29 Giugno 2023

Variazione delle mansioni e revoca di fringe benefit: un interessante pronuncia della Corte di Appello di Milano

di Luca Vannoni Scarica in PDF

La Corte di Appello di Milano, con la sentenza del 27 aprile del 2023 n. 463, ha respinto le richieste di un dirigente che sosteneva di essere stato demansionato, a seguito di un trasferimento d’azienda, e di aver subito una riduzione illegittima della retribuzione in riferimento, in particolare, ai fringe benefit dell’alloggio e dell’auto ad uso promiscuo.

In occasione di trasferimenti di azienda, soprattutto le posizioni apicale possono ricevere compressioni rispetto alle precedenti mansioni svolte e diverse gestione dei fringe benefit: al di là dell’evidente contrapposizione di interessi, è bene riepilogarne i parametri di validità prendendo spunto dal diritto vivente, in questo caso rappresentato dalla recente sentenza della Corte di Appello di Milano del 27 aprile del 2023 n. 463.

A seguito del rigetto in primo grado, un dirigente con mansioni di staff all’amministratore delegato e successivamente nominato responsabile del servizio internal audit (smaltire negli anni lo stock di crediti problematici), il cui rapporto di lavoro era stato ceduto a seguito di trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c.,  proponeva appello per  ottenere, previa declaratoria dell’illegittimità della decurtazione dalla retribuzione per i mancati benefici dell’uso dell’alloggio e dell’auto aziendale, il pagamento della somma corrispondente rispettivamente ad € 179.400,00 e ad € 7.200,00, nonché ad ottenere, previo accertamento del demansionamento subito, il risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali (Euro 1.360.500,00) e non patrimoniali (Euro 300.000,00).

Il dirigente sosteneva di essere stato oggetto di demansionamento illegittimo poiché, a seguito di un trasferimento d’azienda, il suo rapporto si era caratterizzato da una “evidente decrescita professionale realizzatasi attraverso lo svuotamento sostanziale delle sue mansioni e della sua professionalità”.

Nonostante avesse mantenuto sostanzialmente il ruolo rivestito, contestava i seguenti aspetti:

a) non era più a diretto riporto dell’amministratore delegato, bensì del direttore generale;

b) nella mancata partecipazione ai piani di remunerazione equity based

c) nella graduale riduzione del perimetro dei crediti problematici e del numero di unità a lui gerarchicamente sottoposte, passate da 40 nel 2010 a 12 nel 2021

d) nei diversi e più gratificanti destini professionali riservati a colleghi dirigenti;

e) nelle “immotivate e illegittime” revoche dei benefits di cui godeva, consistenti nell’appartamento e nell’auto aziendale ad uso promiscuo.

La Corte di Appello, tuttavia, ha confermato il giudizio di primo grado.

Innanzitutto, non sono state considerate meritevoli di accoglimento le richieste in ordine all’asserito demansionamento.

La lamentata esclusione dai piani equity based poteva avere incidenza unicamente ai fini del quantum debeatur se fosse stato accertato il contestato inadempimento datoriale, ma non vi erano specifiche richieste da parte del dirigente.

Sono poi irrilevanti, le vicende di colleghi che avrebbero avuto un più soddisfacente percorso professionale rispetto al suo, senza specifiche allegazioni probatorie: grava, infatti, sulla parte che assume di essere stata demansionata allegare e provare le circostanze di fatto dalle quali evincere un sostanziale svuotamento del ruolo in precedenza affidatogli.

La diversa organizzazione e la progressiva riduzione nel corso degli anni del numero dei c.d. derivati da recuperare e, correlativamente ad essi, dell’organico adibito alle funzioni cui era preposto non possono invece equivalere a un demansionamento, trattandosi “della naturale evoluzione del piano che si era prefissa la cessionaria e del positivo lavoro svolto dallo stesso M. quale Responsabile del Servizio Recupero Crediti e Contenzioso”.

La dequalificazione era poi esclusa dai seguenti aspetti:

  • in occasione del trasferimento d’azienda e della relativa cessione di contratto, il dirigente ha conservato la propria posizione dirigenziale con il trattamento economico corrispondente fino a quando si è dimesso per accedere al pensionamento;
  • ha continuato a svolgere il ruolo specialistico che aveva in precedenza, con il compito precipuo di “smaltire negli anni lo stock di crediti problematici in essa allocati“;
  • tale ruolo era assolutamente centrale e rilevante nel contesto organizzativo del cessionario;

In ordine alla revoca dei fringe benefit, la Corte di Appello ricorda come il principio della irriducibilità della retribuzione non sia invocabile nel caso oggetto della decisione.

I fringe benefits sono “componente aggiuntiva ai minimi tabellari, non coperta dalla tutela dell’art. 36 Cost., che si riferisce ai minimi retributivi fissati dalla contrattazione collettiva e idonei a garantire la proporzionalità della retribuzione stessa alla qualità e quantità del lavoro prestato” (Cass. 18 marzo 2013, n. 6709.

Pertanto, la retribuzione del lavoratore subordinato, così garantita, è determinata con il computo della “totalità dei compensi corrispettivi delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, ossia attinenti alla professionalità tipica della qualifica rivestita; non essendo compresi i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati” (Cass. 6 dicembre 2017, n. 29247; Cass. 24 agosto 2021, n. 23329 Cass. n. 38169/22).

Entrando poi nello specifico dei fringe benefit revocati, l’alloggio era stato oggetto di conciliazione in sede protetta, non impugnata dal lavoratore, elemento che di fatto chiude ogni possibile contestazione.

Riguardo all’auto, la Corte d’Appello evidenza la presenza di una trattenuta mensile in capo al dirigente: come affermato dalla Corte di Cassazione n. 11538/19 “quando dell’auto aziendale è consentito anche l’uso privato, ma questo è concesso a fronte del pagamento, mediante trattenuta in busta paga, di un canone non simbolico non si può ritenere che l’uso privato costituisca una forma di retribuzione in natura, posto che al datore di lavoro è corrisposto un adeguato rimborso degli oneri e delle spese sostenute. L’autovettura in uso al dipendente non può dunque essere considerata come un elemento avente natura retributiva (come tale soggetto al principio di irriducibilità della retribuzione) nel caso in cui, una volta revocata la concessione, la trattenuta del canone non sia più operata”.

 

Contratto di lavoro dopo il Decreto Calderone