Equità retributiva e contrattazione collettiva: le nuove regole, anche di trasparenza, della Legge delega n. 144/2025
di Francesco Capaccio Scarica in PDF
Dopo un lungo e travagliato iter di approvazione, avviato nel 2023, giunge al traguardo la Legge delega n. 144/2025, in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione, applicabile al solo settore privato.
L’articolo si prefigge una disamina del testo normativo e una prima riflessione sulla delega all’Esecutivo e sull’impatto pratico, in attesa dei decreti delegati di attuazione.
Delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva
La recente Legge n. 144/2025, pubblicata in G.U. n. 230/2025, delega al Governo l’emissione di uno o più Decreti legislativi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione, relativamente al solo settore privato[1].
L’esercizio, da parte dell’Esecutivo, di tale delega, muovendosi lungo la dorsale dell’art. 36, Cost., dovrà garantire l’attuazione del diritto dei lavoratori a una retribuzione proporzionata e sufficiente.
Il mezzo, individuato dal Legislatore, è quello della contrattazione collettiva, che, stando alla formulazione letterale della Legge delega, sposta il fulcro dagli agenti negoziali (organizzazioni datoriali e sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività comparata a livello nazionale) al «Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato».
La delega dovrà essere attuata entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con Decreti delegati del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, fermo il rispetto del diritto dell’Unione Europea.
I vincoli di scopo della decretazione delegata sono espressamente individuati nell’art. 1, comma 1.
Si tratta, in sostanza, di:
− assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi;
− contrastare il lavoro sottopagato, anche in relazione a specifici modelli organizzativi del lavoro e a specifiche categorie di lavoratori;
− stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel rispetto dei tempi stabiliti dalle parti sociali, nell’interesse dei lavoratori;
− contrastare i fenomeni di concorrenza sleale attuati mediante la proliferazione di sistemi contrattuali finalizzati alla riduzione del costo del lavoro e delle tutele dei lavoratori (c.d. dumping contrattuale).
I principi e i criteri direttivi di attuazione sono, per previsione del successivo comma 2, i seguenti:
a) definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i Contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti, al fine di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo dei Contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati costituisca, ai sensi dell’art. 36, Cost., la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria;
b) stabilire per le società appaltatrici e subappaltatrici, negli appalti di servizi di qualunque tipo e settore, l’obbligo di riconoscere ai lavoratori coinvolti nell’esecuzione dell’appalto trattamenti economici complessivi minimi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati nel settore al quale si riferisce l’oggetto dell’appalto, individuati secondo il criterio di cui alla lettera a). Coerentemente, rafforzare le misure di verifica e di controllo spettanti alle stazioni appaltanti, al fine di rendere effettivi gli obblighi di cui alla presente lettera;
c) estendere i trattamenti economici complessivi minimi dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, individuati in base al criterio di cui alla lettera a), ai gruppi di lavoratori non coperti da contrattazione collettiva, applicando agli stessi il Contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria di lavoratori più affine;
d) prevedere strumenti volti a favorire il progressivo sviluppo della contrattazione di secondo livello con finalità adattive, anche per fare fronte alle esigenze diversificate derivanti dall’incremento del costo della vita e correlate alla differenza di tale costo su base territoriale;
e) prevedere strumenti di misurazione basati sull’indicazione obbligatoria del codice del Contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al singolo rapporto di lavoro nelle trasmissioni all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale effettuate con il flusso telematico UniEmens, nelle comunicazioni obbligatorie e nelle buste paga, anche al fine del riconoscimento di agevolazioni economiche e contributive connesse ai rapporti di lavoro;
f) introdurre strumenti a sostegno del rinnovo dei Contratti collettivi nazionali di lavoro entro i termini previsti dalle parti sociali o di quelli già scaduti, anche attraverso l’eventuale riconoscimento ai lavoratori di incentivi volti a bilanciare e, ove possibile, a compensare la riduzione del potere di acquisto degli stessi;
g) per ciascun contratto scaduto e non rinnovato entro i termini previsti dalle parti sociali o comunque entro congrui termini, nonché per i settori non coperti da contrattazione collettiva, prevedere l’intervento diretto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con l’adozione delle misure necessarie concernenti esclusivamente i trattamenti economici minimi complessivi, tenendo conto delle peculiarità delle categorie di lavoratori di riferimento e, se del caso, considerando i trattamenti economici minimi complessivi previsti dai Contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati nei settori affini;
h) quale misura di rafforzamento della concorrenza e di lotta all’evasione fiscale e contributiva, procedere a una riforma della vigilanza del sistema cooperativo, con particolare riguardo alle revisioni periodiche per la verifica dell’effettiva natura mutualistica;
i) disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa, fondati sulla valorizzazione dell’interesse comune dei lavoratori e dell’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa.
Ben consapevole dell’arduo e delicato computo affidato all’Esecutivo, con il comma 4, art. 1, il Legislatore delega altresì al Governo l’adozione di uno o più Decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei Decreti legislativi adottati in attuazione della legge stessa, entro 1 anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi.
Prime riflessioni sulla delega in materia di retribuzione
La norma rafforza l’identità fra il quantum minimo della retribuzione proporzionata e sufficiente, ex art. 36, Cost., e il Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato per la categoria dei lavoratori interessati (art. 1, comma 2, lett. a).
Non sfuggirà che la predetta relazione, ancorché con la variante del secondo termine di identità (id: Contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali dotate del requisito della maggiore rappresentatività comparata), era già stata sposata dalla giurisprudenza maggioritaria, ancorché con qualche eccezione[2].
Resterà da comprendere, a regime, il perimetro di azione della Magistratura in caso di contestazione del lavoratore che, con dovizia di motivazioni, denunciasse una non adeguatezza della propria retribuzione ancorché conforme al Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato o a quello più prossimo in mancanza di contrattazione nella propria categoria.
La individuazione del Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato sembrerebbe essere stata affidata – almeno a livello di “conta” dei dipendenti e delle imprese (art. 1, comma 2, lett. a) – all’INPS, attraverso la previsione dell’obbligatorietà dell’indicazione, nei flussi UniEmens, del codice del Contratto applicato (art. 1, comma 2, lett. e). Invero, l’indicazione del predetto contratto dovrà essere resa obbligatoria anche nell’UNILAV e nelle buste paga. Resta da definire le modalità di pubblicità del parametro e soprattutto la periodicità e la validità di tale indicazione.
Anche alla contrattazione collettiva di secondo livello (territoriale-aziendale) è affidato un ruolo decisamente rilevante. È previsto, infatti, che la stessa sia delegata alla individuazione di strumenti di adeguamento alle esigenze diversificate derivanti dall’incremento del costo della vita e correlate alla differenza di tale costo su base territoriale (art. 1, comma 2, lett. d).
In sostanza, il livello minimo di retribuzione è affidato alla contrattazione nazionale, valevole su tutto il territorio; a quella di secondo livello, invece, sarebbe affidato un adeguamento (in melius), rispetto al livello nazionale, in presenza di fattori geo-economici (base territoriale) incidenti sulla capacità di spesa dei lavoratori.
Tale previsione sembrerebbe rievocare le (soppresse) “gabbie salariali” utilizzate fino ai primi anni ‘70, bollate come inibitrici di uno sviluppo uniforme dell’economia del Paese e foriere di fenomeni migratori interni.
Vi è tuttavia da rilevare che, in primis, lo strumento non sarebbe legislativo ma affidato alla contrattazione di secondo livello; inoltre, le differenziazioni su base territoriale, quanto al costo della vita, sono effettivamente sussistenti e che per taluni Contratti[3] sono tuttora applicati elementi retributivi (minimamente) differenziati in base alla Provincia nel cui ambito sono rese le prestazioni lavorative.
Resterebbe da definire gli agenti negoziali legittimati a tale contrattazione di secondo livello: quelli di cui al Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato (trattandosi di una “integrazione”) ovvero un qualsiasi altro organismo sindacale rientrante nelle previsioni di cui all’art. 51, D.Lgs. n. 81/2015, che, se non interessato dall’esercizio della delega, contiene il riferimento alla «rappresentatività comparata». Inoltre, onde evitare fenomeni migratori di personale dipendente e/o riduzione/perdita dell’imprenditoria nell’ambito territoriale, potrebbe essere utile privilegiare[4] l’ambito territoriale con indicazione di una perimetrazione (id: provinciale, comunale, di bacino, ecc.) a quello aziendale[5].
In ogni caso vi sarà da definire l’ambito operativo della “categoria” dei lavoratori. Sarà bene specificare in cosa essa consista (codice ATECO?) anche per arginare quel fenomeno di disarticolazione delle categorie merceologiche[6] dell’ambito di applicazione dei Contratti collettivi o, in alcuni casi, dei c.d. contratti omnibus.
La norma, inoltre, affida al Governo un intervento pieno, ancorché solo con riferimento all’individuazione di una misura correttiva della parte economica, in caso di mancato rinnovo dei Contratti collettivi. L’intervento de quo è di 2 specie: indiretto e diretto. Il primo, con funzione di stimolo e di incentivazione ai lavoratori (si veda art. 1, comma 2, lett. f); il secondo, ben più diretto, in caso di perdurante inerzia entro termini “congrui”, evidentemente da individuare. In tale ultimo caso, infatti, il Ministero del Lavoro potrà intervenire in funzione sussidiaria per adeguare il trattamento economico minimo.
Inoltre, il Legislatore facoltizza il Governo a individuare e potenziare, mediante la delega, strumenti di controllo per le stazioni appaltanti, nel caso di appalti (anche se il riferimento è solo a quelli di “servizi” e non anche di “opere” – cfr. art. 1, comma 2, lett. b), e per il sistema delle cooperative. Più in dettaglio, nel sistema degli appalti a tutela della retribuzione dei lavoratori coinvolti, nelle cooperative per contrastare l’evasione fiscale e contributiva.
Bisognerà attendere le modalità di declinazione della delega di cui al capoverso precedente per comprenderne l’effettivo perimetro, considerata anche la tecnicità del controllo cui potrebbe non corrispondere una adeguatezza dei mezzi delle stazioni appaltanti. Peraltro, nel sistema degli appalti pubblici, disciplinati dal D.Lgs. n. 36/2023, bisognerà coordinare la novella con l’art. 11 e l’allegato I.01, dello stesso Codice.
Delega al Governo in materia di controlli e informazione sulla retribuzione dei lavoratori e sulla contrattazione collettiva
L’art. 2, della legge in commento, prevede che il Governo è delegato ad adottare, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, uno o più Decreti legislativi recanti disposizioni in materia di perfezionamento della disciplina dei controlli e sviluppo di procedure di informazione pubbliche e trasparenti concernenti la retribuzione dei lavoratori e la contrattazione collettiva.
I principi e criteri direttivi per l’esercizio di tale delega sono:
a) razionalizzare le modalità di comunicazione tra le imprese e gli enti pubblici in materia di retribuzioni e applicazione della contrattazione collettiva, prevedendo strumenti che rendano effettiva, certa ed efficace l’acquisizione dei dati concernenti l’applicazione della contrattazione collettiva a livello nazionale, territoriale e per ciascuna categoria di lavoratori nonché dei dati afferenti ai trattamenti retributivi effettivamente riconosciuti ai lavoratori;
b) perfezionare, prevedendo anche il ricorso a strumenti tecnologici evoluti e la realizzazione di banche di dati condivise, le disposizioni in materia di ispezioni e controlli, aumentando l’efficacia materiale delle azioni di contrasto del lavoro sommerso o irregolare, dell’evasione contributiva e assicurativa e dell’applicazione di Contratti collettivi nazionali di lavoro non rappresentativi con finalità elusive in danno dei lavoratori e degli enti previdenziali;
c) introdurre forme di rendicontazione pubblica e di monitoraggio su base semestrale aventi a oggetto l’andamento delle misure di contrasto dei fenomeni distorsivi del mercato del lavoro in materia di retribuzioni, di contrattazione collettiva, di caporalato e lavoro sommerso o irregolare nonché di abuso della forma cooperativa;
d) prevedere che le forme di rendicontazione di cui alla lettera c) si avvalgano delle risultanze dell’attività ispettiva dell’Ispettorato nazionale del lavoro e dei suoi organi territoriali nonché di tutte le risultanze acquisite da parte dei soggetti deputati alla verifica della regolarità e correttezza delle retribuzioni e della contrattazione collettiva a livello nazionale e territoriale.
Anche in questo caso, il Legislatore (art. 2, comma 4) delega al Governo ad adottare uno o più Decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei Decreti legislativi adottati in attuazione della legge stessa, entro 1 anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi.
Prime riflessioni sulla delega in materia di controlli e trasparenza
La delega de qua, con le lettere da b) a d), di fatto, rafforza il potere ispettivo degli Organi di Vigilanza in ordine alla regolarità e correttezza della retribuzione, quale funzione diretta della contrattazione collettiva maggiormente applicata, in linea con la delega di cui all’art. 1, Legge n. 144/2025. Come evidente, all’Ispettorato nazionale del lavoro è affidato un compito di raccolta e di raccordo dei dati, anche con evidenti funzioni di trasparenza e di pubblicità degli stessi dati raccolti.
L’intento (lodevole) va nella direzione di un efficace contrasto al caporalato, reato di cui all’art. 603-bis, c.p., nonché del lavoro sommerso e irregolare, anche nel campo delle cooperative.
Decisamente utile è la funzione delegata di cui alla lettera a). Infatti, in essa è contenuta la delega che rende, poi, concretamente applicabile la previsione dell’art. 1.
La individuazione del Contratto collettivo maggiormente applicato per ogni categoria di lavoratori deve necessariamente essere diffusa ai fini di una corretta applicazione – ai casi rientranti nel perimetro applicativo – della “giusta retribuzione”.
Infatti, l’assenza di tale indicazione lascerebbe il datore di lavoro privo di quella conoscenza indispensabile per non incorrere nella violazione della norma di legge e, quindi, produrrebbe l’effetto di esporlo alle conseguenze previste in caso di mancata corresponsione della «giusta ed equa» retribuzione.
Tali conseguenze sono di varia natura. La prima è senz’altro la possibilità di vedersi convenuto in un giudizio da parte del lavoratore per il riconoscimento delle differenze retributive. Poi, in caso di ispezione, la possibilità di essere raggiunto da una diffida accertativa per crediti patrimoniali, ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004. Nei casi più gravi, laddove il trattamento retributivo dovesse essere notevolmente inferiore rispetto al parametro legale del Contratto collettivo maggiormente applicato, gli organi ispettivi potrebbero segnalare la fattispecie all’Autorità giudiziaria ravvedendo gli estremi del reato di caporalato.
Infatti, uno degli indici dello sfruttamento del lavoratore è rappresentato dalla reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai Contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale[7], o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 603-bis, comma 3, n. 1).
Pertanto, la delega di cui alla lettera a) ha una funzione fondamentale in quanto consente al datore di lavoro di essere messo a conoscenza del Contratto collettivo nazionale (e territoriale) maggiormente applicato relativamente alla categoria di lavoratori impiegati presso la propria organizzazione.
La norma non individua le modalità di tale pubblicità, lasciando – conseguentemente al Governo – piena libertà sulla concreta attuazione di tale misura.
Conclusioni
Con i limiti propri di un commento rispetto a una Legge delega, deve evidenziarsi che l’intento legislativo è certamente meritevole sia perché tende a rafforzare le tutele retributive dei lavoratori, sia per le finalità di contrasto al sommerso che di dumping contrattuale.
Sotto tale aspetto, il riferimento al Contratto collettivo maggiormente applicato, per una determinata categoria di lavoratori, in luogo del Contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali dotate della maggiore rappresentatività comparata, rappresenta uno snodo delicato, addirittura potenzialmente controproducente[8], che pone al centro di tale virata una grande responsabilizzazione delle stesse organizzazioni datoriali e sindacali chiamate a produrre una contrattazione di qualità (non solo retributiva) che sappia coniugare le istanze (non solo) economiche dei lavoratori e le esigenze di flessibilità del mondo datoriale.
Infatti, soltanto una contrattazione collettiva che sappia ben coniugare le predette esigenze e, soprattutto, sappia conformarsi al (sempre più veloce) mutamento delle stesse, anche in ragione della spinta tecnologica, potrà guadagnarsi l’attestazione di essere «maggiormente applicata» e, dunque, assurgere al ruolo parametro della «giusta ed equa» retribuzione.
[1] L’art. 4, comma 1, Legge n. 144/2025, espressamente prevede che le disposizioni non si applicano ai lavoratori dipendenti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, e ai Contratti collettivi a essi applicabili.
[2] Proprio recentemente con la sent. n. 27711/2023, la Suprema Corte di Cassazione – Sez. lav. – aveva ritenuto il trattamento previsto dal Contratto collettivo nazionale per i servizi fiduciari non rispettoso del precetto di cui all’art. 36, Cost. In questo caso, tuttavia, si trattava di un contratto scaduto e non rinnovato da quasi un decennio. I giudici nomofilattici, infatti, hanno ribadito il principio che «nell’attuazione dell’art. 36 Cost., il giudice deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, in via preliminare alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., e ciò anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, dovendo il giudice darne una interpretazione costituzionalmente orientata; il giudice può, altresì, servirsi, a fini parametrici, del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe e, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, comma 2 c.c., può fare riferimento ad indicatori economici e statistici secondo quanto suggerito dalla Direttiva 2022/2041/UE».
[3] Ad esempio: edilizia e agricoltura.
[4] Cercando di evitare categoriche limitazioni per non incorrere nella libertà sindacale, ex art. 39, comma 1, Cost.
[5] In realtà la lettura sistemica della legge, in specie con la previsione di cui all’art. 2 (comma 1, lett. a), sembrerebbe già orientarsi per un ambito territoriale piuttosto che aziendale.
[6] M. Guerini, “Contratti pubblici ed equo trattamento dei lavoratori: riflessioni a margine di un esercizio sull’individuazione del CCNL applicabile”, in Rivista giuridica del Lavoro e della Previdenza sociale, n. 2/2025. Il riferimento è, in particolare, alla sovrapposizione fra Contratti collettivi diversi nell’ambito dello stesso bacino produttivo, il quale genera notevoli difficoltà di individuazione del perimetro che separa le differenti categorie.
[7] Evidentemente con novella in commento e a regime il parametro per l’individuazione della fattispecie sarà rappresentato dal Contratto collettivo nazionale maggiormente applicato.
[8] A livello potenziale e paradossale, infatti, potrebbe accadere che i datori, di una determinata categoria, decidano di applicare – in massa – un Contratto collettivo meno vantaggioso da un punto di vista economico per i lavoratori, con l’effetto che quello stesso Contratto collettivo applicato diventi, in quanto maggiormente applicato, il parametro della equa e giusta retribuzione.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.



