7 Giugno 2017

Sospensione di attività imprenditoriale e principio di avviso di inizio

di Giovanna Carosielli

Con la decisione in commento (n. 318/2017) il TAR Liguria ha annullato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale per violazione del principio di avviso di inizio del procedimento amministrativo, stabilito dall’articolo 7, L. 241/1990, con ciò offrendo una lettura degli obblighi della P.A. in tema di accertamento ispettivo lavoristico non collimante né con l’espressa previsione legislativa né con l’interpretazione fornita sul punto dalla Corte Costituzionale.

 

Presupposti e caratteristiche della sospensione imprenditoriale

La sospensione dell’attività imprenditoriale costituisce senza dubbio il provvedimento ispettivo di più immediato impatto nei confronti del suo destinatario, il datore di lavoro, la cui attività può subire un arresto momentaneo in presenza di determinati presupposti. Infatti, ai sensi dell’articolo 14, D.Lgs. 81/2008, il personale di vigilanza adotta il provvedimento in parola al ricorrere di una delle indicate circostanze:

  • occupazione irregolare di manodopera, in percentuale pari o superiore al 20% del personale occupato, all’atto dell’accesso ispettivo, sul luogo di lavoro;
  • gravi e reiterate violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;

nei fatti paralizzando l’attività d’impresa a decorrere dalle ore 12.00 del giorno successivo. Tuttavia, ferma la cessazione della condotta datoriale irrispettosa della normativa che ha motivato la sospensione, in concreto il blocco dell’attività imprenditoriale non si realizza ove, nel termine indicato nel provvedimento in parola, il datore di lavoro provveda a sanare le violazioni riscontrate.

Sin dall’iniziale emanazione, il provvedimento di sospensione ha assunto una natura e una funzione miste, nel senso che accanto a esigenze di tipo cautelare ne sono individuabili omologhe di tipo sanzionatorio. Ne è emerso uno strumento per ottenere la cessazione di una situazione pericolosa per la salute e la sicurezza dei lavoratori, da un lato, e per sanzionare ulteriormente l’inosservanza dei precetti, dall’altro.

Tre sono, quindi, gli aspetti caratterizzanti il provvedimento ispettivo in parola:

  1. l’esistenza di una circostanza fattuale irrispettosa della legge;
  2. la doppia finalità, cautelare e sanzionatoria;
  3. la contiguità del provvedimento all’accesso ispettivo.

Infatti, benché l’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008, non specifichi espressamente che la sospensione dell’attività vada adottata nelle immediatezze dell’accesso ispettivo, la formulazione della disposizione, e ancor di più il tempo verbale utilizzato, fanno propendere decisamente per uno stretto collegamento tra la situazione irregolare accertata e l’atto ispettivo emesso.

Oltretutto, l’interpretazione esposta permette di valorizzare la ratio cautelare dell’atto ispettivo in parola, volta proprio a evitare che situazioni d’irregolarità espongano i lavoratori al pericolo per la loro salute e sicurezza, sulla base dell’equazione per cui un lavoratore irregolarmente occupato è più soggetto al rischio di infortuni, non essendo stato adeguatamente formato in precedenza.

Un’interpretazione differente, che ammettesse l’emanazione del provvedimento de quo non nelle immediatezze dell’accesso ispettivo, ma in un non meglio precisato momento successivo dell’accertamento lavoristico, esalterebbe soltanto la finalità sanzionatoria dell’atto ispettivo, a detrimento di quella cautelare. Viceversa, essendo del tutto pacifica la natura (quantomeno) mista del provvedimento di sospensione – cautelare e sanzionatoria – apparirebbe necessaria la sua adozione in pendenza dell’accertamento/constatazione di una situazione irrispettosa della legge. Il punto, tuttavia, non può esser ritenuto pacifico, specie considerando l’ipotesi di sospensione dell’attività imprenditoriale adottata dall’organo competente (Ispettorato del lavoro) su segnalazione di irregolarità accertate da enti/soggetti diversi (Inps, Inail, Guardia di Finanza, Polizia Municipale …). In tale ipotesi, infatti, non è possibile escludere l’adozione della sospensione pur se la situazione di irregolarità sia stata sanata nel tempo intercorso tra l’accesso ispettivo del soggetto segnalante e il provvedimento dell’organo emittente, pena una disparità di trattamento tra imprese trovatesi in situazioni uguali. Infatti, il datore di lavoro che subisse l’accertamento da parte dell’Ispettorato non potrebbe in alcun modo evitare la sospensione, stante la coincidenza soggettiva tra chi accerta e chi sospende, laddove un altro datore che si vedesse accertare le irregolarità di cui al testo di legge da un soggetto diverso dagli ispettori del lavoro, potrebbe paralizzare l’atto ispettivo sanando le irregolarità prima dell’adozione del provvedimento.

L’orientamento di prassi ha precisato che, nel caso di non coincidenza soggettiva, nei 7 giorni decorrenti dalla data dell’accertamento non è necessario lo svolgimento di ulteriori verifiche ad opera del medesimo Ispettorato, che quindi può procedere con la sospensione. La principale obiezione all’esposta posizione ministeriale attiene alla mancata previsione, nel testo di legge, del termine di 7 giorni per adottare il blocco dell’attività imprenditoriale, con conseguente riproposizione della questione sulla natura cautelare e/o anche sanzionatoria dell’atto in parola.

La violazione normativa che, con maggiore frequenza, costituisce il presupposto applicativo della sospensione dell’attività d’impresa è rappresentata dall’impiego di manodopera irregolare in misura pari o superiore al 20% del personale occupato all’atto dell’accesso ispettivo, nel senso che il datore di lavoro si avvale di lavoratori “non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”, come precisato dall’articolo 14, D.Lgs. 81/2008. L’ampia dizione legislativa permette di comprendere, nella categoria di “lavoratori irregolari”, un insieme più esteso rispetto a quello previsto per l’applicazione della c.d. maxisanzione per lavoro “in nero”. Quest’ultima, infatti, trova applicazione soltanto quando l’omessa comunicazione alla P.A. competente riguardi lavoratori subordinati.

Come ribadito anche dall’orientamento di prassi, i presupposti applicativi delle predette reazioni dell’ordinamento alla violazione della legge differiscono tra loro, in quanto mentre nel primo caso (la sospensione) sono considerati tutti i soggetti intenti al lavoro per i quali il datore abbia omesso l’obbligatoria comunicazione alla P.A., a prescindere dal loro essere dipendenti, collaboratori coordinati e continuativi, soci lavoratori o collaboratori familiari, nel secondo (la c.d. maxisanzione) il riferimento è posto soltanto ai lavoratori subordinati che siano sconosciuti alla medesima P.A..

Il diverso ambito applicativo dell’irregolarità dei lavoratori trova riscontro nella finalità (anche) cautelare del provvedimento sospensivo dell’attività imprenditoriale, che impone quindi un’interpretazione ampia del concetto di lavoratore.

Non da ultimo, merita menzione la precisazione legislativa alla cui stregua “Ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, giusta articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008. Per quanto superfluo, l’esposto chiarimento è in realtà prezioso, poiché delimita la sfera degli obblighi della P.A. verso il datore di lavoro/cittadino in relazione al provvedimento adottato, escludendone il destinatario dal procedimento formativo. In questo modo si realizza un’eccezione al generale principio di partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo stabilito dalla L. 241/1990. In argomento, è intervenuta la Corte Costituzionale per dichiarare la parziale non conformità alla Costituzione dell’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008, nella parte in cui disapplica l’articolo 3, L. 241/1990, al provvedimento in parola: in particolare, a giudizio della Consulta, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione della sospensione dell’attività imprenditoriale lede il principio di legalità e buon andamento della P.A., in quanto l’esplicazione delle ragioni di fatto e diritto poste a fondamento del provvedimento adottato costituiscono un imprescindibile obbligo dell’Amministrazione emittente e, per converso, un irrinunciabile diritto del destinatario del provvedimento.

È nel descritto contesto che si sono verificati gli eventi che hanno originato la sentenza in commento.

 

I fatti di causa

Per quanto è dato comprendere, il ricorrente ha impugnato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dal personale di vigilanza in ragione dell’impiego irregolare di un lavoratore, risultante libero professionista titolare di partita Iva, per lo svolgimento di attività commerciale, e pur tuttavia considerato dipendente – e quindi sconosciuto alla P.A. – dagli ispettori. Dalla decisione in commento non è possibile comprendere né quale fosse l’attività imprenditoriale sospesa, né se il lavoratore considerato irregolare, ma titolare di partita Iva, svolgesse un’attività in qualche modo assimilabile a quella esercitata dalla ricorrente. Al contempo, non è chiaro se il provvedimento impugnato e successivamente annullato sia stato adottato nelle immediatezze dell’accesso ispettivo, ovvero in un secondo momento.

A generare dubbi in merito è l’inciso del Collegio giudicante per il quale le eccezioni di inammissibilità del ricorso, dedotte dalla P.A. resistente, non meritano accoglimento sia in ragione della loro genericità, sia “in considerazione della evidente diretta e concreta lesività del provvedimento impugnato che comporta la chiusura temporanea di un’attività economica, atto finale dell’iter nel cui contesto sono stati emessi gli altri atti contestati (…)”.

Da quanto riportato, parrebbe che la sospensione dell’attività imprenditoriale sia stata disposta al termine dell’accertamento ispettivo e, nel merito, a seguito della qualificazione in termini di subordinazione del lavoratore titolare di partita Iva, evidentemente compiuta dagli ispettori del lavoro con il verbale conclusivo. Se così fosse, il personale di vigilanza avrebbe esaltato la (sola) finalità sanzionatoria del provvedimento sospensivo, posto che l’adozione del medesimo non sarebbe avvenuta nelle immediatezze dell’accesso ispettivo – rispondendo a un’evidente esigenza cautelare –, bensì a seguito degli accertamenti e in particolare dell’inquadramento del lavoratore autonomo quale dipendente del datore di lavoro.

In sostanza – e pur con le cautele dovute alla difficoltosa ricostruzione della vicenda a causa della motivazione sintetica adottata dal Collegio –, le ragioni addotte dai giudici per annullare il provvedimento sospensivo sono riassumibili, da un lato, nella necessaria lettura costituzionalmente orientata della disciplina che lo regola e, dall’altro, nell’erronea qualificazione del lavoratore come dipendente.

 

La violazione del c.d. giusto procedimento

In relazione al primo aspetto, il Collegio ritiene dirimente la violazione dell’articolo 7, L. 241/1990, compiuta dalla P.A., obbligata, a mente del citato articolo, a informare il destinatario del provvedimento amministrativo dell’avvio del procedimento, salvo che non ricorrano particolari esigenze di celerità, la prova della cui esistenza grava sulla P.A.. In particolare, secondo il TAR Liguria, il predetto articolo 7 è espressione di un principio generale dell’ordinamento, che, nella declinazione fornitane dalla Consulta, impone, accanto all’obbligo di motivazione, anche la garanzia del destinatario del provvedimento della sua partecipazione al procedimento amministrativo che l’ha generato. Tale garanzia, prosegue l’organo decidente, può essere assicurata soltanto informando il soggetto cui è rivolto l’atto amministrativo di quanto la P.A. sta compiendo, affinché possa fornire elementi conoscitivi utili ai fini delle determinazioni della medesima P.A..

Pertanto – è la conclusione del ragionamento –, anche in considerazione della citata pronuncia di illegittimità costituzionale dell’articolo 14, D.Lgs. 81/2008, la lettura costituzionalmente orientata della disciplina in parola impone l’obbligo di informazione, in favore del datore di lavoro, degli atti adottabili dal personale di vigilanza, affinché, nel corso del procedimento ispettivo, il datore possa fornire gli elementi fattuali e conoscitivi necessari che la P.A., in ottica di ponderazione degli interessi, deve considerare per le sue decisioni finali.

Provando a calare nel caso di specie l’osservanza del principio normativo che la P.A. avrebbe disatteso, occorre capire in quale momento del procedimento ispettivo sarebbe sorto tale obbligo informativo. Sembra piuttosto pacifica l’esclusione dell’obbligo de quo in fase di programmazione dell’attività di vigilanza, considerato che, molto spesso, la sua efficacia riposa proprio sul c.d. effetto sorpresa. È di tutta evidenza che se il datore di lavoro venisse a conoscenza del programmato accertamento a proprio carico prima dell’inizio del medesimo, verrebbe svilita una componente significativa della vigilanza nel mondo del lavoro. Di solito, il datore di lavoro “viene a conoscenza” di un accertamento ispettivo a suo carico nel corso dell’accesso ispettivo e/o con la consegna del verbale di primo accesso, che, in uno con l’indicazione dettagliata delle attività compiute dal personale di vigilanza, dei lavoratori trovati e delle persone sentite, permette al destinatario dell’attività amministrativa di sapere cosa sarà oggetto di verifica. Non è un caso, infatti, che la legge imponga la redazione e il rilascio del verbale di primo accesso, onde rendere edotto il datore di lavoro di quanto compiuto e richiesto. Nel caso di specie, quindi, gli ispettori del lavoro, consegnando il verbale di primo accesso al datore di lavoro, ovvero notificandoglielo a mezzo posta, avvisano di ciò che la P.A. potrebbe compiere, in termini di verifica dell’osservanza della normativa lavoristica e/o degli eventuali ulteriori poteri di cui sono dotati, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, in quanto pubblici ufficiali.

Senza ombra di dubbio, l’accesso ispettivo rappresenta il momento migliore per accertare e/o contestare le violazioni di cui gli ispettori abbiano immediata contezza, anche considerando la natura di atto pubblico – quindi dotato di efficacia probatoria vincolata in ordine alle attività compiute dal pubblico ufficiale, ovvero avvenute in sua presenza, fino a querela di falso – attribuita al verbale di primo accesso ispettivo.

Considerata la finalità anche cautelare del provvedimento di sospensione, se la sua adozione avviene, com’è prassi, nelle immediatezze dell’accesso, pochi dubbi sussistono in ordine all’assolvimento dell’obbligo informativo verso il datore di lavoro dei provvedimenti adottabili dagli ispettori.

Questi ultimi, infatti, rappresenterebbero al datore di lavoro la previsione normativa violata e il conseguente provvedimento da adottare, informandolo altresì dei contegni da assumere per ottenere la revoca e/o per impugnare l’atto sospensivo dell’attività imprenditoriale.

Più arduo è, infine, immaginare che l’obbligo informativo in parola possa esser adempiuto in un secondo momento, al termine, per esempio, degli accertamenti e dell’esame della documentazione richiesta dagli ispettori: in questo caso, infatti, gli atti cautelari e/o d’urgenza avrebbero dovuto essere già stati emessi e il provvedimento finale – il verbale unico, appunto – assolverebbe alla mera funzione di ripercorrere gli eventi e gli eventuali atti intermedi, fino alla cristallizzazione degli addebiti riscontrati e delle sanzioni amministrative irrogate.

 

La qualificazione del rapporto di lavoro in termini di subordinazione

Il secondo motivo per cui, per il TAR Liguria, occorre annullare il provvedimento di sospensione dell’attività d’impresa, riguarda l’erronea qualificazione come subordinato del lavoratore titolare di partita Iva trovato all’atto dell’accesso ispettivo. Anche in questo caso, la scarna ricostruzione degli eventi permette soltanto di avanzare delle ipotesi: è quindi probabile che, incrociando le dichiarazioni rese in sede di accesso ispettivo con la documentazione successivamente esibita, gli ispettori del lavoro abbiano ritenuto esistente un rapporto di lavoro subordinato tra il titolare di partita Iva e il datore di lavoro, procedendo quindi con la sospensione dell’attività d’impresa.

Ove così fosse stato, tuttavia, andrebbe precisato che i presupposti applicativi di quest’ultimo prescindono dalla qualificazione in ottica subordinata del rapporto di lavoro intercorrente tra datore di lavoro e terzo, afferendo, semmai, alla conoscenza del soggetto alla P.A.. Nel caso di specie, detta conoscenza era un requisito ampiamente soddisfatto, stante l’attribuzione di partita Iva al lavoratore trovato all’atto dell’accesso ispettivo, non potendo quindi in alcun modo il lavoratore essere considerato “non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”. Stando così le cose, l’esito ispettivo avrebbe dovuto tradursi nella sola riqualificazione in termini di subordinazione del rapporto di lavoro (c.d. disconoscimento), diffidando il datore a effettuare gli adempimenti tipici di un rapporto di lavoro di tipo subordinato.

In questo senso va registrato un orientamento di prassi, il quale, benché riferito allo specifico settore dell’edilizia, ben può valere, quanto alle contestazioni adottabili, in differenti settori produttivi, identica essendo la ratio dell’agire ispettivo: il diverso atteggiarsi di un rapporto di lavoro, come emerso dagli accertamenti, rispetto a quanto dichiarato dalle parti alla medesima P.A. – per esempio, mediante attribuzione di partita Iva a un lavoratore rivelatosi nella sostanza “subordinato” del committente –, non può tradursi nella contestazione del lavoro “in nero”, perché, benché non correttamente inquadrato a livello normativo, in ogni caso quel lavoratore era noto alla P.A..

 

Considerazioni conclusive

Malgrado la penuria di informazioni relative al caso di specie, è possibile svolgere qualche conclusione a margine di quanto sin qui esposto. Innanzitutto, l’approccio tenuto dal Collegio giudicante appare piuttosto incline all’osservanza formale della normativa in tema di procedimento amministrativo, con scarsa considerazione per quanto la legge, prima, e la medesima Consulta, dopo, hanno precisato a riguardo.

La prima, infatti, ha esplicitato, senza ombra di dubbio alcuno, la totale esclusione applicativa ai provvedimenti sospensivi dell’attività imprenditoriale della disciplina sul procedimento amministrativo, in considerazione sia della specificità dell’accertamento in materia di lavoro sia della particolare natura dell’atto sospensivo de quo. In presenza di un’espressa previsione legislativa sul punto, differenti interpretazioni si palesano impossibili, potendo soltanto il Legislatore intervenire su una propria decisione.

L’eccezione a quanto sin qui illustrato è rappresentata dall’ipotesi in cui una disposizione legislativa violi, in tutto o in parte, la Costituzione: tale sindacato di legittimità della legge è, tuttavia, demandato alla sola Corte Costituzionale, la quale, appunto, ha avuto modo di chiarire la parte in cui l’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008, non rispetta i precetti costituzionali in tema di procedimento amministrativo. Avendo la Consulta bocciato soltanto un aspetto della citata norma – e non quest’ultima nella sua interezza –, ne deriva che i giudici devono applicare la normativa per come la medesima è emersa dal vaglio di costituzionalità. In particolare, se il giudice delle leggi ha intravisto la lesione, ad opera del predetto articolo 14, del solo obbligo di motivazione dell’atto amministrativo, non è possibile inferire ulteriori implicite inosservanze della Costituzione da parte della disciplina sulla sospensione dell’attività imprenditoriale, pena un’indebita estensione interpretativa della pronuncia della Corte Costituzionale. In altri termini, dalla pronuncia di quest’ultima sull’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008, non è possibile ricavare un’ulteriore e diversa lesione della Costituzione a carico della citata disposizione, proponendone una lettura costituzionalmente orientata dal dubbio aggancio giuridico.

Ben avrebbe fatto, quindi, il TAR Liguria a sospendere il processo investendo la Consulta di una nuova, espressa questione di contrarietà alla Costituzione dell’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 81/2008, per omessa previsione dell’obbligo di avviso di inizio del procedimento, per esempio.

D’altra parte, le determinazioni ispettive, se correttamente ricostruite, destano almeno un duplice dubbio in ordine alla sospensione dell’attività d’impresa, emessa al termine dell’accertamento ispettivo, piuttosto che nelle immediatezze dell’accesso, e sulla base della differente qualificazione del rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ben potendo il prestatore di lavoro esser ritenuto noto alla P.A. in ragione della partita Iva di cui risultava titolare, salvo che, eventualmente, gli ispettori del lavoro non avessero accertato che la prestazione resa in favore del committente esulava del tutto dall’attività denunciata alla P.A..

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.

 

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