9 Maggio 2024

Prestiti ai lavoratori: i chiarimenti della circolare n. 5/E/2024

di Luca Vannoni Scarica in PDF

L’articolo 3, comma 3-bis, Decreto Anticipi, ha modificato la modalità di determinazione del fringe benefit in caso di prestiti concessi al lavoratore dipendente, ovvero al coniuge o ad altri familiari, dal datore di lavoro o sulla base di un diritto maturato nell’ambito del rapporto di lavoro, disciplina contenuta nell’articolo 51, comma 4, lettera b), primo periodo, Tuir.

In tale disposizione si fissa come valore imponibile del fringe benefit prestito il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al Tur vigente alla data di scadenza di ciascuna rata o, per i prestiti a tasso fisso, alla data di concessione del prestito e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi.

La disciplina fiscale e, di riflesso, contributiva dei prestiti, oltre all’ipotesi di default in cui il finanziamento è erogato dal datore di lavoro, come ricorda l’Agenzia delle entrate, richiamando la circolare n. 326/E/1997, § 2.3.2.2, si estende “anche a tutte le forme di finanziamento concesse da terzi con i quali il datore stesso abbia stipulato accordi o convenzioni, anche in assenza di oneri specifici a proprio carico”.

Entrando, poi, nel dettaglio della modifica introdotta, ritenuta necessaria per l’aumento del Tur, che, in questi ultimi anni, ha estrinsecato i suoi effetti anche nel calcolo del valore del fringe benefit prestito – in quanto l’articolo 51, comma 4, lettera b, Tuir, nella formulazione previgente, prevedeva che occorresse effettuare il confronto tra gli interessi calcolati al Tur vigente al termine di ciascun anno e quelli calcolati al tasso effettivamente applicato sul prestito – si è stabilito che il parametro del Tur, nel caso di prestiti a tasso fisso, sia quello vigente alla data di concessione del prestito, mentre, per i prestiti a tasso variabile, il Tur sia quello vigente alla data di scadenza di ciascuna rata.

Per i prestiti a tasso fisso, dove la novità esplica maggiormente i suoi effetti, si tratta di un ritorno al passato, in quanto fino al 1999 tale era la disciplina in vigore, sostituita dalla disciplina del D.Lgs. 505/1999, ora modificata dal Decreto Anticipi.

L’Agenzia delle entrate, innanzitutto, va a declinare la modifica intervenuta con riferimento alle ipotesi di rinegoziazione o surroga del finanziamento.

Richiamando propri precedenti su materie attigue, l’Agenzia delle entrate ritiene che in caso di rinegoziazione o surroga del contratto di mutuo, “il confronto vada effettuato fra gli interessi effettivamente dovuti sulla base del tasso fisso determinato al momento della rinegoziazione e gli interessi calcolati con il TUR vigente al momento della stipula della rinegoziazione del mutuo”.

La data di concessione del prestito non è cristallizzata, quindi, al momento dell’iniziale erogazione: se il mutuo è oggetto di rinegoziazioni o surroghe, si dovrà fare riferimento alla data di efficacia di tali istituti per determinare il Tur di riferimento.

Oltre alla modifica introdotta dal Decreto Anticipi, tra le novità fiscali per il 2024 vi è un’altra misura che impatta sul tema dei prestiti, almeno indirettamente.

Ci si riferisce, in particolare, all’articolo 1, comma 16, L. 213/2023, dove si prevede, limitatamente al periodo d’imposta 2024 e in deroga all’articolo 51, comma 3, Tuir, che “non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa”, limite elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, previa dichiarazione al datore di lavoro di avervi diritto, con indicazione del codice fiscale dei figli. Si ricorda poi che, per beneficiare del regime agevolato 2024, è necessario procedere con “previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”.

Dato il tenore della norma, e tenuto conto della sostanziale inutilità, si consiglia di indicare nell’informativa esclusivamente che si intende applicare tale regime straordinario, senza indicare lavoratori e i fringe erogati, per evidenti ragioni di privacy. Nello stesso modo, in assenza di Rsu, si potrebbero comunque considerare le Rsa, ma senza prendere in considerazione nessun altro soggetto esterno. L’aspetto che si vuole evidenziare è di carattere qualitativo: sono stati inclusi nel fringe benefit anche “le somme erogate o rimborsate … per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa”.

I chiarimenti dati dall’Agenzia delle entrate si limitano, infatti, a circoscrivere l’estensione anche al caso in cui l’immobile (e il relativo contratto di mutuo) sia intestato a un familiare del lavoratore, ex articolo 12, Tuir, purché sia l’abitazione principale del lavoratore, e alla possibilità di autocertificare la presenza dei requisiti da parte del lavoratore.

Nulla si dice in riferimento e coordinamento con la norma che già esiste, sopra commentata, che può riferirsi anche a mutui ipotecari di prima casa.

Ad ogni modo, tenuto conto che la norma parla di somme erogate o rimborsate, nel caso di mutuo prima casa si deroga al regime ordinario previsto dall’articolo 51, comma 4, Tuir, nella lettura data dalla prassi, dove il bonifico relativo agli interessi doveva essere, in assenza di specifiche convenzioni con l’istituto di credito, effettuato contestualmente al pagamento della rata di mutuo, così da vincolarne la sua funzione. Il datore di lavoro potrebbe riconoscere, a titolo di fringe benefit “rimborso mutuo prima casa”, una somma di denaro sulla base di un’autocertificazione, senza ulteriori vincoli a livello di bonifico/rata mutuo.

Rimane, quindi, il dubbio di come calcolare il valore del fringe benefit: la regola ordinaria prevedrebbe il 50% della differenza tra interessi calcolati al Tur e interessi effettivi, e non l’intera quota di interessi versata dal datore di lavoro, aspetto non secondario nella saturazione del limite del fringe benefit. Nel caso in cui si proceda con le regole vecchie, ancorché sia mutuo prima casa (con erogazione coincidente alla rata di mutuo), non vi sono dubbi dell’applicazione del regime ordinario, che, in abbinata con la soglia innalzata dei fringe (a prescindere dall’inclusione effettuata), potrebbe escludere da imponibilità il fringe benefit in termini più convenienti rispetto al mero conteggio degli interessi bonificati.

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