19 Ottobre 2023

I profili ispettivi della recente Direttiva sulla trasparenza retributiva

di Giovanna Carosielli Scarica in PDF

Nel maggio 2023 è stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, la Direttiva 2023/970 del 10 maggio 2023, avente a oggetto la parità di retribuzione tra uomini e donne adibiti a uno stesso lavoro o a un lavoro di pari valore, in via principale attraverso la trasparenza retributiva. La fonte giuridica europea, il cui recepimento negli ordinamenti degli Stati membri è fissato al giugno 2026, prefigura altresì l’intervento dell’INL, offrendo interessanti spunti di riflessione. 

 

La Direttiva 2023/970 del Parlamento Europeo e del Consiglio

Il diritto continentale del lavoro si arricchisce di un ulteriore innesto, operato su un terreno da anni oggetto di regolazione specifica: la parità retributiva tra uomini e donne. Tale principio, sancito dall’articolo 157, § 1, Tfue, obbliga gli Stati membri ad assicurare il medesimo trattamento economico tra lavoratori di sesso maschile e sesso femminile adibiti allo stesso lavoro o a un lavoro di pari valore, onerando i singoli ordinamenti a un’applicazione concreta ed effettiva del precetto, il quale, a sua volta, ricava dagli articoli 2 e 3, § 3, del Trattato sull’Unione Europea, riferiti alla parità tra uomini e donne quale valore fondamentale dell’Unione Europea, il proprio pilastro giuridico di riferimento.

Un ulteriore corollario giuridico su cui poggia la recente fonte di diritto europeo derivato è rinvenibile nell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, alla stregua del quale il valore fondante della parità tra uomini e donne deve potersi declinare in relazione a tutti i campi del lavoro, ivi compresi quelli dell’occupazione, delle condizioni di impiego e della retribuzione.

Già oggetto di esplicita disciplina con la Direttiva 2006/54/CE, vietante al suo articolo 4 ogni forma di discriminazione retributiva, diretta o indiretta, fondata sul sesso, ai sensi del considerando 11 della Direttiva 2023/970 dalla valutazione del 5 marzo 2020, voluta dalla Commissione Europea, è emerso come la parità retributiva sancita dalla Direttiva 2006/54/CE risulti tuttora ostacolata da una molteplicità di fattori, fra cui la scarsa trasparenza nei sistemi retributivi, l’incertezza giuridica e definitoria del concetto di “pari valore” e ostacoli procedurali che non permettono, a chi lamenta una discriminazione, di far valere le proprie ragioni, difficile risultando l’accesso alle informazioni su come presentare ricorso e sui livelli retributivi applicati.

Il deficit informativo dei lavoratori sui loro diritti, tratteggiato dalla predetta valutazione, richiede pertanto sia una maggiore trasparenza, disvelando pregiudizi e discriminazioni di genere, sia l’adozione di misure correttive che sanino il disequilibrio creatosi.

Un significativo aggravamento della descritta situazione è stato altresì provocato dalla pandemia di Covid-19, la quale, nel far emergere la ripetuta sottovalutazione strutturale del lavoro svolto dalle donne, ha anche posto in rilievo l’alto valore delle attività di assistenza sanitaria e all’infanzia, di pulizia, di assistenza sociale e quella nelle strutture residenziali per anziani e/o degenti non autosufficienti, facendo emergere il paradosso per cui, per quanto essenziali anche e soprattutto in periodi critici – quali la recente pandemia –, le lavoratrici donne non ricevono il giusto riconoscimento e, ancor di più, una retribuzione pari a quella degli uomini, a parità di mansioni svolte.

In base al considerando 15, Direttiva 2023/970, il divario retributivo di genere deve la sua origine a una mezza dozzina di ragioni, che vanno dalla persistenza di stereotipi legati al genere al persistente “soffitto di cristallo” o “pavimento appiccicoso”, ostativi di una carriera professionale per le donne; dalla segregazione orizzontale, rappresentata da una sovrarappresentazione femminile nei lavori a modesta retribuzione, alla discriminazione retributiva diretta e indiretta.

In ragione della stretta correlazione emersa tra la scarsa trasparenza sui meccanismi retributivi e la discriminazione retributiva di genere, la Direttiva 2023/970 si pone l’obiettivo, contenuto nel proprio considerando 16, di introdurre: “misure vincolanti per migliorare le trasparenza retributiva, incoraggiare le organizzazioni a rivedere le loro strutture salariali per garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore e per consentire alle vittime di discriminazione di far valere il loro diritto alla parità di retribuzione.”

Con l’integrazione, altresì, di disposizioni definitorie che chiariscano i concetti giuridici di “retribuzione” e di “lavoro di pari valore” sulla scia di quanto precisato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, comprendendo, nel primo caso, salario, stipendio e qualsivoglia utilità, anche in natura, ricevuto in ragione della prestazione lavorativa resa, oltre alle componenti variabili o complementari della retribuzione – quali bonus, indennità, compensazioni o simili –, laddove l’equipollenza del lavoro dovrebbe riposare sulle competenze, sull’impegno, sulla responsabilità e sulle condizioni di lavoro.

Applicabile a tutti i lavoratori che hanno un contratto o un rapporto di lavoro, oltre che ai candidati a un impiego (articolo 2), la Direttiva 2023/970 onera gli Stati membri dell’adozione di sistemi di valutazione e classificazione professionale non discriminatori (articolo 4, § 2), applicando metodi retributivi fondati su criteri oggettivi e neutri che consentano un’agevole comparazione del valore del lavoro.

 

I principali riferimenti normativi: l’articolo 157, Tfue

Come detto, l’articolo 157, Tfue costituisce il faro giuridico di riferimento della recente Direttiva, che si inserisce, pertanto, nel più ampio contesto di politica sociale europea, pur vantando, tuttavia, radici nel contesto economico e di mercato. Con riferimento a quest’ultimo, infatti, come è stato acutamente osservato: “la previsione della parità retributiva riposa su esigenze di tipo economico ed in particolare sulla preoccupazione dell’eccessivo vantaggio che alcuni Stati membri potrebbero trarre dall’utilizzo di lavoro femminile a basso costo: di qui il rafforzamento del fondamento sociale ed economico di mercato della parità retributiva e del principio di non discriminazione, come peraltro confermato dalla Corte di Giustizia con le famose pronunce Defrenne (No 2) e Defrenne (No 3)”.

Sempre in ottica di inquadramento sistematico e secondo un approccio più ampio, la parità di trattamento nel diritto del lavoro – di cui l’uguaglianza retributiva rappresenta un’applicazione significativa – deve il suo impulso al riconoscimento dei diritti dell’uomo e della dignità umana, i quali, all’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale, hanno attualizzato il precetto aristotelico, recepito dalla tradizione liberale, dell’uguaglianza formale alla rimozione di ostacoli che impediscono un’effettiva e sostanziale parità di trattamento in presenza di situazioni identiche o comparabili.

 

Le informazioni acquisibili ai sensi della nuova Direttiva

Pur non essendo questa la sede per una disamina integrale dalla Direttiva 2023/970, è nondimeno possibile analizzarne alcune disposizioni, fra cui merita menzione il passaggio afferente il diritto riconosciuto ai lavoratori, anche per il tramite delle organizzazioni sindacali o un organismo di parità, di: “ricevere e richiedere per iscritto (…) informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.”

Come stabilito dall’articolo 7, § 1, della recente fonte di diritto europeo.

Le informazioni richieste devono essere fornite dal datore di lavoro entro un termine ragionevole e comunque entro 2 mesi dall’invio dell’stanza, fermo restando che un’eventuale imprecisione e/o incompletezza datoriale a riguardo legittima i lavoratori a chiedere chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli in relazione a quanto fornito dal datore di lavoro, nonché di ricevere una risposta motivata (articolo 7, § 2, seconda parte, e § 4, Direttiva 2023/970).

Altresì, ai sensi dell’articolo 9, Direttiva 2023/970, nel suo recepimento entro il 7 giugno 2026 gli Stati membri dovranno altresì provvedere affinché i datori di lavoro forniscano informazioni in relazione, tra gli altri, al divario retributivo di genere, alla percentuale di lavoratori di sesso femminile e sesso maschile riceventi componenti complementari o variabili, al divario retributivo di genere tra lavoratori per categorie ripartito in relazione allo stipendio di base e alle componenti complementari o variabili.

In relazione a queste ultime, il citato articolo 9, § 9, ne dispone l’accesso ai lavoratori e/o alle rappresentanze sindacali che ne facciano richiesta, oltre a stabilirne la trasmissione all’Ispettorato del lavoro e all’organismo per la parità su richiesta, anche in relazione al quadriennio precedente.

Del pari, l’articolo 10, § 3, Direttiva 2023/970, prevede che i datori di lavoro mettano a disposizione dei lavoratori e dei rappresentanti sindacali la valutazione congiunta delle retribuzioni e, su richiesta, all’organo di parità di genere e all’Ispettorato territoriale del lavoro. Altresì, quest’ultimo ha il diritto, ai sensi del § 10 del predetto articolo 9, di chiedere ai datori di lavoro, e dai medesimi ricevere entro un termine ragionevole, chiarimenti e dettagli in relazione a qualsiasi dato loro fornito, ivi comprese le spiegazioni per eventuali differenze retributive di genere, fermo restando che ove queste ultime non soddisfino, quanto a motivazione, i criteri oggettivi e neutri sotto il profilo di genere, i datori di lavoro vi rimediano entro un termine ragionevole, in collaborazione con l’Ispettorato territoriale del lavoro, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e/o l’organismo di parità di genere.

Infine, ai sensi dell’articolo 12, § 3, Direttiva 2023/970, ove la divulgazione dei dati richiesti – nel merito: sul livello retributivo individuale, sul divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile e sulla valutazione congiunta delle retribuzioni – comporti la conoscibilità dei dati di un lavoratore identificabile, la loro conoscibilità può essere ristretta alle rappresentanze sindacali dei lavoratori, all’organismo di parità e all’Ispettorato territoriale del lavoro.

 

 

Le possibili implicazioni ispettive

In attesa della trasposizione nel nostro ordinamento del precetto continentale, in sede di primo commento possono essere svolte alcune considerazioni.

Innanzitutto, l’attivazione a opera dell’Ispettorato Territoriale del lavoro per acquisire informazioni sul divario retributivo di genere ripartito in relazione al salario normale di base e alle componenti complementari o variabili, ovvero per visionare ed esaminare la valutazione congiunta delle retribuzioni, potrebbe essere spontanea ovvero compulsata da una segnalazione di fonte sindacale, che magari evidenzi un’indebita e immotivata disparità di trattamento datoriale.

Altresì, poiché la comparazione retributiva tra lavoratori e lavoratrici adibiti allo stesso lavoro o a lavoro di pari valore andrebbe compiuta in relazione alla loro dipendenza al medesimo datore di lavoro e/o all’unica fonte che stabilisce le retribuzioni, ovverosia a quella che decide gli elementi della retribuzione (articolo 19, § 1, Direttiva 2023/970), l’Ispettorato territoriale del lavoro dovrebbe estendere la richiesta di accesso alle informazioni, e in ultima analisi la verifica, anche a un eventuale diverso soggetto giuridico, in grado di intervenire sulle retribuzioni in forza di una significativa partecipazione azionaria dell’impresa oggetto di accertamento o in qualità di capogruppo, per esempio.

Del pari, la possibile difformità della motivazione di differenze retributive, fornita dai datori di lavoro, al cospetto dei criteri oggettivi e neutri sotto il profilo di genere, nell’implicare un rimedio di tipo conciliativo e/o concordato tra i vari soggetti coinvolti, lascerebbe ipotizzare una risposta di tipo non punitivo a opera dell’organo di vigilanza, che, in queste circostanze, potrebbe prevedere l’impiego della disposizione ex articolo 14, D.Lgs. 124/2004, per porre fine all’immotivata disparità di trattamento a fronte del fallimento di una preventiva procedura in contraddittorio tra le parti.

Ulteriori profili di intervento ispettivo originati dalla Direttiva 2023/970 potrebbero esser ravvisati sia in relazione ad aspetti preventivi, sia, all’opposto, a quelli sanzionatori. Con riferimento ai primi, sulla stregua di quanto stabilito dall’articolo 14 della fonte di diritto derivato europeo, per il quale il rimedio giudiziario spettante a ciascun lavoratore vittima di una discriminazione retributiva può essere preceduto da un ricorso alla conciliazione, l’Ispettorato territoriale del lavoro, con l’istituto della conciliazione monocratica di cui all’articolo 11, D.Lgs. 124/2004, può rappresentare un valido modello di riferimento, invitando le parti a trovare una soluzione condivisa della questione.

In relazione ai secondi, a mente dell’articolo 17, Direttiva 2023/970, a fronte della violazione dei diritti o degli obblighi connessi alla parità retributiva – e, quindi, l’accesso alle informazioni e la congruità della giustificazione offerta dal datore di lavoro per motivare la disparità retributiva – le autorità competenti possono, su richiesta dell’istante e a spese dell’inadempiente, adottare un provvedimento interdittivo della condotta datoriale illegittima (§ 1, lettera a), nonché un atto che assicuri i diritti e gli obblighi derivanti dal principio di parità retributiva (§ 1, lettera b), prevedendo infine la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria in caso di inottemperanza al provvedimento (articolo 17, § 2).

A riguardo, la disposizione ispettiva – o un atto ad hoc –, nel primo caso, e la diffida – o un atto ad hoc – di cui all’articolo 13, D.Lgs. 124/2004, nel secondo, potrebbero rappresentare validi e già collaudati strumenti, semmai da adattare al caso specifico, per assicurare un’effettiva applicazione della disciplina continentale in parola.

In termini più generali, va posto in rilievo come la vigilanza in senso lato sull’osservanza della Direttiva 2023/970 possa esplicarsi meglio a fronte di una collaborazione fra gli uffici ispettivi territoriali e le diramazioni locali della consigliera di parità, che rappresenta molto spesso il primo terminale istituzionale cui si rivolge un lavoratore – nella maggior parte dei casi una lavoratrice – che lamenti una discriminazione sul luogo di lavoro. Tale collaborazione, che potrebbe prevedere interventi concertati e/o congiunti, avrebbe altresì il pregio di risultare funzionale al superamento di almeno uno dei rischi prospettati dai primi commentatori al nuovo testo normativo europeo, consistente in una burocratizzazione della vita aziendale, determinante l’abbassamento del livello qualitativo delle prerogative organizzative della dirigenza privata, con conseguente assimilazione del mondo privato all’omologo pubblico, in cui una differenziazione retributiva è di più complessa attuazione.

A prescindere dalla condivisibilità delle riportate conclusioni, ciò che andrebbe davvero evitata è la burocratizzazione della verifica e dell’osservanza della direttiva, che, oltre a sterilizzare le novità in commento, rischierebbe anche di provocare un inutile aumento del contenzioso giudiziario.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.