Il lavoro del familiare dell’imprenditore: un’interessante Sentenza della Corte di Cassazione
di Roberto Lucarini Scarica in PDF
Con la sent. n. 23919/2025 la Suprema Corte interviene sul tema del lavoro del familiare nell’ambito d’impresa. Da tale pronuncia si rilevano alcuni spunti interessanti, sia sul piano teorico che su quello prettamente operativo.
È noto come il lavoro svolto in un’impresa individuale, da parte dal familiare del titolare, possa atteggiarsi in distinte forme giuridiche: quale mero apporto a titolo gratuito, in virtù dell’adagio affectionis vel benevolentiae causa; quale lavoro di tipo subordinato; quale collaboratore nell’impresa familiare (ex art. 230-bis, c.c.); quale semplice coadiutore del titolare.
Il caso all’esame degli Ermellini riguarda, oltre ad altri aspetti, un accertamento negativo, da parte dell’INPS, circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, padre–imprenditore e figlio–lavoratore, con conseguente disconoscimento dello stesso. Nei primi 2 gradi di merito, in relazione, tra altri, al caso del familiare, l’imprenditore era risultato soccombente, per cui lo stesso aveva operato ricorso in Cassazione.
I punti in discussione, per riassumere al massimo, sono sostanzialmente 2:
- onere della prova circa il disconoscimento, che secondo l’appellante sarebbe dovuto spettare all’Istituto previdenziale, data anche la mancanza di convivenza padre–figlio, a causa della quale, si sostiene nel ricorso, sarebbe venuta meno la presunzione di gratuità;
- che dalle prove testimoniali offerte sarebbe emersa la natura subordinata del rapporto di lavoro.
Vediamo come i Supremi giudici hanno risolto la controversia, ponendo l’attenzione sulla base giuridica dei ragionamenti operati.
La Corte di Cassazione, rappresentando un orientamento recente, ha evidenziato come, in caso di disconoscimento del rapporto di tipo subordinato, è «colui che intende far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, per l’effetto, la valida attivazione del rapporto previdenziale-assicurativo (che) deve provare in modo certo l’elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione (cfr. Cass. ord. n. 809/2021)». È, dunque, l’imprenditore, nel caso, a dover dimostrare l’esistenza dei caratteri tipici della subordinazione (potere direttivo – organizzativo – disciplinare), oltre l’onerosità alla base del rapporto.
Interessante anche il ragionamento posto a fronte della rappresentazione secondo la quale la mancanza di convivenza, tra familiari, eliminerebbe ex se la presunzione di gratuità, provando quindi, per converso, l’onerosità del rapporto. Su tale aspetto i giudicanti fanno notare come detta presunzione, esistente nel caso di convivenza, non sussista nella sua forma contraria nel caso di non convivenza, dovendosi quindi, in tale ultima situazione fattuale, dimostrare rigorosamente la sussistenza della subordinazione, tra i caratteri della quale vi è di certo l’onerosità (tra altre, Cass. n. 19144/2021).
Altro aspetto trattato è quello relativo alle prove del pagamento della retribuzione, che ricade pur sempre entro il tema dell’onerosità, che nel caso in esame era stato effettuato, non vigendo ancora le attuali disposizioni, in contanti. Oggi, infatti, la prova potrebbe essere offerta tramite il pagamento tracciato, come richiesto del resto dalla normativa vigente.
La testimonianza fornita nel giudizio di merito è stata ritenuta, infatti, priva di specificità, così come la presentazione delle buste paga, che, data la provenienza e conseguente redazione, non sono state ritenute idonee a esentare il datore di lavoro dal dover dimostrare la sussistenza della subordinazione.
Ciò che emerge, in sostanza, è l’aspetto molto delicato e peculiare cui si espone il lavoro del familiare nell’impresa. Un argomento che comporta notevoli rischi di riqualificazione del rapporto in entrambi i sensi: da meramente gratuito a subordinato e viceversa.
Abbiamo, inoltre, visto come la questione della convivenza giochi, invece, un ruolo rilevante solo nel caso di effettiva convivenza, con esistenza di una presunzione peraltro non assoluta, cosa questa che comporta, per chi intenda instaurare un rapporto di tipo subordinato, la massima attenzione alla precostituzione di prove idonee a dimostrane la genuinità.



