8 Marzo 2017

Lo sport dilettantistico e le precisazioni del neo ispettorato nazionale

di Claudio Boller

Con la lettera circolare n. 1/2016 del neo costituito Ispettorato nazionale del lavoro, viene ora aggiunto un nuovo tassello al complesso puzzle che compone il variegato mondo dello sport dilettantistico. L’INL considera obbligatoria l’iscrizione nel registro tenuto presso il Coni, quale requisito necessario che permette alle società-associazioni sportive di usufruire del regime agevolato sui compensi erogati, previsto dall’articolo 67, lettera m), Tuir. Contemporaneamente, andando ben oltre al dettato normativo, sostiene che solo le figure lavorative presenti in speciali elenchi a cura delle Federazioni, potranno rientrare nelle prestazioni a tassazione agevolata.

 

Premessa

È chiaro a tutti che, nell’ambito delle attività sportive dilettantistiche, il Legislatore ha avuto un occhio di riguardo, nella non velata intenzione di differenziare il settore rispetto la generalità dei rapporti di lavoro.

L’articolo 67, Tuir, infatti disegna una linea fiscale agevolata a favore dei redditi percepiti a seguito di prestazioni di natura non professionale, nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.

Ma questa voluta agevolazione ha anche comportato una lunga serie di distorsioni interpretative sfociate in un continuo contenzioso tra Enti e associazioni/società sportive, ad oggi irrisolta.

In primis, tali redditi non sono soggetti a contribuzione, fattore che determina immediatamente l’innalzamento della soglia di guardia da parte degli ispettori; inoltre godono di un particolare regime fiscale: un limite di esenzione totale fino a 7.500 euro annui, l’applicazione a titolo d’imposta del primo scaglione di reddito (23%) maggiorata delle addizionali regionali e comunali, per la parte eccedente i 7.500 euro e fino alla soglia dei 28.158,28 euro, e infine una ritenuta a titolo d’acconto, sempre del 23%, sulla parte che eccede i 28.158,28 euro.

I problemi principali nascono dalla mancanza di una definizione completa, chiara ed esaustiva, di quale sia l’esatta natura delle prestazioni svolte dal collaboratore sportivo; argomento sul quale il Legislatore palesa il suo disinteresse nell’istante in cui demanda a una norma tributaria, e non lavoristica, l’esplicitazione di cosa si tratti. Incriminato in questo caso è l’articolo 67, lettera m), Tuir, che assegna natura di redditi diversi a quei redditi “erogati nell’esercizio di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine, dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.

Sembra una contraddizione in termini, il Legislatore tanto è attento fiscalmente a favorire la specificità del settore sportivo dilettantistico, quanto è distratto nel non definire compiutamente l’ambito di applicazione.

Il neocostituito Ispettorato nazionale del lavoro dimostra invece fin da subito, di aver chiaro che la situazione è attualmente ancora un nervo scoperto, e infatti, con la sua prima lettera circolare, la n. 1/2016, ha emanato le proprie indicazioni operative ai fini della vigilanza nell’ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche.

Nulla ferendo la libertà giudiziale di addivenire a diverse conclusioni, e anzi riconoscendo il numeroso contradditorio amministrativo e giudiziale che si è venuto a creare negli anni, l’INL riconduce, tra i redditi diversi, le indennità erogate ai collaboratori al verificarsi delle seguenti condizioni:

  1. che l’associazione/società sportiva dilettantistica sia regolarmente riconosciuta dal CONI attraverso l’iscrizione nel registro delle società sportive;
  2. che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo – dilettantistiche così come regolamentate dalle singole Federazioni.

Tutto risolto?

Ovviamente no, ma si tratta comunque di un tassello che si va ad aggiungere a un complesso puzzle, ma andiamo con ordine.

 

La componente soggettiva

La lettera m), articolo 67, individua quale requisito necessario per usufruire del particolare regime fiscale che il soggetto erogante il compenso, quindi in qualità di sostituto d’imposta, sia un organismo che persegua finalità sportiva dilettantistica.

Vi rientrano, per espressa previsione normativa, il CONI, le Federazioni sportive nazionali, l’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine, gli Enti di promozione sportiva e soprattutto, per quanto di nostro interesse, qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche.

Stiamo parlando in ultima di associazioni sportive e società sportive che perseguano finalità sportive dilettantistiche senza fini di lucro, e che, come richiesto dalla norma, siano contemporaneamente riconosciute in quanto tali dal CONI.

È quindi il CONI l’organizzazione demandata a verificare, quale unico certificatore, l’effettiva attività sportiva svolta dalle Asd e Ssd. In pratica le caratteristiche dell’attività sportiva non possono costituire oggetto di un contenzioso tributario, con buona pace di alcuni verbali della Guardia di finanza.

L’elemento qualificatorio, pertanto, deve essere individuato nell’iscrizione, da parte dell’associazione o della società sportiva dilettantistica, all’apposito registro delle società sportive.

È molto interessante in tal senso la recente delibera del CONI, con la quale sono state individuate ben 396 discipline, che, allo stato attuale, possono ritenersi attività sportive; conseguentemente l’iscrizione al registro è ammissibile unicamente con riferimento a società e associazioni che perseguano lo svolgimento di una delle attività ivi indicate.

Vengono individuati 3 requisiti necessari per evitare cause ostative all’iscrizione e al mantenimento dell’iscrizione al registro:

  • gli statuti societari devono prevedere la pratica della disciplina sportiva presente nell’elenco;
  • svolgere effettiva pratica della disciplina sportiva dichiarata statutariamente;
  • essere in possesso, per ogni singolo anno di iscrizione al Registro CONI, di documentazione attestante la partecipazione alle attività organizzate dell’ASC visibili nel portale ESP accessibile dal sito CONI.

Viene da sé che le discipline sportive non riconosciute dal CONI in tale elenco non potranno più essere praticate dai sodalizi sportivi usufruendo delle agevolazioni normative dell’articolo 67, Tuir, connesse all’attività dilettantistica.

Si tratta, come si vede, di una delibera particolarmente importante; non risulta più idonea la mera indicazione statutaria dello svolgimento di non precisate attività a carattere sportivo, dovrà invero essere specificatamente riferito a una o più attività presenti nell’elenco o comunque prevedere il rimando espresso alla delibera stessa.

 

La tipologia di prestazione

Vexata quaestio quella delle tipologia di attività che possono essere svolte dai singoli collaboratori godendo dell’ombrello fiscale fissato dall’articolo 67.

La circolare dell’INL affronta, ma solo parzialmente, l’argomento, ritenendo che le prestazioni siano analiticamente indicate nell’articolo 67 stesso e nella successiva legge del 2009. È però comunque vero che, finalmente, vengono messi dei paletti importanti che in sede ispettiva dovranno essere tenuti in debito conto.

Come sappiamo, le indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spesa, i premi e i compensi, erogati “nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” godono della totale immunità contributiva e beneficiano di una fascia di esenzione fiscale totale fino a 7.500 euro annui.

Si tratta cioè di compensi percepiti da soggetti che partecipano, o hanno partecipato, direttamente alla realizzazione della manifestazione sportiva, così come anche chiarito dall’Agenzia delle entrate.

Di più, dall’interpretazione autentica offertaci dal D.L. 207/2008, l’ambito si estende a tutte quelle prestazioni lavorative relative allo svolgimento di attività dilettantistiche di formazione, di didattica, di preparazione e di assistenza dell’attività sportiva, che non devono essere obbligatoriamente riferite alla realizzazione di una manifestazione sportiva.

Emerge, dalla lettura della lettera circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato, un passaggio molto importante, che va analizzato con una certa attenzione: “sulla base di questi chiarimenti normativi e di prassi è possibile avere un quadro di riferimento per definire le prestazione che rientrano nell’art.67 del Tuir ma è necessario, in sede di accesso, verificare, sulla base delle indicazioni fornite dalle singole Federazioni che attuano il riconoscimento della ASD/SSD, quali sono le attività necessarie per garantire l’avviamento e la promozione dello sport e le qualifiche dei soggetti che devono attuare tali attività”.

Questo significa, almeno per il momento e salvo successive smentite, trattandosi comunque di diritto circolatorio, che la possibilità di inquadrare nei redditi diversi la singola prestazione sportiva dilettantistica, dipende dalla presenza di tale tipologia di prestazione in una sorta di elenco previsto dalla Federazione di appartenenza.

Se da un punto di vista ispettivo può risultare un buon punto di partenza sia per chi svolge l’ispezione sia per chi viene ispezionato, da un punto di vista squisitamente giuridico mostra il fianco a molteplici problematiche.

Si tratta infatti di una previsione che non trova alcun riscontro nella norma, con il rischio di mettere in difficoltà Asd e Ssd che hanno instaurato rapporti con figure, non espressamente previste dalle Federazioni corrispondenti, ma che nella realtà dei fatti comunque risultano attinenti e conformi alla formazione, alla didattica, alla preparazione a all’assistenza dell’attività sportiva dilettantistica.

Quindi non solo rientrare nel tassativo elenco previsto dal CONI con la sua delibera natalizia, ma in questo caso viene richiesto, a ragione o a torto, di svolgere una prestazione che rientri in un ulteriore fantomatico elenco.

Ed ecco che le Federazioni delle varie discipline procedono prontamente a creare ognuna il proprio elenco, per dare esaustiva risposta all’INL; una tra le prime è sicuramente la Federazione Italiana Scherma, che ha emanato un iniziale elenco di 17 figure lavorative.

A parere di chi scrive, sta partendo una sorta di “al lupo, al lupo”, che invece di migliorare la situazione la renderà più caotica. Ne è esempio l’affermazione fatta dal Segretario generale del CONI e diramata dalla Federazione italiana di tiro con l’arco, che quanto meno incautamente, è giunto a dire che Non assumono rilievo al fine della qualificazione del reddito “le modalità con cui tali mansioni sono espletate”.

Ma nella realtà dei fatti l’Ispettorato nazionale, con questa presa di posizione, evita di entrare nella vera problematica, demandando a un elenco “esterno” la collocazione della fattispecie lavorativa.

Sembrerebbe cioè tralasciare la fondamentale importanza, che invero rimane a tutti gli effetti, del modo in cui si esplica effettivamente la prestazione, bypassando completamente la previsione dell’articolo 2094 cod. civ., e, per certi versi, anche l’articolo 2, D.Lgs. 81/2015.

Il problema però rimane: l’incipit stesso articolo 67 ricorda infatti che sono da annoverare tra i redditi diversi quelli che non sono in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.

Si auspica un po’ più di obiettività da parte delle Federazioni, che devono ponderare bene la situazione prima di creare delle liste di prescrizione; liste che faranno, agli occhi ispettivi, da spartiacque, o dentro o fuori, e che, lungi dal risolvere la situazione, creeranno ulteriore contenzioso.

La lettera circolare n. 1/2016 INL presenta un altro passaggio particolarmente interessante, lì dove sottolinea che la qualifica del lavoratore, acquisita a seguito di specifici corsi formativi tenuti dalle Federazioni sportive, non rappresenta in alcun modo un requisito sufficiente, per ricondurre tali compensi tra il novero dei redditi di lavoro autonomo, non essendo tale qualifica requisito di professionalità, ma mero elemento richiesto dalla Federazione per garantire il corretto insegnamento della pratica sportiva.

E prosegue sottolineando che anche l’iscrizione in albi o elenchi tenuti dalle Federazioni o dal CONI e attestanti la capacità di esercitare determinate attività di formazione, non possono essere consideratati di per sé elementi per far rientrare i compensi percepiti nell’alveo di quelli aventi “natura professionale”.

Si tratta di un’affermazione che tenta di risolvere favorevolmente un’annosa questione, lasciando però comunque ancora aperta la domanda di quando ci si trovi di fronte ad attività svolte in modo professionale, così come richiamate dalla norma.

Se il possesso di attestati che comprovano la specializzazione e la capacità educativa, emessi dal CONI o sue Federazioni, nell’ambito di corsi da loro organizzati, non è requisito sufficiente, quando si può parlare di attività svolta in via professionale?

La ripetizione dell’attività di insegnante sportivo in un arco temporale sufficientemente lungo, contestualmente alla mancanza di guadagni rilevanti derivanti da altre attività svolte in settori differenti, che renderebbero “residuali” quelli percepiti in qualità di insegnante sportivo, sembrano essere rimasti al momento i 2 principali fattori per definire l’attività svolta in maniera “professionale”, escludendo conseguentemente la possibilità di usufruire dell’agevolazione fiscale prevista dall’articolo 67 Tuir.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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