6 Novembre 2025

Comunicazione dell’assenza a seguito di detenzione

di Luca Vannoni Scarica in PDF

La sentenza n. 1105 del 6 ottobre 2025 del Tribunale di Latina, sezione lavoro, affronta i temi dell’obbligo di comunicazione dell’assenza e dell’estensione dei doveri di diligenza e correttezza del lavoratore, anche quando l’assenza sia determinata da una causa quale la detenzione.

Il caso trae origine dal ricorso di un dipendente addetto a un cantiere di lavorazione e smaltimento rifiuti, che, dopo essere stato assunto nel 2015 e successivamente transitato alle dipendenze di una società consortile subentrata nell’appalto, veniva tratto in arresto il 21 ottobre 2023 e sottoposto a misura di custodia cautelare. Lo stesso giorno il lavoratore, secondo quanto dedotto nel ricorso, avrebbe incaricato 2 persone di riferire al datore di lavoro la propria indisponibilità: un conoscente che avrebbe informato il capo cantiere e un altro soggetto che avrebbe avvisato i responsabili aziendali. Nonostante ciò, la società gli notificava in data 6 novembre 2023 la contestazione disciplinare per assenza ingiustificata e non comunicata a partire dal 23 ottobre e, successivamente, in data 5 dicembre 2023, il licenziamento per giusta causa. Il provvedimento veniva tempestivamente impugnato in via stragiudiziale. Nel ricorso il dipendente sosteneva di avere fatto tutto quanto possibile per comunicare la propria situazione e allegava documentazione attestante la misura detentiva, ritenendo che la causa della sua assenza fosse del tutto legittima e che la mancata presenza in servizio non potesse integrare una condotta disciplinarmente rilevante. Chiedeva, quindi, la declaratoria di illegittimità del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Nella motivazione, il Tribunale riconosce in via preliminare che lo stato di detenzione costituisce certamente una valida causa di giustificazione dell’assenza dal lavoro. Tuttavia, la questione centrale non riguarda la legittimità in sé dell’assenza, bensì l’adempimento, da parte del lavoratore, dell’obbligo di comunicare tempestivamente e in modo completo i motivi e la durata presumibile dell’impedimento. Il giudice sottolinea che non esiste una forma vincolata per tale comunicazione, che può avvenire con qualsiasi mezzo idoneo, ma deve essere effettiva, tempestiva ed efficace. Tale obbligo discende dai principi generali di correttezza e diligenza nell’esecuzione del rapporto di lavoro e risponde a un’esigenza organizzativa del datore: quella di poter predisporre una sostituzione o riorganizzare il servizio in assenza del dipendente.

La giurisprudenza di legittimità, richiamata espressamente dal Tribunale (Cass. n. 10352/2014), ha più volte chiarito che la mancata comunicazione dell’assenza, anche se dovuta a motivi legittimi, può costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, in quanto pregiudica l’affidamento del datore di lavoro sull’effettiva ripresa della prestazione e crea un disservizio organizzativo. Nel caso in esame, l’assenza del ricorrente si era protratta per oltre 15 giorni al momento della contestazione disciplinare e per oltre un mese alla data del licenziamento, senza che l’azienda avesse ricevuto alcuna comunicazione ufficiale circa i motivi o la durata dell’assenza. Il Tribunale osserva che l’informazione informale circa l’arresto, appresa per via di colleghi o per passaparola, non poteva ritenersi sufficiente, in quanto priva di contenuti idonei a consentire all’azienda di assumere le necessarie decisioni organizzative. Non era noto se la misura fosse cautelare o definitiva, se la detenzione fosse di breve o lunga durata, né se vi fossero prospettive di rilascio imminente.

Di conseguenza, la conoscenza meramente “di fatto” dell’evento non può sostituire la comunicazione dovuta dal lavoratore o da chi ne cura gli interessi.

Secondo il giudice, il ricorrente avrebbe dovuto, una volta stabilizzata la propria posizione, attivarsi per far pervenire all’azienda una comunicazione scritta e completa, anche tramite il proprio difensore o i familiari. Trascorsi 5 giorni dall’arresto, il lavoratore non poteva dirsi impossibilitato a contattare l’esterno: avrebbe potuto telefonare al suo avvocato, autorizzare una comunicazione ufficiale o predisporre una nota formale che indicasse il motivo dell’assenza e la durata prevedibile. La totale mancanza di iniziativa in tal senso denota, per il Tribunale, un disinteresse colpevole verso le esigenze organizzative del datore di lavoro. Né può attribuirsi rilevanza probatoria alla testimonianza di un collega che avrebbe assistito all’arresto o all’asserita informazione affidata all’ex compagna del ricorrente, la quale avrebbe dovuto inviare un messaggio a un altro collega: si tratta, per il giudice, di comunicazioni informali, incomplete e comunque inidonee a svolgere la funzione propria dell’obbligo informativo.

Il Tribunale, pertanto, conclude che il lavoratore non ha assolto all’obbligo di informare in modo tempestivo, efficace ed esaustivo il datore di lavoro dell’assenza determinata dall’arresto e che tale omissione, protrattasi per oltre un mese, ha determinato una lesione irreparabile del vincolo fiduciario. Il venir meno della fiducia, fondamento essenziale del rapporto di lavoro subordinato, legittima l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, cioè il licenziamento per giusta causa. La domanda di annullamento del licenziamento viene quindi respinta, così come tutte le domande consequenziali di reintegrazione e risarcimento.

Il principio, ribadito dal Tribunale di Latina, riflette la concezione secondo cui il rapporto di lavoro subordinato non si fonda solo sulla prestazione materiale, ma su un obbligo di collaborazione e lealtà che implica la tutela degli interessi organizzativi dell’impresa, dove il dovere di comunicazione rappresenta un presidio essenziale dell’equilibrio tra diritti e responsabilità delle parti.

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