30 Ottobre 2018

Della malattia ai tempi del web

di Elena Valcarenghi

A seguito di notizie diffuse sul web circa le modalità di esonero dalle visite mediche di controllo domiciliari mediante richiesta ai medici curanti di apporre il codice “E” nei certificati, l’Inps ha precisato, con un comunicato sul proprio sito del 23 ottobre 2018, che le norme non prevedono l’esonero dal controllo, ma solo dalla reperibilità e che, quindi, il controllo concordato è sempre possibile. L’unica cosa che il medico curante certificatore può fare è applicare, al momento della redazione del certificato, solo ed esclusivamente le “agevolazioni”, previste da appositi distinti decreti per il settore privato e pubblico, quali uniche situazioni che escludono dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità. Il “famigerato” codice “E” è per esclusivo uso interno dei medici dell’Istituto, con la conseguenza che qualsiasi sua eventuale indicazione nelle note di diagnosi non può produrre alcun effetto di esonero, né dal controllo né dalla reperibilità, rimanendo possibile la predisposizione di visite mediche di controllo domiciliare sia a cura dei datori di lavoro che d’ufficio.

Premesso che sono una brontolona, questo è il genere di notizia che mi inquieta, perché vorrei tanto capire chi si sia preso la briga di cercare il codice “E”, diffondere la scoperta e per quale motivo. Perché, infatti, chiedere di apporre un codice per l’esenzione dal controllo durante una malattia? Forse sembro Alice nel Paese delle meraviglie, ma chi è malato non dovrebbe temere la visita domiciliare, perché nulla ha da nascondere e, ancor prima, non dovrebbe essere attestata una malattia inesistente. Mi riesce quindi difficile immaginare che tale sforzo di ricerca e diffusione sia stato compiuto a fin di bene e immagino che i medici curanti, che certamente conoscono le procedure, non abbiano soddisfatto le presunte richieste.

Credo anche che il fatto che l’Ente previdenziale debba monitorare il web per smentire false notizie sia non consolante, considerato quanto altro deve essere gestito nel quotidiano. Ma certo non si può trascurare uno strumento, il web, che è ormai parte integrante delle nostre esistenze in diversi ambiti ed è un mezzo potente di diffusione per le notizie.

Prendendo spunto dal titolo di un recente contributo su queste pagine, “Di cagionevole, ma fin troppo robusta Costituzione”, che ben si sposa terminologicamente anche col tema della malattia, ho voluto rileggere la nostra Carta costituzionale e, in particolare, uno dei principi fondamentali, l’articolo 4, che così recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Nella Parte I, Titolo III dei rapporti economici, l’articolo 38 prevede, tra l’altro, che i lavoratori abbiano diritto a che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Quanto equilibrati e lungimiranti erano gli estensori della nostra Costituzione! Hanno immaginato una società nella quale ciascuno fosse motore della promozione dei singoli e della Repubblica, in un delicato intreccio di diritti e doveri per i cittadini sovrani. Forse, però, quel senso di responsabilità e condivisione costruttivo che contrassegnava il periodo storico che ha visto nascere la Repubblica, si è un po’ perso per strada se qualcuno oggi necessita di stratagemmi per non far fronte ai propri impegni, con ciò dimostrando scarso senso civico e poca voglia di contribuire al progresso sociale.

Vero è anche che il senso civico necessita di fiducia che anche gli altri cooperino all’attività di miglioramento sociale, così che tanto più è diffuso e accettato, se non addirittura encomiato, un comportamento “furbo”, quanto più si sentiranno isolati e sfiduciati coloro i quali perseverano nell’assumersi le proprie responsabilità di cittadini.

Pare un circolo vizioso, ma se ne può uscire?

Ritengo di sì, a patto che non si attenda che siano gli altri, incluso lo Stato, a fare il primo passo, ma si sia disponibili in prima persona ad attuare comportamenti virtuosi che inneschino un sentire comune fiducioso e rispettoso delle regole, anche quelle di principio, che tuteli i diritti nel rispetto dei doveri.

Sono ingenua?

È un complimento per me. L’etimologia della parola riporta all’essere nato libero, libero di scegliere che tipo di cittadino voler essere.

 

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