Congedi di paternità: stato dell’arte tra norma e contrattazione collettiva
di Michele Donati Scarica in PDF
Nel corso del presente contributo sarà approfondito l’istituto del congedo di paternità, sia per quanto riguarda quello alternativo, sia – anche e soprattutto – per quanto concerne quello obbligatorio. Verrà esaminato il dettato normativo e sarà effettuata una ricognizione circa lo stato dell’arte della presenza, e della tipologia di declinazione, nella contrattazione collettiva di ogni livello, a partire da quello nazionale. Completeranno la disamina le possibili clausole previste dalla contrattazione aziendale.
Il contesto normativo del congedo di paternità: la centralità della figura paterna
Il Legislatore (sia comunitario, sia, a cascata, interno) negli ultimi anni ha conferito una platea di riconoscimenti alla figura paterna, connessa al ruolo genitoriale assolto, sia rispetto ai momenti immediatamente attigui alla nascita dei figli – ovvero al loro ingresso nel nucleo familiare in ipotesi di adozione – sia nelle successive fasi della crescita.
In tal senso, si potrebbero sintetizzare gli interventi effettuati (in termini di estensione di riconoscimenti già esistenti, ovvero di promozione di nuovi e ulteriori istituti), lungo una duplice e distinta direttrice:
− misure che tendono a riconoscere periodi di astensione dalla prestazione lavorativa, comunque coperti da indennizzo economico (e correlata contribuzione figurativa) che si collocano in prossimità della nascita, ovvero dell’ingresso nel nucleo in ipotesi di adozione;
− misure che, analogamente a quelle descritte in precedenza, tendono a riconoscere periodi di astensione indennizzata e coperta da contribuzione figurativa, che si differenziano da quelli già sopra descritti per la loro collocazione disancorata dalla nascita, ovvero dall’ingresso in famiglia, andandosi a collocare cronologicamente più avanti, nell’ottica di favorire il pieno assolvimento del ruolo genitoriale nel corso della crescita della prole.
Tra i primi si collocano i congedi di maternità e paternità – questi ultimi oggetto del presente approfondimento – mentre nel secondo gruppo è possibile trovare il congedo parentale.
Il fattore comune tra i congedi che rientrano tanto tra il primo tanto tra il secondo gruppo è, per l’appunto, il ruolo sempre più centrale della figura paterna, in un’ottica di coinvolgimento paritario di entrambi i genitori.
Per cogliere a pieno tale passaggio può essere utile analizzare l’attuale fisionomia dei congedi parentali, così come da ultimo scaturente dalle novelle apportate dal D.Lgs. n. 105/2022 e anche alla luce delle costanti novità (in termini di misura indennitaria) previste dalle Leggi di bilancio degli ultimi anni.
I fondamenti sui quali poggia il D.Lgs. n. 105/2022, e quindi a monte la Direttiva UE 2019/1158 (che il summenzionato D.Lgs. n. 105/2022 è andato a recepire), sono rintracciabili nella volontà del Legislatore di intervenire sulla conciliazione dei tempi di vita e lavoro, andando inoltre a bilanciare, in termini di coinvolgimento, il ruolo assolto da padre lavoratore.
Tale tendenza è indirettamente testimoniata dall’ormai consolidato distanziamento del concetto di maternità facoltativa nel passato scontato dal congedo parentale.
Il passaggio è stato prima di tutto culturale, e oggi – molto più di prima e grazie ai concreti interventi posti in essere dal Legislatore – è prassi usuale che il lavoratore subordinato si astenga dal lavoro fruendo di periodi di congedo parentale.
Come detto, è stato decisivo il ruolo del Legislatore e la costanza nel prevedere misure coerentemente direzionate in tale senso.
Si pensi, ad esempio, alla previsione – di cui alle novelle introdotte dal D.Lgs. n. 105/2022 – di un periodo minimo di congedo parentale in favore di ciascun genitore, che risulta essere indisponibile, e quindi “incedibile” all’altro.
Parimenti nevralgici sono stati gli interventi – adottati questi in sede di Legge di bilancio – che hanno elevato il trattamento indennitario nei primi mesi di fruizione del congedo parentale, con una progressione a salire a partire dall’anno 2023.
Se gli interventi riconducibili alla fase della crescita e all’annesso espletamento del ruolo genitoriale sono stati estremamente rilevanti, sono stati per certi aspetti ancora più rivoluzionari quelli che hanno previsto misure – rivolte al lavoratore padre – in concomitanza con la nascita, ovvero con l’ingresso in famiglia in ipotesi di adozione (fattispecie in tutto e per tutto parificata da parte del Legislatore a quella del parto).
Su tale versante è sintomatico pensare al fatto che fino alla Legge n. 92/2012 nel nostro ordinamento il lavoratore padre, in presenza della figura materna, non aveva di fatto diritto a periodi di astensione indennizzati in concomitanza di tale momento (nascita, ovvero adozione) così speciale per la vita di ciascuno.
Era, infatti, previsto il solo art. 28 (tutt’ora vigente), contenente la disciplina del c.d. congedo di paternità alternativo.
Il concetto di alternatività è da leggersi in questo caso rispetto alla figura materna, laddove l’art. 28, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001, prevede espressamente che il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità, ovvero per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di morte o di grave infermità della madre, ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo al padre.
Dopo aver ricordato che relativamente al periodo che abbraccia il parto (i 5 mesi che, al netto della mobilità ora ammessa dal D.Lgs. n. 151/2001, vanno dai 2 mesi anteriori ai 3 successivi) non è consentito svolgere per la lavoratrice alcuna prestazione, per via dell’opportuna indisponibilità che trae il suo fondamento dalla volontà di tutelare l’integrità psico-fisica della lavoratrice medesima, è importante ribadire come lo stesso D.Lgs. n. 151/2001, già in precedenza citato, prevede, in ipotesi di fruizione del congedo di paternità alternativo, il medesimo trattamento economico – indennitario che sarebbe spettato alla madre (naturalmente limitatamente al periodo residuo).
Il congedo di paternità obbligatorio
Genesi, evoluzione e attuale assetto
Come anticipato in precedenza, la Legge n. 92/2012 ha introdotto una prima ed embrionale forma di congedo di paternità obbligatorio; nella sua prima stesura il periodo riconosciuto era estremamente più limitato (2 ovvero 3 giorni).
Nel tempo la misura, oltre ad essere costantemente confermata, è stata anche estesa sotto il profilo della durata, fino a giungere agli attuali 10 giorni previsti dall’art. 27-bis, D.Lgs. n. 151/2001.
Il comma 1 dell’art. 27-bis prevede che il padre lavoratore, dai 2 mesi precedenti alla data presunta di parto ed entro i 5 mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di 10 giorni.
Il suddetto arco temporale può essere fruito anche in maniera non continuativa, ma è preclusa la frazionabilità ad ore del congedo in trattazione.
Il comma 2 prevede l’innalzamento a 20 giorni in ipotesi di parto plurimo, mentre molto opportunamente il comma 3 stabilisce la possibilità di fruizione anche in concomitanza del congedo di maternità della lavoratrice madre.
L’art. 27-bis prosegue andando a prevedere la mutuazione della disciplina sin qui esaminata anche alle fattispecie di adozione.
Il comma 6 apre alla possibilità per il padre di fruire, al ricorrerne delle condizioni, anche del congedo di paternità alternativo di cui all’art. 28; in tali fattispecie, in ogni caso, non sarà possibile godere di entrambe le forme di astensione indennizzata nelle medesime giornate.
Chiude la disciplina normativa il comma 6, il quale, nell’andare a declinare le modalità di comunicazione da parte del lavoratore padre per l’esercizio del diritto (comunicazione in forma scritta da produrre al datore di lavoro con indicazione dei giorni nei quali si intende fruire del congedo con un anticipo di almeno 5 giorni) introduce anche quella che formalmente è l’unica delega concessa alla contrattazione collettiva.
Viene, infatti, in tale sede ammessa la facoltà per la contrattazione collettiva di introdurre condizioni di miglior favore, che, stante la collocazione nel testo normativo, sembrerebbero specificamente pensate in prima battuta per ciò che concerne le modalità comunicative.
Un aspetto nevralgico, e al tempo stesso estremamente delicato, connesso al congedo di paternità obbligatorio è quello inerente alla parificazione con il congedo di maternità, in termini di complessiva disciplina applicabile.
Ci si riferisce, in tal senso, in particolare, al divieto di licenziamento, e soprattutto alle conseguenze economiche connesse alle dimissioni eventualmente presentate dal lavoratore padre.
In merito a tale aspetto è fondamentale porre l’accento su un aspetto molto delicato che caratterizza il congedo di paternità obbligatorio: analizzando il dettato normativo dell’art. 27-bis, infatti, sembra pacifico il carattere di indisponibilità di tale diritto in capo al lavoratore padre. Indisponibilità che non è solo collegata al diritto a fruire del periodo di congedo, ma anche alla sua durata (10 giorni) e alla sua collocazione (dai 2 mesi antecedenti la data presunta di parto ed entro i 5 successivi).
A fronte di questa caratteristica, non rari sono i casi nei quali ci si trova di fronte a lavoratori che non fruiscono del congedo ovvero ne godono solo in maniera parziale.
Peraltro, grazie alla strutturazione del sistema UniEmens (e, in particolare, all’obbligo di indicazione del codice fiscale del figlio/a) è automatico, ad esempio, monitorare il rispetto della collocazione del congedo all’interno del perimetro temporale ammesso dalla legge.
Ad ogni modo, il pieno godimento del periodo di congedo previsto dall’art. 27-bis consente al lavoratore, in ipotesi di dimissioni (che debbono in ogni caso essere tassativamente qualificate e quindi formalizzate in sede protetta presso la sede della competente ITL), di fruire della medesima disciplina applicata alla lavoratrice madre al ricorrere della citata fattispecie (e, quindi, esonero dall’obbligo di rispettare il periodo di preavviso, diritto anzi alla relativa indennità, e percezione della NASpI).
Molto importante sottolineare, poi, qual è la fisionomia del trattamento indennitario previsto dal Legislatore rispetto al congedo di cui all’art. 27-bis, che si concretizza nel riconoscimento di un importo pari al 100% del trattamento retributivo spettante al lavoratore, a carico dell’ente di previdenza (nel caso di lavoro subordinato nel settore privato, quindi, si concretizza il meccanismo dell’anticipo da parte del datore di lavoro, con successivo e conseguente conguaglio a credito mediante Modello UniEmens).
Questo passaggio fa, peraltro, registrare un elemento di distinzione rispetto a quanto previsto a titolo di trattamento in ipotesi di fruizione del congedo di paternità alternativo di cui all’art. 28; in tale ipotesi al lavoratore spetta, infatti, la medesima indennità che sarebbe stata prevista nei confronti della lavoratrice madre (80% della RMG), se del caso integrata a seconda della previsione contrattuale collettiva.
Il ruolo della contrattazione collettiva: attuale situazione
In tema di congedo di paternità obbligatorio, il ruolo attualmente assolto dalla contrattazione collettiva è sostanzialmente marginale.
Sono rari, infatti, gli esempi di accordi collettivi che richiamano il congedo di paternità obbligatorio e si riduce ulteriormente il campione esaminabile se si escludono i contratti (specie a livello nazionale) che effettuano un mero rimando alla disciplina normativa (come, ad esempio, il CCNL Terziario Confcommercio).
Prima di analizzare le rare eccezioni, e chiudere provando a ipotizzare la potenziale fisionomia che potrebbe avere un accordo di secondo livello sul tema, è opportuno recuperare il dettato normativo in precedenza richiamato, e quindi l’art. 27-bis, comma 6, D.Lgs. n. 151/2001, laddove prevede appunto la possibilità per la contrattazione collettiva di intervenire – in senso migliorativo – per quanto concerne le modalità comunicative del lavoratore nei confronti del proprio datore.
A questa finalità di utilizzo se ne potrebbe affiancare una ulteriore, più per così dire ardita, che interviene in senso estensivo rispetto, ad esempio, alla misura.
È il caso del CCNL Chimica industria, che prevede espressamente il riconoscimento di ulteriori 2 giorni al lavoratore padre, in aggiunta a quelli di cui all’art. 27-bis.
Il CCNL in questione, poi, rispetto a tale riconoscimento opera 2 passaggi ulteriori:
− da un lato prevede anche per gli ulteriori 2 giorni l’obbligo di integrazione sino al raggiungimento del 100% del trattamento retributivo spettante al lavoratore;
− dall’altro stabilisce che i 2 giorni così riconosciuti debbono intendersi in ogni caso come assorbenti quelli se del caso previsti dalla contrattazione collettiva di secondo livello.
In ordine al primo aspetto, si è di fronte a una condizione di miglior favore di derivazione contrattuale collettiva, che non può sovrascrivere in senso migliorativo il trattamento indennitario a carico dell’ente di previdenza, per cui appare pacifico che tale riconoscimento ulteriore resti a carico del datore di lavoro.
Il ruolo (potenziale) della contrattazione collettiva aziendale (e in generale di secondo livello)
Un ruolo nevralgico in tema di declinazione del congedo di paternità obbligatorio può essere giocato dalla contrattazione collettiva di secondo livello.
In qualche modo, la stessa chiosa del passaggio previsto dal CCNL Chimica industria in precedenza esaminato va esattamente in questa direzione; nel momento in cui si prevede un assorbimento di eventuali condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva di secondo livello si ammette implicitamente la sussistenza di tale possibilità.
Invero, più che all’aspetto formalmente oggetto di delega (l’estensione dell’arco temporale di preavviso che il lavoratore deve fornire al proprio datore di lavoro in ordine al concreto inizio dell’astensione), il ruolo della contrattazione, nel momento in cui si interessa del congedo di paternità obbligatorio, sembra virare verso un concetto di miglior favore che è declinato rispetto all’ampiezza del periodo richiedibile.
Vanno in questa direzione, ad esempio, alcuni contratti collettivi aziendali di importanti realtà del mondo assicurativo, che estendono la durata del congedo di paternità obbligatorio.
Nel momento in cui la contrattazione interviene in tale direzione, e ferma restando la priorità di fruizione dei congedi indennizzati dall’INPS (nei modi, nei tempi e nelle misure previste dall’art. 27-bis, D.Lgs. n. 151/2001), appare possibile, per esempio, intervenire anche in senso estensivo rispetto all’arco temporale di concreta possibilità di godimento.



