30 Settembre 2025

Concetto di assistenza e rilevanza disciplinare alla luce della Cassazione n. 23185/2025

di Michele Donati Scarica in PDF

Il tema del corretto assolvimento dell’assistenza familiare insita nella fruizione di permessi ex Legge n. 104/1992 è sempre attuale e presenta elementi di estrema delicatezza e complessità, principalmente correlate alla sfera nella quale tali assenze vanno a impattare nell’intera economia del rapporto di lavoro.

Si tratta, infatti, di periodi di astensione dal lavoro che debbono essere riconducibili, appunto, all’assolvimento del ruolo di assistenza al familiare in condizione di grave disabilità.

Nel tempo tale concetto – e più in generale il ricorso a tali tipologie di astensione (che, è bene ricordarlo, non possono in ogni caso prescindere dal preventivo riconoscimento da parte dell’INPS) – è stato spesso al centro del dibattito e della bibliografia giurisprudenziale.

In particolare, sono finiti sotto la lente di ingrandimento i comportamenti concreti dei lavoratori in costanza di fruizione di periodi di astensione finalizzati all’assistenza in condizione di disabilità: è stato spesso oggetto di dibattimento l’ampiezza del concetto di assistenza familiare e, soprattutto, la connessione tra tale principio e le azioni concretamente messe in atto dai lavoratori in costanza di astensione.

Aspetti tangenti sono poi da ricondursi – e, come si vedrà, è questo il focus della sentenza di Cassazione n. 23185/2025 – alla collocazione (nell’arco della giornata) dell’assistenza ai familiari in condizione di disabilità rispetto alla distribuzione della prestazione lavorativa.

Prima di iniziare la disamina della più recente giurisprudenza in materia, è importante focalizzare il concetto di assenza per fruizione di permessi ex Legge n. 104/1992, riferendosi con ciò, principalmente, ma non esclusivamente[1], a quanto previsto dall’art. 33, comma 3, della citata Legge, il quale, nella fisionomia novellata dal D.Lgs. n. 105/2022, prevede la possibilità per Il lavoratore dipendente di fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile, convivente di fatto, parente o affine entro il secondo grado; in caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i 65 anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità.

Il D.Lgs. n. 105/2022 ha, poi, permesso di superare in questo senso il concetto di referente unico, ammettendo che, fermo restando il limite complessivo di 3 giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro; a sua volta, e di riflesso, il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si ricada nel perimetro di parentela sopra specificato.

L’orientamento consolidato della giurisprudenza rispetto al distorto ricorso alla fruizione di permessi ex Legge n. 104/1992 prevede la sostenibilità della più severa misura sanzionatoria connessa al rapporto di lavoro, e quindi il licenziamento per giusta causa, in ipotesi di mancato assolvimento dei doveri di assistenza in costanza di fruizione di astensioni dalla prestazione lavorativa.

Detto principio può, ad esempio, essere rintracciato nelle maglie della pronuncia di Cassazione n. 12679/2024, dove, appunto, viene ammessa la liceità del licenziamento in ipotesi di mancato assolvimento dei doveri di assistenza (ma lo stesso principio è mutuabile anche in ipotesi di attività di assistenza prestata in misura sensibilmente esigua rispetto all’astensione dalla prestazione lavorativa).

Il consolidamento di tale filone giurisprudenziale deve il suo fondamento a 2 aspetti fondanti:

  1. il primo è da rintracciarsi nella giustificazione data al sacrificio patito dal datore di lavoro, costretto a privarsi della prestazione del lavoratore, e che deve appunto essere suffragato da un solido motivo connesso, appunto, alla preordinata necessità di assistenza a familiare con disabilità in condizione di gravità;
  2. il secondo attinge le proprie radici dalla circostanza che presuppone l’intervento di un trattamento indennitario di derivazione pubblico – statale che si sostanzia nell’intervento dell’INPS.

Rispetto a tale filone, la Cassazione n. 23185/2025 rappresenta, se vogliamo, un’attenuazione del principio sopra esposto. Viene, infatti, confermato l’annullamento di un licenziamento – ritenuto sostenibile in primo grado e, quindi, annullato in secondo grado – connesso a un paventato distorto utilizzo di permessi ex Legge n. 104/1992.

La pronuncia n. 23185/2025 è estremamente interessante anche perché effettua un riepilogo rispetto ai vari aspetti che possono concretizzarsi in ipotesi di controversie vertenti sui comportamenti posti in essere durante la fruizione di permessi ex Legge n. 104/1992. Viene confermato, in tal senso, che l’onere della prova grava sul datore di lavoro; e, rispetto a tale aspetto, è opportuno riprendere quanto già anche nel recente passato la giurisprudenza aveva evidenziato (Cassazione n. 2157/2025) per quanto concerne la natura e il perimetro dei controlli in questione, in virtù della loro estraneità all’esecuzione del rapporto di lavoro in senso stretto (e in presenza di fondati sospetti gravanti sul lavoratore derivanti dai di lui comportamenti) possono essere effettuati da guardie giurate, ovvero avvalendosi di servizi investigativi.

Rispetto al concetto, e soprattutto alla collocazione dell’assistenza, la Cassazione n. 23185/2025 appare sorprendente e attenua la severità del consolidato filone giurisprudenziale ripercorso in precedenza.

La fattispecie in oggetto vede ancorate le argomentazioni che, secondo parte datoriale, condurrebbero alla sostenibilità del licenziamento, alla circostanza che nell’arco temporale nel corso del quale avrebbe dovuto trovare collocazione la prestazione lavorativa (08:00 – 13:00), il lavoratore era stato, invece, colto intento a svolgere altre attività di tipo personale, non riconducibili all’assistenza del familiare con disabilità.

Dal canto proprio, il lavoratore opponeva come controdeduzione la circostanza che la necessità di assistenza del familiare in condizione di disabilità era da collocarsi in un’altra fascia temporale (quella notturna), rispetto alla quale non solo lo stesso dava puntuale evidenza, ma che contestualmente parte datoriale non riusciva a escludere.

Partendo da queste condizioni, la Cassazione n. 23185/2025 ha confermato un principio fondante e dirimente ai fini della fattispecie oggetto di indagine, quello secondo cui (ferme restando le condizioni generali già rintracciabili nei consolidati orientamenti in precedenza richiamati), non è necessario che sussista una sovrapposizione temporale tra le imprescindibili attività di assistenza al familiare con disabilità e l’orario di lavoro che sarebbe stato effettuato in caso di svolgimento della prestazione.

[1] In questo senso sono presenti nella bibliografia Giurisprudenziale anche pronunce legate ad esempio alla fruizione del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001.
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