5 Settembre 2019

La faticosa riforma (a base di proroghe) del Terzo settore: Governo che passa, problema che resta….

di Marco Frisoni

Diciamocela tutta, forse enti, lavoratori e utenti del Terzo settore iniziano a pensare (probabilmente non a torto) che l’appartenenza a tale peculiare ambito sia da leggersi e interpretarsi come una sorta di classifica e, pertanto, essere terzi potrebbe significare un buon posizionamento (classica medaglia di bronzo), ma anche una subalterna collocazione rispetto ai 2 settori (Stato e mercato) che precedono nella graduatoria e anche con il rischio di essere superati da altri incalzanti contesti in eventuale ascesa (e si passerebbe alla medaglia di legno …).

A ben vedere, il progetto di riforma del c.d. Terzo settore (di norma, senza pretesa alcuna di completezza, si identifica genericamente con tale formula l’ambito di operatività da parte di soggetti di natura privata che, in assenza di finalità di lucro, perseguono obiettivi di natura sociale e solidaristica, non afferendo pertanto né al primo settore, lo Stato, né, tanto meno, al secondo settore, il mercato), radicato, in particolare, sulla L. 106/2016, è stato accolto con grande favore, poiché sembrava manifestare, da parte dell’ordinamento statale, il concreto riconoscimento della rilevanza di un cospicuo frammento del Paese al quale, non sempre, è stata attribuita un’adeguata attenzione.

Tutto ciò considerato il fatto che il Terzo settore, anche alla luce della persistente crisi congiunturale che ancora oggi ammanta in maniera perniciosa l’Italia, ha espresso segnali in controtendenza se paragonati al progressivo declino dell’industria e dei servizi (anche in termini di perdita di posti di lavoro), evidenziando una costante crescita anche in termini occupazionali e assumendo, quindi, un ruolo strategico e fondamentale per il Paese.

D’altro canto, alcuni fattori, quali, a titolo esemplificativo, la contrazione del welfare pubblico e l’invecchiamento della popolazione italiana, portano a ritenere, anche per il futuro, un incremento dell’importanza del Terzo settore e, di conseguenza, l’emergere dell’esigenza di potere contare su una legislazione unitaria, univoca, non frammentata, che tenga conto delle multiformi caratteristiche degli enti che, quotidianamente, agiscono in questo alveo (dall’associazione di volontariato alla grande cooperativa sociale con ingente quantità di addetti).

Purtroppo, la vicenda riformatrice in esame (per la verità, come accaduto in passato per altre fattispecie), ha subito, in maniera incidente, l’altalenante divenire della situazione politica interna, con precipuo riferimento al susseguirsi dei diversi Esecutivi in carica, condizione che, di certo, non ha giovato al regolare sviluppo dell’intera fase di rinnovamento del settore, in quanto, oltre ai vari decreti delegati già emanati, risulta indispensabile una moltitudine di provvedimenti secondari, che, come è facile intuire, a fronte di un convulso panorama politico, non costituiscono la priorità del Parlamento.

Va da sé che, una situazione di tal genere, continua a generare non pochi grattacapi agli enti del Terzo settore (e ai loro professionisti), poiché, allo stato attuale, non è obiettivamente disponibile una riforma completa in tutti i propri versanti, in quanto carente di tasselli di un mosaico ben complesso e che stenta, con tutte le gravi conseguenze del caso, a completarsi.

Un plauso va in ogni caso rivolto al Ministero del lavoro, che ha cercato, per quanto possibile, di porre parziale rimedio all’incresciosa situazione generatasi con precisi e puntuali interventi di prassi, che hanno fornito nel tempo, in maniera costante, preziosi suggerimenti e orientamenti in relazione ai complessi adempimenti a cui sono chiamati gli enti del Terzo settore.

Non si devono inoltre sottovalutare, fra le tante, almeno 2 novità recentemente sopravvenute, che, anche in maniera indiretta, andranno a ricadere sul processo di riforma del Terzo settore e a cui gli enti dovranno prestare aggiuntiva circospezione.

In prima battuta, si sottolinea come la L. 58/2019, di conversione, con modifiche, del c.d. Decreto Crescita (D.L. 34/2019), contenga numerose disposizioni per il Terzo settore, fra le quali, all’articolo 43, lo slittamento al 30 giugno 2020 degli adeguamenti statutari per i vari enti coinvolti nonché il differimento dell’operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), con contestuale sopravvivenza dei Registri già esistenti in base alle normative di settore, e, di fatto, il completamento dell’intera riforma a non prima del 1° gennaio 2021, scelta che, con palese evidenza, denota le difficoltà pratiche che ancora circondano la vicenda.

E, ancora, giova rammentare che, sulla G.U. n. 191/2019, si è provveduto alla pubblicazione della L. 86/2019, contenente le deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione.

In particolare, per quanto riguarda la materia lavoro, è stato redatto l’articolo 5, che tratta del riordino e della riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché del rapporto di lavoro sportivo.

Fermo restando che sarà imprescindibile verificare come, in concreto, sarà attuata la delega conferita da parte del nuovo Governo, dai contenuti della disposizione stessa traspare una scelta che, almeno sul piano dei rapporti di lavoro, allontana sempre di più il mondo dello sport dilettantistico dalla sfera di applicazione della riforma del Terzo settore, nonostante l’organizzazione di attività sportive, per l’appunto, dilettantistiche rientri tra le attività di interesse generale declinate come afferenti al Terzo settore.

Resta, dunque, vivo l’auspicio che l’Esecutivo incaricato di governare il Paese possa provvedere in tempi definiti e ragionevoli al completamento dell’intera riforma del Terzo settore, altrimenti il rischio di dover rivedere la classifica di cui si accennava in premessa appare altamente attendibile!!

 

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