni e servizi, di recupero crediti, di ricerche di mercato, attraverso la modalità c.d. outbound. Com’è noto, tale sistema prevede collaboratori che non si limitino a ricevere le chiamate della clientela, ma che si attivano per effettuare le chiamate attraverso un programma di lavoro da essi autonomamente predisposto (Ministero del lavoro, circolare n. 17/2006). La pattuizione in commento stabilisce che i lavoratori svolgenti le diverse attività di coordinamento e di back office dovranno essere assunti, invece, con ordinari contratti di lavoro subordinato. Quindi, l’accordo collettivo di recente stipulazione, in evidente ottica antielusiva – la quale è uno degli obiettivi negoziali, come si vedrà a breve -, vincola i datori di lavoro che intendano applicarlo ad inquadrare con i contratti di co.co.co. esclusivamente quei collaboratori outbound, sulla cui legittimità il Ministero del lavoro si era già espresso favorevolmente (circolare n. 17/2006, cit.).

Le parti, dopo aver richiamato i precedenti negozi, dichiarano espressamente che le finalità dell’accordo sono le seguenti:

  1. evitare abusi intesi a dissimulare rapporti di lavoro subordinato;
  2. definire il corrispettivo minimo del collaboratore;
  3. garantire un sistema di tutele per i collaboratori.

L’accordo disciplina il corrispettivo dei collaboratori, il diritto di prelazione, l’assistenza sanitaria integrativa e la cessazione del contratto.

Per quanto riguarda il corrispettivo, è previsto un rinvio dinamico al 2° livello del Ccnl Telecomunicazioni in riferimento al livello retributivo orario; tuttavia, rispetto a quest’ultimo è stabilita la prevalenza degli emolumenti, qualora superiori, connessi al raggiungimento degli obiettivi prefissati uniformemente dal datore di lavoro. Peraltro, il livello retributivo non si applica integralmente, essendo stabilite percentuali di applicazione progressiva nel tempo, sino a raggiungere il 100% dal 1° aprile 2020. In ogni caso, il riconoscimento delle progressioni economiche è subordinato a una previa verifica bilaterale, 3 mesi prima della scadenza, della relativa sostenibilità.

Il contratto riconosce un diritto di prelazione, sulla stipula di futuri contratti di collaborazione, ai collaboratori che abbiano maturato un’anzianità di almeno 4 mesi.

Ciò avviene tramite presentazione di una domanda da parte dei collaboratori alla competente unità produttiva e la conseguente predisposizione di una graduatoria, aggiornata mensilmente, che i committenti dovranno utilizzare per la successiva stipula dei nuovi contratti o per i rinnovi. I criteri di predisposizione della graduatoria sono l’anzianità di prima contrattualizzazione e l’età anagrafica. Il rifiuto del collaboratore comporterà la sua collocazione all’ultimo posto, mentre è causa di esclusione l’omissione della presentazione della domanda ogni anno. Ulteriori cause di esclusione sono la cessazione anticipata del contratto, la comunicazione del committente di oggettiva inadeguatezza del collaboratore al raggiungimento dei risultati e il rifiuto del collaboratore di 3 proposte di contratto nel corso dell’anno precedente alla scadenza del 30 settembre, prevista per l’aggiornamento periodico della graduatoria. L’inserimento nella graduatoria è subordinato alla sottoscrizione, da parte del collaboratore, di una conciliazione individuale, ai sensi dell’articolo 410 ss. c.p.c.. Sebbene tale clausola negoziale sia criptica, il suo plausibile significato è nel senso di una rinuncia del lavoratore a intraprendere future controversie per la rivendicazione dell’eventuale natura subordinata del rapporto. Infine, le parti concordano che la graduatoria in argomento costituisca un “bacino di riferimento” per eventuali assunzioni con contratti di lavoro subordinato, senza peraltro il riconoscimento di alcun diritto di precedenza.

L’accordo, poi, prevede l’importante capitolo dell’assistenza sanitaria integrativa, che si esplica in 2 modalità.

La prima stabilisce, a decorrere dal 15 febbraio 2017, per i rapporti in corso di svolgimento o per quelli nuovi, la copertura del rischio per grandi interventi, prestazioni sanitarie di lunga durata, nonché per maternità. I relativi costi sono sostenuti dai committenti per un importo mensile massimo di 7 euro, comprensivo di ogni onere fiscale e contributivo, per ciascun collaboratore, a condizione che il rapporto di lavoro abbia durata superiore a 30 giorni, compresi proroghe e rinnovi.

La seconda modalità prevede, in favore degli stessi soggetti e alle medesime condizioni, un’assistenza volontaria più ampia, i cui contenuti tuttavia non vengono specificati. In tal caso, gli oneri sono divisi tra committenti, nella misura di 6 euro, e collaboratori, in quella di 2 euro. Ai fini dell’attuazione di tale assistenza è prevista la costituzione di una Commissione paritetica composta da un massimo di 12 membri, in rappresentanza di entrambe le parti.

L’ultima parte dell’accordo attiene alla cessazione del rapporto.

Al riguardo, la pattuizione restringe la facoltà di recesso unilaterale del committente: sul piano formale perché essa dovrà essere esercitata con comunicazione motivata attraverso raccomandata A/R; ma anche sul piano sostanziale, giacché limitata ai casi di giusta causa e oggettiva inidoneità professionale del collaboratore. A sua volta, il collaboratore può recedere per giusta causa dal rapporto, anche in tal caso con motivata comunicazione a mezzo raccomandata A/R, nelle ipotesi di ritardi nella corresponsione degli emolumenti e mancata osservanza, da parte del committente, delle previsioni dell’accordo o della legge. In tal caso, il collaboratore ha diritto, oltre ai compensi maturati sino all’interruzione del rapporto, anche agli emolumenti spettanti sino alla data di scadenza del contratto. In ogni altra ipotesi, infine, il collaboratore ha facoltà di recesso libero, salvo preavviso di almeno 30 giorni.

Va osservato che l’accordo illustrato, essendo stipulato da organizzazioni sindacali che possono a giusto titolo rientrare tra quelle comparativamente più rappresentative (Cgil, Cisl e Uil), dovrebbe rientrare nella previsione di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a), D.Lgs. 81/2015. Verosimilmente, pur nell’assenza di una dichiarazione esplicita delle parti sul punto, questa dovrebbe essere la volontà delle stesse. Ne consegue che alle collaborazioni ivi disciplinate non è applicabile il comma 1 dell’articolo 2 cit., che impone la nota disciplina restrittiva delle collaborazioni etero-organizzate, soggette al regime della subordinazione.

Pertanto, se il ragionamento è fondato, le collaborazioni outbound non possono essere sussunte nella disciplina della subordinazione, in virtù della sola applicazione della disposizione sopra menzionata.

Naturalmente, ciò può avvenire secondo gli ordinari canoni ermeneutici, mediante l’utilizzo dei noti indici giurisprudenziali di qualificazione della fattispecie.

 

La circolare INL n. 4/2017

Quasi contestualmente alla stipula dell’accordo collettivo sopra illustrato, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha emanato la circolare n. 4/2017, che affronta il tema sensibile dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori nel settore dei call center.

Il contenuto di prassi ispettiva tratta dapprima del sistema di gestione integrato e multicanale, c.d. “CRM” (Customer Relationship Management), al fine di verificare se lo stesso possa essere considerato “uno strumento di lavoro”, sottratto ai sensi dell’articolo 4, comma 2, L. 300/1970, al regime restrittivo del relativo comma 1, ovvero rappresenti uno strumento di potenziale controllo dell’attività dei lavoratori.

L’Ispettorato precisa che il “CRM” è un sistema di gestione che consente di associare automaticamente al numero del cliente che effettua la chiamata i dati anagrafici, contrattuali e delle chiamate dello stesso. Il dispositivo, pertanto, ha l’obiettivo di gestire, oltre ai dati del cliente, quelli relativi ai rapporti contrattuali in essere con il gestore, rendendo più completa l’informazione e più efficiente la relazione tra il chiamante e l’operatore.

In sostanza, il dispositivo in esame è semplicemente un archivio informatico che sostituisce il fascicolo cartaceo del cliente e consente, in tempo reale, di avere a disposizione tutti i dati necessari al fine di evadere efficacemente le richieste avanzate dall’interessato.

L’Ispettorato conclude che, qualora tale dispositivo consenta il mero accoppiamento fra la chiamata e l’anagrafica del cliente senza possibili ulteriori elaborazioni, lo stesso possa essere considerato uno strumento che serve al lavoratore per “rendere la prestazione lavorativa …” e si possa prescindere, ai sensi di cui all’articolo 4, comma 2, L. 300/1970, sia dall’accordo sindacale, sia dal provvedimento autorizzativo previsti dalla legge.

Peraltro, tale orientamento sembra superare quanto lo stesso INL aveva sostenuto, nella circolare n. 2/2016, circa l’interpretazione del nuovo articolo 4, comma 2, L. 300/1970, quale “mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità sia stati posti in uso e messi a sua disposizione”. Infatti, in tale occasione, l’Ispettorato ha ritenuto che gli strumenti di lavoro, ai fini di cui alla disposizione in esame, non debbano essere semplicemente utili a rendere la prestazione, come invece sembra ritenere nella circolare in commento, bensì indispensabili a tal fine. Si rammenta che l’organo ispettivo, sulla base di tale ragionamento, ha affermato la necessità della sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 4, comma 1, L. 300/1970 – accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato – per i sistemi localizzazione satellitare GPS montati su autovetture aziendali, appunto in quanto strumenti non indispensabili a rendere la prestazione. Nondimeno, anche il “CRM” non è indispensabile a rendere la prestazione e, quindi, adottando l’analogo punto di vista ispettivo riguardante i sistemi GPS, anche per il primo – se e in quanto invasivo della sfera di riservatezza e dignità del prestatore – dovrebbe ritenersi necessario l’accordo o il provvedimento amministrativo.

La circolare dedica una seconda riflessione ad altri sistemi informatici ugualmente utilizzati nei centralini aziendali, che consentono, invece, il monitoraggio dell’attività telefonica e della produttività di ciascun centralinista. Si tratta di software che raccolgono dati relativi agli stati di attività telefonica di ciascun operatore (libero, non disponibile, in pausa, etc.), ovvero che quantificano la produttività giornaliera per ogni servizio reso, il tempo dedicato al lavoro per ciascuna commessa e le pause effettuate da ogni singolo lavoratore. Tali sistemi, osserva l’INL, consentono di realizzare un controllo minuzioso su tutta l’attività svolta da ogni singolo lavoratore, eliminando qualunque margine spazio-temporale nel quale il lavoratore stesso possa confidare di non essere “osservato” nello svolgimento della propria attività e dei propri movimenti. In proposito, l’Ispettorato rammenta che l’installazione e l’utilizzo degli impianti e degli strumenti di cui all’articolo 4, comma 1, L. 300/1970, può essere giustificata esclusivamente per le esigenze ivi previste e, pertanto, solo in tali ipotesi può legittimarsi un controllo “incidentale” sull’attività del lavoratore. L’esistenza delle dette esigenze, peraltro, è condizione necessaria, ma non sufficiente per l’utilizzo dei dispositivi in questione, dovendo esse coniugarsi con il rispetto della libertà e della dignità del lavoratore stesso, evitando controlli prolungati, costanti, indiscriminati e invasivi.

In virtù di tale assunto, l’INL stabilisce che tali sistemi non solo non rientrano nella definizione di strumento utile a “rendere la prestazione lavorativa”, ma non si ravvisano neanche quelle esigenze organizzative e produttive che giustificano il rilascio del provvedimento autorizzativo da parte dell’Ispettorato del lavoro.

In definitiva, l’Ispettorato, ritenendo illegittimi i sistemi informatici sopra descritti, vieta tout court ai propri uffici territoriali di rilasciare autorizzazioni per la relativa installazione e utilizzo.

La posizione dell’organo ispettivo, se può essere accusata di eccessiva rigidità e astrattismo, dal momento che essa non differenzia tra le varie situazioni che possono presentarsi in concreto, d’altronde tenta un recupero della ratio originaria dell’articolo 4 cit.. Da questo punto di vista, l’organo ispettivo avvisa i datori di lavoro che, anche in un nuovo quadro regolatorio maggiormente attento a legittime esigenze aziendali, non possono essere tollerate condotte irrispettose della sfera di dignità e riservatezza dei lavoratori.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:

Contratti di lavoro temporanei: contratto a termine e somministrazione