13 Settembre 2016

Fare pace col fisco: gli aspetti contributivi

di Roberto Lucarini

A quale persona, di buoni principi, non farebbe piacere porre in essere un atto di pace? A un contribuente senza dubbio, specie se la controparte è l’Amministrazione finanziaria.

Così il nostro Legislatore, nella sua immensa bontà, ha voluto sviluppare e offrire nel tempo alcune forme di pacificazione tra queste due parti, sovente in lite tra loro. Trattasi, in termine tecnico, degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario. E, come noto, quando il nostro amato Legislatore si mette sul pezzo non va per il sottile; ne è derivata, infatti, una bella lista di possibilità, più o meno di facile intuizione, distinguibili tra la fase precontenziosa (quando ancora la Commissione tributaria non è stata adita, o forse disturbata) e quella contenziosa (quando oramai i giudici fiscali sono stati allertati).

I nomi degli istituti, praticabili dalle suddette parti, sono tutti un programma:

  • accertamento con adesione: ovvero il fisco minaccia un accertamento e il contribuente tratta e, se contento, aderisce a un accordo;
  • acquiescenza: il contribuente, specie ove senza scampo, accetta com’è l’accertamento e ottiene una sanzione ridotta a un terzo;
  • mediazione: anche qui viene trattato, tra le parti, un accertamento, al fine di giungere a un accordo di reciproco interesse;
  • conciliazione giudiziale: nel corso del giudizio le parti si accordano e chiudono il tutto, con gran sollievo del collegio giudicante;
  • definizione agevolata liti pendenti: una sorta di condono delle liti in corso, ante Una definizione amichevole in stile tarantella, …. “scurdammoce o’ ppassato” ….

La riforma operata su taluni istituti, a mezzo del recente D.Lgs. 156/2015, ha spinto l’Inps a chiarire i riflessi contributivi di eventuali accordi nella circolare n. 140/2016. In effetti ci si potrebbe domandare: l’Amministrazione finanziaria accerta una somma quale maggiore reddito d’impresa, con relativa imposta, cui si debbono aggiungere i contributi previdenziali. Poi, la stessa Amministrazione tratta col contribuente e la partita viene chiusa con un accertamento reddituale più basso. E i contributi che fine fanno?

L’aspetto previdenziale è certo legato al maggior reddito accertato, ma le norme dei vari istituti legali sopra citati prevedono che la loro efficacia valga non solo ai fini tributari, ma anche contributivi. L’Inps dovrà dunque calcolare il corretto maggior debito, in funzione non dell’iniziale accertamento, ma di quello effettivamente concordato e definito tra le parti. Unica eccezione il caso, peraltro passato, delle liti fiscali pendenti, dove il reddito accertato non viene modificato, ma solo estinta la lite in via agevolata.

Il succo di tutto questo, se vogliamo, è il seguente. A fronte della concreta e rilevante motivazione, legata alla riduzione del numero della cause tributarie, gli strumenti deflattivi hanno un secondario (ma non troppo) obiettivo: quello di fare cassa. Il nostro Stato, come noto, è parecchio affamato di denaro. Una causa fiscale, sia pure con un’iscrizione parziale a ruolo, potrebbe avere lunga durata (nei 2 gradi di giudizio) e un esito mai certo per ciascuna delle parti. Meglio quindi accodarsi subito e prendere qualcosa nell’immediato. Un po’ il vecchio, ma sempre valido, concetto del “meglio un uovo oggi, che una gallina domani!”.

E l’Inps che deve fare? Si deve adeguare; non si scappa. La norma è chiara. L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di trattare sul maggior reddito accertato e questo, nel caso, diviene definitivo anche ai fini previdenziali. L’Istituto non ha voce in capitolo e questo, forse, è un bene per tutti.

 

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Z_old_Gli strumenti deflattivi del contenzioso