10 Giugno 2021

L’eccezionale controllo delle regole, perchè l’eccezione non continui a essere la regola

di Riccardo Girotto

La ripartenza che tanto attendavamo ha un po’ sorpreso per l’ingordigia con cui i consumatori si sono riversati sulle attività riaperte, anzichenò risorte.

Sul mondo del lavoro rintoccano le campane del buon mattino, ma i suoi protagonisti insistono sopiti: aziende assuefatte dal buio delle serrande abbassate e lavoratori anestetizzati dalla cassa integrazione oramai scontata (del resto, come affermò il Direttore dell’Inps in un impeto di riconoscenza verso la nostra categoria, “basta scrivere COVID”).

Di fronte a tanta foga, tradire un po’ di emozione è il minimo. La sorpresa arriva dal noto confronto tra domanda e offerta di lavoro, che, calato sull’attuale stato dell’arte, riscontra effetti imprevedibili che rischiano di ostacolare i precoci stimoli di ripresa.

Il confronto, ben nutrito da luoghi comuni bipartisan, alimenta la sfida tra chi accusa i disoccupati di preferire le soluzioni di sospensione indennizzata, rispetto al mettersi in discussione tuffandosi in questa ripresa lavorativa fin da subito, e chi accusa i datori di approfittare della debolezza legata al bisogno di lavoro, offrendo soluzioni contrattuali quantomeno discutibili.

Oltre la discussione, e oltre alle irremovibili prese di posizione, vivono, però, lavoratori e aziende modello, che concretamente e quotidianamente soffrono la distanza tra domanda e offerta e che da questo palleggiamento di responsabilità escono con le ossa rotte.

L’unica soluzione possibile all’aspro confronto non può che essere tecnica, cruda e per niente accomodante. La soluzione sta nei controlli capillari. È fuori dubbio che esistano risorse in “quarantena lavorativa”, adagiate in una comfort zone indennizzata, NASpI o cassa o Reddito di cittadinanza poco importa, pronte a scansarsi alla prima offerta lavorativa. Risorse eticamente disprezzabili, ma che non rappresentano certamente la maggioranza dei lavoratori. Allo stesso tempo, è innegabile l’esistenza di datori di lavoro spregiudicati, poco inclini alla regolarizzazione totale della propria area di lavoro, parimenti non apprezzabili, ma non si può assolutamente affermare che questi rappresentino la sintesi perfetta della massa imprenditoriale.

Entrambe le posizioni richiamano l’attenzione e alimentano discussioni, ma continuano a viaggiare su rette parallele, ignorando il sentiero che porta alla soluzione del problema. Molto spesso lavoratori e imprenditori distanti dalle condotte descritte si schierano proprio su posizioni estreme, pronti a difendere azioni che loro, la vera maggioranza della singola categoria, di fatto non condividono, ma l’onda del dibattito è talmente violenta che la posizione estrema sembra una boa sicura.

Perché, quindi, esistono posizioni così distanti, se davvero non rappresentano la maggioranza dei diversi stakeholders del mondo del lavoro? Perché condotte davvero deprecabili continuano, ripeto, pur non rappresentando il modello, a reiterarsi, indignando di volta in volta chi si trova dalla parte opposta? Semplicemente perché queste condotte sono permesse.

Il vero problema, infatti, sta nel fallimento del sistema di controllo. A fronte di verifiche puntuali e sanzioni certe, i fenomeni elusivi verrebbero meno, per converso, in assenza di strumenti afflittivi efficaci, soggetti spregiudicati salgono in cattedra; questa è la regola, questo il costume, ecco perché poche condotte spregevoli generano più eco di diffuse condotte meritevoli.

Certo, chiedere maggiori controlli è un atto coraggioso, che rischia di punire oltremodo minime violazioni facilmente sanabili, rispetto a gravi mancanze difficilmente recuperabili. Proprio per questo motivo il vero salto di qualità interessa le operazioni di intelligence a carico degli enti preposti, da eseguirsi in sede di programmazione al fine di individuare con certezza gli obiettivi sensibili, ma su questo punto, ahimè, l’attuale procedura di verifica risulta molto carente.

Si prendano, ad esempio, i monitoraggi sull’attività ispettiva, per capire se le risultanze riassunte interessano zone, attività e momenti davvero sensibili. Ancora, si analizzino, altresì, i dati disponibili sui controlli ai singoli percettori al fine di apprezzarne l’assoluta inconsistenza. Poche informazioni, per nulla utili al superamento delle criticità.

Solo un uso accorto degli strumenti di verifica, solo una programmazione dell’attività ispettiva qualitativamente elevata potranno affrontare efficacemente le metastasi che indeboliscono le buone azioni di incontro tra domanda e offerta, affinché le condotte deprecabili non diventino la regola nemmeno per il circo mediatico. Se sarà vera ripresa, l’ennesima opportunità non può essere sprecata.

 

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