15 Ottobre 2025

La formazione per la sicurezza dei neoassunti dopo l’Accordo Stato-Regioni del 2025

di Fabio Pontrandolfi Scarica in PDF

Con il nuovo Accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro si apre un nuovo percorso culturale, che affida alla formazione un ruolo ancora più determinante, quale prima misura di prevenzione contro infortuni e malattie professionali. Per questo, è determinante cogliere le novità dell’Accordo e, in particolare, garantire sempre che la formazione sia erogata prima dell’adibizione alle mansioni specifiche.

 

Premessa

La formazione è il «processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi».

Così definito, esso costituisce il primo strumento di prevenzione, in quanto mette i lavoratori in condizione di conoscere le mansioni alle quali saranno adibiti, i rischi connessi e i comportamenti corretti da tenere.

La costante giurisprudenza individua nell’obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori uno dei principali gravanti sul datore di lavoro, e in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Cass. n. 27242/2020).

È evidente, quindi, che – nonostante la formazione, con la sua ripetizione e l’aggiornamento, costituiscano un percorso sostanzialmente continuo – il momento in cui essa viene erogata non può che precedere l’adibizione alle mansioni specifiche, ossia il momento di concreto contatto tra la persona, i pericoli e le fonti di rischio, risultando del tutto inutile se erogata dopo tale momento.

Questo discorso vale, a maggior ragione, per i neoassunti, in particolare i lavoratori che non hanno esperienze lavorative precedenti (analoghe o meno) e, quindi, non hanno alcuna formazione pregressa, così da essere maggiormente esposti al rischio di infortuni.

 

La normativa

Sia il D.Lgs. n. 626/1994, sia il D.Lgs. n. 81/2008, precisano che la formazione, la sua ripetizione e l’aggiornamento sono collegati con l’insorgere di novità: l’assunzione o (in caso di somministrazione) l’utilizzazione, la modifica delle mansioni, l’introduzione di nuove attrezzature o sostanze, l’evoluzione o l’insorgenza di nuovi rischi.

Il momento nel quale porre il lavoratore in condizione di conoscere e prevenire i rischi, quindi, non può che anticipare (logicamente e temporalmente) l’avvio della prestazione lavorativa nella quale si porranno le condizioni per l’interazione tra persona e pericolo/rischio.

Un’eventuale inversione di questo percorso logico e giuridico costituisce, ovviamente, un pericolo, in quanto la persona si avvicina alla fonte di rischio senza conoscerla e senza avere gli strumenti conoscitivi e tecnici per prevenirla e gestirla attraverso comportamenti corretti.

L’infortunio che dovesse verificarsi in questo lasso non potrebbe, quindi, essere imputato al comportamento scorretto del lavoratore, in quanto l’inadempimento dell’obbligo formativo è alla base della mancata conoscenza del rischio e, quindi, di un atteggiamento del lavoratore che non potrà dirsi né abnorme né colpevole.

 

La relazione tra formazione, comportamento scorretto ed evento infortunistico

Nel momento in cui il datore di lavoro adibisce il lavoratore alle proprie mansioni, egli lo espone legittimamente ai rischi connessi: se non gli ha fornito gli strumenti di prevenzione (in primis, la formazione), egli viene meno ai propri obblighi, in quanto inserisce il lavoratore in una realtà della quale non sa governare pericoli e rischi ma, soprattutto, crea una situazione di pericolo per l’intera azienda, in quanto gli eventuali errori del dipendente non formato potrebbero incidere su altri lavoratori, sulle attrezzature o addirittura su profili di sicurezza o operatività dell’intera impresa (laddove, ad esempio, l’errore comportasse il blocco del processo produttivo).

È, quindi, ovvio che la giurisprudenza consolidata legga la normativa e confermi questa considerazione in modo assai netto: «il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi» (da ultimo, Cass. n. 7489/2024 e Cass. n. 4165/2025).

Il comportamento scorretto o colpevolmente imprudente o imperito, infatti, è causato dalla mancata formazione: deve, infatti, ritenersi che, laddove formato, il lavoratore non avrebbe tenuto quel comportamento.

Questo è un punto dirimente sul versante della colpa del datore di lavoro, perché la formazione, se correttamente erogata, non legittima più la giustificazione del comportamento colpevolmente disattento o imperito del lavoratore, portando così a escludere la responsabilità del datore di lavoro e lasciando residuare il comportamento abnorme del lavoratore.

Sappiamo che non è del tutto così, perché la giurisprudenza legittima, purtroppo, i comportamenti colpevolmente disattenti dei lavoratori, ritenendo che essi siano prevedibili e quindi evitabili, in quanto la normativa sulla sicurezza è posta a presidio proprio dei comportamenti disattenti, imperiti e imprudenti.

Il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, anch’egli debitore di sicurezza e titolare di un obbligo di garanzia (art. 20, D.Lgs. n. 81/2008) nell’esplicare le mansioni affidate, può costituire concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, soltanto allorquando questi abbia attuato anche le cautele che sono finalizzate a disciplinare e governare il rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Cass. n. 23318/2025 e Cass. n. 27871/2019).

È, quindi, altrettanto evidente che una corretta formazione, supportata da un adeguato controllo e dalla dotazione di funzionali dispositivi di protezione e di attrezzature a norma fondano i presupposti per l’esclusione delle responsabilità del datore di lavoro, trasformandosi questa, altrimenti, in una sorta di responsabilità di posizione, quindi non colpevole, come tale interdetta dal principio costituzionale di necessaria colpevolezza.

L’importanza dell’avvenuta formazione ai fini della responsabilità del datore di lavoro è, dunque, rilevata dalla giurisprudenza: in presenza di una procedura operativa, rispetto alla quale è stata erogata adeguata formazione, il mancato rispetto della procedura stessa da parte del lavoratore non può essere imputata al datore di lavoro (Cass. n. 20801/2024).

Ovviamente, per imputare l’evento al datore di lavoro, tra l’omessa formazione e l’evento deve sussistere un nesso causale: ove il datore di lavoro non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà infatti chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento, ovvero laddove sia accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo (Cass. n. 15697/2025).

Ad esempio, nel caso in cui il lavoratore, non formato, ometta di indossare il casco, l’eventuale ferimento alla testa per effetto di oggetti caduti dall’alto viene ricondotto causalmente alla mancata formazione, dovendosi ritenere che, se il lavoratore, adeguatamente formato, avesse indossato il casco, l’evento non si sarebbe prodotto (Cass. n. 25730/2025). Qui ci sarebbe da valutare ancora se, al di là del comportamento scorretto del lavoratore (a lui non imputabile per non essere stato formato) abbia avuto un ruolo anche l’assenza di controllo e vigilanza, eventualmente attraverso un preposto, considerato che il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza e impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, in modo che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle.

Data la peculiarità e le finalità del percorso formativo, non è ipotizzabile che esso sia sostituito da altri strumenti, quali le conoscenze pregresse del lavoratore o la prassi quotidiana o l’esempio di altri colleghi, per quanto esperti: secondo la giurisprudenza, infatti: «non può ritenersi adeguata una formazione, in tema di sicurezza, affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex sé quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato… L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge» (Cass. n. 6301/2025).

Un discorso diverso va fatto per l’ipotesi in cui il lavoratore, neoassunto in un’impresa, sia in possesso di pregressi crediti formativi (art. 14-bis, D.Lgs. n. 81/2008), coerenti con i rischi specifici legati alle mansioni affidate. In questo caso, considerato il divieto di ripetere corsi già frequentati, il credito formativo garantisce, ovviamente, che il lavoratore sia in possesso delle necessarie competenze (Accordo Stato-Regioni del 2025, Parte V e Parte VII). È evidente che il datore di lavoro, in sede di assunzione, deve verificare l’effettiva rispondenza del percorso formativo pregresso con i rischi presenti nelle mansioni specifiche attribuite.

 

L’omessa formazione come reato permanente

La violazione degli obblighi inerenti a formazione e informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto (Cass. n. 32194/2020; n. 27242/2020; n. 26271/2019).

Tale specificazione è espressione di un più ampio orientamento secondo il quale «le violazioni della normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene nei luoghi di lavoro hanno natura di reato permanente e la situazione antigiuridica si protrae e persiste fino a quando il responsabile non ha provveduto ad adottare le prescritte misure cautelari, ovvero, in difetto, fino a quando il giudice non si sarà pronunciato con sentenza di condanna anche se non passata in giudicato» (Cass. n. 46340/2011).

È, quindi, evidente – anche in una prospettiva squisitamente penalistica – che il reato viene commesso nel momento in cui il lavoratore viene adibito alle mansioni specifiche senza l’adeguata formazione (oltre a informazione e, laddove previsto, addestramento) e permane sino a che non venga impartita la formazione stessa.

La definizione quale reato permanente, dunque, conferma che non appaiono sussistere spazi per legittimare l’adibizione alle mansioni specifiche senza la previa, doverosa formazione.

 

Formazione e somministrazione

L’art. 37, D.Lgs. n. 81/2008, richiama espressamente l’utilizzazione del lavoratore in caso di somministrazione, prevedendo che l’obbligo formativo cada al momento dell’inizio dell’utilizzazione.

La giurisprudenza (Cass. n. 41349/2022) ha precisato che «l’assunto secondo il quale, essendo il primo giorno di lavoro, il datore non avrebbe avuto il tempo di formare adeguatamente il lavoratore, sostiene il giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la condotta colposa del datore, piuttosto che confutare tale giudizio. L’attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, deve necessariamente precedere l’adibizione del lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, non può essere esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, né dal travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro».

Si ricorda che, per quanto riguarda la formazione del lavoratore somministrato, l’Accordo Stato-Regioni (Parte VII) rinvia espressamente all’art. 35, comma 4, D.Lgs. n. 81/2015, a norma del quale «il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li forma e addestra all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, in conformità al Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008. Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore. L’utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti».

 

L’Accordo 2025 e il periodo transitorio

Opportunamente, l’Accordo del 2025 regola il periodo transitorio e, in via generale, consente di organizzare i corsi secondo le regole previgenti per 1 anno dall’entrata in vigore dell’Accordo stesso; per le ipotesi di obbligo formativo prima non previste viene concesso un termine finale di 2 anni entro il quale completare la formazione (ovviamente, secondo il nuovo percorso).

L’Accordo non contiene, né nella parte regolatoria né nella parte dedicata al regime intertemporale, alcuna previsione inerente all’eventuale “concessione” di un lasso di tempo tra l’assunzione e l’erogazione della formazione.

Al contrario, al punto 2.1, relativamente alla formazione specifica dei lavoratori, precisa che «con riferimento alla lettera b) del comma 1 e al comma 3 dell’articolo 37 del D.Lgs. n. 81/08, la formazione deve avvenire nelle occasioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 del medesimo articolo», ossia, per quanto riguarda i neoassunti privi di adeguati crediti formativi pregressi, in occasione della costituzione del rapporto di lavoro.

La mancanza di una clausola di salvaguardia relativa alla tempistica nella formazione dei neoassunti e la specifica previsione sopra richiamata hanno legittimato degli interrogativi, in quanto l’Accordo del 21 dicembre 2011 relativo alla formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti, al punto 10 (“Disposizioni transitorie”), conteneva la seguente esplicita previsione: «Il personale di nuova assunzione deve essere avviato ai rispettivi corsi di formazione anteriormente o, se ciò non risulta possibile, contestualmente all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare il corso di formazione prima della adibizione del dirigente, del preposto o del lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro e non oltre 60 giorni dalla assunzione».

Come chiarito dalla giurisprudenza (Cass. n. 3898/2017), l’Accordo Stato-Regioni ha una «funzione meramente processuale riservata al piano probatorio», nel senso che definisce gli standard formativi la cui osservanza può esonerare il datore di lavoro da responsabilità, ma non può – ovviamente – derogare o modificare l’obbligo legale di formazione immediata espressamente previsto dal D.Lgs. n. 81/2008. A tale affermazione si potrebbe obiettare che è la stessa legge che legittima l’Accordo a regolare la materia, assegnando a questo una valenza sostanzialmente normativa.

La previsione relativa ai neoassunti, di natura evidentemente transitoria, doveva servire esclusivamente a dare il tempo necessario, in occasione dell’entrata in vigore dell’accordo (il primo che ha regolato la formazione), per completare la formazione dei lavoratori neoassunti. L’alternativa era che, sia per i neoassunti che per gli altri, l’obbligo di rispettare l’Accordo sarebbe scattato immediatamente, così bloccando tutte le attività o determinando l’insorgenza di illecito penale per chi avesse adibito al lavoro lavoratori privi della nuova formazione. Non si trattava, quindi, di una disposizione strutturale, che teneva conto di una presunta difficoltà di erogare tempestivamente la formazione, tanto da derogare alla esplicita previsione di legge, ma di una disposizione transitoria, valida al più per i 60 giorni successivi all’entrata in vigore dell’accordo.

 

Precedenti interpretazioni ministeriali relative alla tempistica della formazione prima dell’adibizione alle mansioni a rischio

Sulla scorta delle previsioni dell’art. 37, D.Lgs. n. 81/2008, e degli Accordi Stato-Regioni via via vigenti, sono maturate alcune posizioni che, per completezza, merita richiamare.

Innanzitutto, nel 2014, il Ministero del Lavoro (Commissione interpelli, art. 12, D.Lgs. n. 81/2008), con l’interpello n. 1/2014, ha confermato – senza particolari approfondimenti – il chiaro disposto del punto 10, Accordo Stato-Regioni 2011, riaffermando – laddove il lavoratore sia privo di formazione pregressa e, quindi, di crediti formativi – la possibilità di erogare la formazione specifica entro 60 giorni dall’assunzione.

La medesima posizione, in linea con la previsione dell’Accordo 2011, è stata espressa dal Ministero del Lavoro (nota n. 19570/2015) e dall’INL (nota 20 giugno 2017). Il secondo documento, in particolare, riguarda la revoca della sospensione dell’attività imprenditoriale (art. 14, D.Lgs. n. 81/2008) e conferma che «in analogia con quanto previsto dall’Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011 (rep. n. 221), punto 10, si ritiene sufficiente che la stessa sia stata programmata in modo da concludersi entro il termine di 60 giorni».

Si pone, poi, il tema della formazione erogata prima dell’assunzione. Riaffermano la possibilità di svolgere la formazione prima dell’assunzione l’interpello n. 16/2013, e la nota n. 135/2016, del Ministero del Lavoro (in questo caso, per escludere la maxi-sanzione per lavoro nero, in assenza di elementi che depongano per lo svolgimento di un’attività lavorativa), superando così la previsione secondo la quale la formazione va erogata durante l’orario di lavoro (il che presuppone, ovviamente, l’assunzione del lavoratore).

 

Conclusioni

Per quanto sia condivisibile la conclusione secondo la quale la formazione deve precedere sempre l’adibizione alle mansioni specifiche, le difficoltà nel reperire e organizzare corsi di formazione, da un lato, e le posizioni assunte dal Ministero del Lavoro e dall’Ispettorato del Lavoro, dall’altro, rendono necessario un chiarimento formale.

La difficoltà di organizzare corsi di formazione sulle mansioni specifiche rende necessaria anche una riflessione sulle modalità di organizzazione dei corsi a catalogo, in quanto non più coerenti con il superamento della previsione contenuta nell’Accordo Stato-Regioni 2011: non potendo, nel frattempo, far lavorare il neoassunto, la richiesta di un’azienda non può essere rinviata al corso successivo, quindi occorre che l’organizzazione della formazione, preferibilmente erogata in azienda, sia gestita in modo maggiormente flessibile e personalizzato.

La formazione in vista dell’assunzione può essere uno strumento funzionale a questa considerazione, laddove sia ulteriormente chiarita e formalmente riconosciuta dal Legislatore o dall’interprete ministeriale.

Per quanto riguarda la somministrazione, potrebbe avere senso l’organizzazione di una banca dati attraverso la quale gestire i percorsi formativi pregressi dei lavoratori somministrati, in modo da avviare all’utilizzare personale già in possesso di esperienze formative coerenti con i rischi specifici dell’azienda utilizzatrice.

Così come potrebbe avere senso la registrazione dei percorsi formativi su banche dati del Ministero del Lavoro, fruibili da chiunque (sostituendo il mai realizzato Libretto formativo del cittadino), tali da consentire al datore di lavoro una rapida e aggiornata verifica del possesso della necessaria formazione, anche in caso di perdita della relativa documentazione cartacea da parte del lavoratore.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.

NormAI