15 Marzo 2023

La scelta del Ccnl applicabile. Considerazioni a margine di Tribunale di Bologna 12 gennaio 2023

di Giuseppina Mortillaro Scarica in PDF

La mancata attuazione della parte seconda dell’articolo 39, Costituzione ha innescato negli anni un ampio dibattito sul perimetro di applicazione della contrattazione collettiva, tanto con riferimento all’efficacia soggettiva, quanto con riferimento alla scelta del Ccnl. La dottrina, la giurisprudenza e in tempi più recenti il Legislatore sono intervenuti ad attribuire comunque per altre vie (id est, nonostante la mancata attuazione della norma costituzionale) alla contrattazione collettiva, che pur rimane una contrattazione di diritto comune, un particolare valore e a delinearne gli ambiti di operatività. Un recente sentenza del Tribunale di Bologna ha approfondito il tema del Ccnl applicabile e della scelta di esso.

 

La contrattazione collettiva: la vicenda dell’articolo 39, parte seconda, Costituzione

Dalla mancata attuazione della parte seconda dell’articolo 39, Costituzione sono discese fitte questioni, in parte ancora irrisolte, sull’applicabilità della contrattazione collettiva ai datori di lavoro non iscritti alle organizzazioni datoriali stipulanti e dunque sull’esigibilità della contrattazione stessa da parte dei lavoratori dipendenti da quei datori di lavoro[1].

Una volta rimasto inattuato, nella sua parte seconda, l’articolo 39, Costituzione, la contrattazione collettiva è stata necessariamente ricondotta alle regole di diritto comune, con conseguente necessità di individuare nel sistema alcune possibili “vie” per superare l’impasse.

La mente corre a Gino Giugni e alla teoria dell’ordinamento intersindacale, un insieme di regole costantemente attuate nel tempo, sì da avere assunto, quale particolare espressione di autonomia privata, una valenza giuridica vera e propria anche sulla scorta del principio di mutuo riconoscimento degli interlocutori negoziali.

La teoria meramente privatistica dell’autonomia collettiva, nonostante sia stata e sia tecnicamente ineccepibile, non è valsa da sola a risolvere i problemi che discendevano dall’inattuazione dell’articolo 39, Costituzione, sotto il profilo dell’efficacia soggettiva, cioè in relazione all’interrogativo sui soggetti nei cui confronti il contratto collettivo fosse produttivo di effetti giuridici.

È chiaro che, se fosse stato attuato nella sua interezza l’articolo 39, Costituzione, il problema non si sarebbe posto giacché il Ccnl, stipulato dalla rappresentanza unitaria dei sindacati registrati, avrebbe avuto efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria.

In mancanza si è fatto ricorso al diritto dei contratti di diritto comune.

Più avanti, nel 2014 con il TU sulla rappresentanza, saranno introdotti altri criteri basati sulla rappresentatività sindacale e sul principio di maggioranza, ferma comunque l’applicazione degli stessi a coloro cui il medesimo TU può essere “soggettivamente” esteso.

Quali sono stati i criteri mutuati dal diritto dei contratti e utilizzati per regolare l’efficacia soggettiva del Ccnl?

Il primo è stato quello della rappresentanza ai sensi degli articoli 1387 e 1388, cod. civ. al fine di imputare sui rappresentati gli effetti del negozio compiuto dal rappresentante, laddove il potere rappresentativo è conferito – sia pure in un’accezione molto ampia – attraverso l’iscrizione al sindacato o, dall’altra parte, all’organizzazione datoriale stipulante.

Si è osservato, a parziale correzione della teoria della mera rappresentanza, che l’efficacia giuridica del contratto collettivo pur inteso in senso privatistico vada rapportata al riconoscimento costituzionale dell’autonomia collettiva. Ma, nonostante questa specificazione, veniva in rilievo sempre il conferimento del mandato sindacale.

Ne derivava che il Ccnl non avrebbe potuto mai essere efficace verso i non iscritti ai sindacati firmatari.

Sotto il profilo del datore di lavoro, se un’impresa dunque non aderisce al sindacato stipulante non sarà tenuta ad applicare quel Ccnl; se non è iscritta ad alcun sindacato – cosa che l’articolo 39, Costituzione, che comporta anche una libertà negativa, consente – non sarà tenuta ad applicare alcun Ccnl.

 

La scelta del Ccnl tra libertà sindacale e vincolatività del settore merceologico

Ciò ha un effetto immediato e diretto in ordine alla scelta del Ccnl, visto che, operando il criterio di affiliazione soggettiva, il Ccnl da applicare sarà quello stipulato dalle associazioni cui le parti sono iscritte, anche a prescindere dall’oggetto concreto dell’attività esercitata dall’impresa. Né vi osta l’articolo 2070, cod. civ. a mente del quale:

l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività. Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un’attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività”.

Benché la norma indichi, quale parametro di scelta del Ccnl applicabile, l’attività svolta, essa è da ritenersi superata e comunque non compatibile con il sistema di piena libertà sindacale delineato dal comma 1, articolo 39, Costituzione.

Dal lato del lavoratore, il criterio della rappresentanza ha portato a estendere a tutti i lavoratori iscritti il contratto collettivo stipulato dal rispettivo sindacato.

Per il lavoratore non iscritto, così come per il datore non iscritto, invece la giurisprudenza ha individuato alcuni strumenti volti all’estensione dell’efficacia.

Innanzitutto, è stato affermato che non è necessaria la doppia iscrizione, sia del datore sia del lavoratore, essendo necessario e sufficiente che sia il datore di lavoro a essere iscritto, cosa che lo obbliga ad applicare il contratto collettivo a tutti i propri dipendenti indipendentemente dall’iscrizione degli stessi al sindacato stipulante.

Quando invece è l’impresa a non essere iscritta, è stato utilizzato, quale dispositivo estensivo dell’efficacia, quello dell’applicazione di fatto di un contratto collettivo che assurge a comportamento concludente avente una valenza negoziale, con il conseguente obbligo di continuare ad applicarlo e il diritto dei lavoratori di esigerne l’applicazione.

È stato altresì utilizzato il criterio dell’esigibilità della parte retributiva del Ccnl dai dipendenti di datori di lavoro non affiliati ai sindacati firmatari del Ccnl. Si è ritenuto infatti che il diritto alla retribuzione sufficiente indicato dall’articolo 36, comma 1, Costituzione, norma da considerarsi dotata di efficacia precettiva, andrebbe parametrato alle tabelle retributive dei contratti collettivi con riferimento quanto meno alla retribuzione base. Meccanismo, questo, dal quale è derivato il concetto di salario minimo che, in assenza di una norma di legge che lo determini, è appunto quello contrattuale.

V’è da considerare infine che lo stesso Legislatore in numerose norme di legge rimanda ai contratti collettivi, talvolta consentendo una deroga da parte degli stessi (anche in pejus) rispetto alla disciplina legale o garantendo, ad esempio, forme maggiori di flessibilità rispetto agli standard normativi. In tali casi il Legislatore ha ritenuto però che non soltanto debba farsi riferimento a un contratto collettivo, ma che quel contratto debba avere, sotto il profilo dei soggetti sottoscrittori, particolari garanzie in termini di rappresentatività (per quanto si dirà infra, si veda l’articolo 47-quater, D.Lgs. 81/2015).

Strettamente connesso a questo tema è quello della scelta del Ccnl applicabile.

Se infatti è ormai assodato che l’efficacia soggettiva segue il criterio dell’affiliazione sindacale, la conclusione che se ne deve trarre è quella dell’irrilevanza del settore merceologico, contando, quale unico criterio dirimente, quello dell’iscrizione.

Sì che, ove il datore di lavoro ritenesse di aderire a Federmeccanica pur occupandosi, in ipotesi, di servizi alla persona, potrebbe applicare il Ccnl dell’industria metalmeccanica, ancorché completamente avulso dalla tipologia di attività svolta.

Ma davvero è così? È davvero sempre irrilevante l’oggetto merceologico e soprattutto è davvero sempre libera la scelta del datore di lavoro?

La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che i contratti collettivi, in quanto meramente privatistici, si applicano ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti (in tal senso, Cassazione n. 10632/2009 e n. 22367/2019).

Qualora in un determinato contenzioso difetti la prova dell’iscrizione del datore di lavoro o del lavoratore ai sindacati stipulanti il Ccnl, ed essa sia determinante ai fini del decidere, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata (Cassazione n. 10213/2000).

Laddove manchi la prova, anche per fatti concludenti (quali appunto l’adozione di fatto di un determinato Ccnl), il giudice nel dirimere una controversia potrà fare riferimento al Ccnl individuato sulla base dell’oggetto sociale dell’impresa.

Può accadere poi che il datore di lavoro sia affiliato a un’associazione diversa da quella operante nel settore merceologicamente corrispondente all’attività d’impresa e che il diverso Ccnl applicato in virtù dell’affiliazione sia per il datore di lavoro economicamente più vantaggioso, prevedendo retribuzioni più basse rispetto a quelle dovute ai dipendenti se fosse stato applicato il Ccnl coerente con il settore merceologico.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 413/2021, ha ritenuto che, in mancanza nel Ccnl applicato sulla base dell’affiliazione (o del comportamento concludente) di una declaratoria sotto la quale sussumere le mansioni in concreto svolte dal dipendente, declaratoria presente invece specificamente in altro Ccnl, e soprattutto in mancanza di una retribuzione proporzionata al lavoro, il giudice possa applicare un contratto più affine all’attività quando non vi è “alcuna possibilità di inquadrare le incombenze svolte dal dipendente nell’ambito del CCNL” applicato.

Di diverso avviso è stato invece il Tribunale di Cosenza che, con sentenza del 14 settembre 2022, ha fatto leva sulla natura privatistica del contratto collettivo vincolante per gli iscritti o per coloro che, anche in fatto, lo applichino, rilevando come non possa trovare applicazione l’articolo 2070, cod. civ., secondo cui l’applicazione del contratto collettivo si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore, in quanto tale norma è stata dettata per l’applicazione dei contratti corporativi e dunque non vincolante né operante nel nostro ordinamento sulla base del principio di libertà sindacale. Peraltro, il Tribunale, nell’affermare tale principio, si è conformato a quanto già sostenuto da Cassazione n. 26742/2014:

l’articolo 2070, comma 1, cod. civ. (in base al quale l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione; con la conseguenza che, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex articolo 36, Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato”, nonché da Cassazione n. 24160/2015, che nel confermare la vincolatività del Ccnl sulla sola base dell’affiliazione sindacale o, in mancanza, del comportamento negoziale concludente ha precisato che:

“la questione giuridica oggetto d’esame ha a suo tempo dato origine a un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della sezione lavoro, composto dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 2665/1997, attraverso l’enunciazione del principio secondo cui l’articolo 2070 cod. civ., comma 1 (in base al quale l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione; con la conseguenza che, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex articolo 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato. Tale orientamento ha avuto seguito in numerose altre pronunce di legittimità (cfr, ex plurimis, Cassazione n. 12608/1999; n. 8565/2004; n. 16340/2009 e, recentemente, Cassazione n. 26742/2014)”.

Ne discende che il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro non deve essere ricercato in astratto, secondo la tipologia dell’attività svolta dal datore di lavoro, ma in concreto secondo gli istituti economici e giuridici applicati ai dipendenti; in base alle regole generali spetta alla parte che invoca una norma contrattuale di provarne l’applicabilità al rapporto giuridico in essere.

Anche la dottrina ha ritenuto che il criterio dell’articolo 2070, cod. civ. non sia coerente con il sistema di libertà sindacale sancito dall’articolo 39, Costituzione, trattandosi:

“di un criterio la cui eredità corporativa è evidente, e che non è compatibile con il vigente sistema. Ma la questione si è riproposta, in giurisprudenza, in relazione al caso di un’impresa dedita ad attività distinte, ad esempio sia metalmeccanica che edile. In proposito, il comma 2, articolo 2070 detta una regola (“Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività”), per attuare la quale occorrerebbe verificare se le due attività siano realmente autonome, o se l’una dipenda dall’altra, e applicare, nel primo caso, a ciascuna attività il rispettivo contratto collettivo, e, nel secondo, il contratto corrispondente all’attività prevalente. Di contro, in virtù del principio volontaristico (che alla fine è stato confermato, anche a questo proposito, dalla giurisprudenza), la risposta dipende dal fatto che l’impresa sia iscritta, per ciascuna delle due attività, ai rispettivi sindacati (derivandone l’applicazione di due diversi contratti collettivi), o a uno solo di essi (discendendone l’applicazione del contratto collettivo stipulato da quel sindacato)”[2].

 

La sentenza del Tribunale di Bologna del 12 gennaio 2013

Con una recente sentenza, resa nel giudizio di opposizione ai sensi dell’articolo 28, St. Lav. promosso da Deliveroo avverso il decreto che, nell’ambito del giudizio sommario promosso dalle organizzazioni sindacali Nidil Cgil Bologna, Filg Cgil Bologna e Filcams Cgil Bologna, aveva accertato l’antisindacalità della condotta datoriale, il Tribunale di Bologna si è occupato della scelta del Ccnl applicabile con specifico riferimento ai rider.

Il punto da cui muove la sentenza è che Deliveroo aveva comunicato il recesso da tutti i contratti in essere con i propri rider, concludendone di nuovi secondo il contratto collettivo sottoscritto da UGL Rider. Dal che sarebbe disceso, secondo la valutazione giudiziale, un onere di Deliveroo di provare la maggiore rappresentatività di UGL Rider, al fine di dimostrare sia la asserita conformità a legge della propria condotta, sia la legittimità dei recessi, sia infine l’assenza di condotte antisindacali.

Ha ritenuto il giudice che detto onere non fosse stato assolto e che anzi fosse emerso che UGL Rider non avesse maggior rappresentatività a livello nazionale (mancata convocazione al tavolo ministeriale per la stipula del contratto collettivo dei rider, mancata promozione – prima della sottoscrizione del Ccnl di cui si trattava – di iniziative a favore dei rider, mancata sottoscrizione di altri contratti collettivi, mancata prova della consistenza numerica degli iscritti, mancata prova documentale del certificato stampa che sarebbe stato diramato da UGL Rider nel 2020, mancata prova della maggiore rappresentatività comparata di UGL Rider acquisita dalle informazioni scritte fornite dall’Inps e dal Ministero del lavoro), dato invece emerso con riferimento alle organizzazioni sindacali ricorrenti, risultate maggiormente rappresentative.

Il Tribunale di Bologna ha poi richiamato la giurisprudenza del Tribunale di Firenze (Tribunale di Firenze, 24 novembre 2021), che aveva qualificato UGL Rider come sindacato di comodo sulla scorta di taluni elementi indiziari:

  • la sottoscrizione del contratto nell’ambito di una trattativa non pubblicizzata e parallela rispetto a quella in atto presso il Ministero del lavoro;
  • il difetto di confronto tra UGL e i rider;
  • l’inesistenza di controversie portate avanti da UGL nell’interesse dei rider;
  • il contenuto del contratto collettivo nel quale risultava trasposta la disciplina prevista nei contratti predisposti dalla parte datrice;
  • l’arenarsi delle trattative con le altre sigle sindacali per la firma di ulteriori e diversi contratti.

Posto quanto sopra, difettando la prova della comparativamente maggiore rappresentatività di UGL, il contratto collettivo UGL non avrebbe potuto essere quello al quale riferirsi per la determinazione dei criteri del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente, e ciò sulla scorta di una precisa disposizione di legge, ossia l’articolo 47-quater, comma 1, D.Lgs. 81/2015. Il comma 2 della medesima disposizione specifica poi che, in difetto della stipula dei contratti di cui al comma 1, i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali, non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Dopodiché il Tribunale di Bologna si è soffermato sulla questione dell’efficacia del contratto collettivo postcorporativo, di diritto privato, ritenendo – come del resto già chiarito dalla giurisprudenza[3] – che esso si applichi ai rapporti di lavoro intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, non esistendo nella prospettiva giudiziale un principio di inscindibilità tra iscrizione a una associazione datoriale e contratto collettivo applicabile con la conseguenza che l’efficacia di un contratto non può essere estesa ai lavoratori i quali, aderendo a un’organizzazione sindacale diversa da quella che ha stipulato l’accordo, manifestino il proprio dissenso.

In realtà, nella fattispecie concreta portata all’attenzione del giudice, la questione del “diverso” contratto applicabile sarebbe stata risolvibile anche solo attraverso il mero richiamo alle norme “speciali” poste dagli articoli 47-bis e ss., D.Lgs. 81/2015.

Infatti, dal momento in cui è stata esclusa la comparativamente maggiore rappresentatività di UGL, trattandosi di rapporti di lavoro ricadenti nel perimetro dell’articolo 47-bis, D.Lgs. 81/2015, la conseguenza non avrebbe potuto che essere quella di individuare il compenso sulla base della dei “contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.

Non viene dunque qui in rilievo il problema che si pone quando si invoca l’articolo 2070 cod. civ., per il quale nel nostro ordinamento non c’è spazio, quanto di applicare una norma speciale – l’articolo 47-quater, comma 2, D.Lgs. 81/2015 – dettata cioè proprio, e solo, per lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali.

 

Considerazioni a margine

È possibile trarre dalla sentenza del Tribunale di Bologna un principio valevole oltre il caso specifico considerato, ossia oltre il caso dei lavoratori di cui all’articolo 47-bis, D.Lgs. 81/2015?

La risposta probabilmente deve essere negativa.

In linea generale, infatti, la sentenza non autorizza a discostarsi dalla giurisprudenza consolidata secondo cui il contratto collettivo nell’impiego privato segue le sorti del contratto di diritto comune, vincolando le parti solo e nella misura in cui entrambe siano iscritte ai sindacati stipulanti. In mancanza di iscrizione, il comportamento concludente delle parti, attraverso la volontaria applicazione del Ccnl o attraverso il richiamo al Ccnl all’interno della contrattazione individuale o della documentazione attinente alla gestione del rapporto, è valutato alla stregua di manifestazione di volontà negoziale.

In difetto di iscrizione di una delle parti, se la parte non iscritta manifesta acquiescenza o addirittura invoca diritti o regole che trovano fonte nel contratto stipulato dall’associazione alla quale la parte non aderisce, il problema non si pone, potendosi valutare tale condotta, ancora una volta, alla stregua di manifestazione di volontà negoziale.

Diverso è il caso in cui una parte sia iscritta a un’associazione stipulante un contratto e l’altra parte sia iscritta a un’associazione che abbia stipulato un diverso contratto.

Il Tribunale di Bologna si preoccupa di precisare che non si può tratte alcun automatismo nell’applicare de plano al rapporto il contratto sottoscritto dall’associazione cui è iscritto il datore di lavoro, dovendo operare congiuntamente il principio della doppia affiliazione, ossia quella del datore, ma anche del lavoratore, sicché in presenza di espresso dissenso da parte di quest’ultimo, non potrebbe essere imposto il Ccnl del datore di lavoro.

A ben vedere però, anche escludendo l’automatismo, le conseguenze pratiche non mutano, dovendosi affermare che, se c’è dissenso sul contratto collettivo applicabile, il lavoratore potrà esigere o l’applicazione del Ccnl stipulato dall’associazione del datore di lavoro o il trattamento che discende direttamente dalla legge, non essendoci invece spazio per esigere il Ccnl stipulato dall’associazione sindacale cui egli aderisce se non sottoscritto anche dall’associazione cui aderisce il datore di lavoro.

Ciò con l’unica eccezione dell’eventuale determinazione del giusto compenso (ove quello indicato dal Ccnl applicato dal datore di lavoro sia ritenuto inadeguato), stante la portata precettiva dell’articolo 36, Costituzione o dell’esistenza di norme speciali, quali quella dell’articolo 47-quater, D.Lgs. 81/2015, che individuino, ma solo perché prevedono meccanismi derogatori, quali siano i contratti collettivi da potere prendere in considerazione.

[1] M. Rusciano, “Lettura e rilettura dell’articolo 39, Costituzione”, in Dir. lav. merc., 2013, 263; M. D’Antona, “Il quarto comma dell’articolo 39, Costituzione oggi”, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 665; G. Giugni, “Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva”, Milano, 1960.

[2] R. Del Punta, “Manuale di diritto del lavoro”, Milano, 2015, pag. 174.

[3] Il Tribunale ha richiamato l’orientamento del Tribunale di Palermo che con provvedimento del 12 aprile 2021 aveva ritenuto che: “già in tempi risalenti la Suprema Corte aveva affermato che “Il contratto collettivo di lavoro (postcorporativo e di natura privatistica) – che è un contratto aperto all’adesione di soggetti non iscritti alle associazioni stipulanti – deve essere osservato dal datore di lavoro, iscritto all’associazione imprenditoriale contraente, anche nei confronti del dipendente non iscritto al sindacato dei lavoratori stipulante, ove tale lavoratore, indipendentemente dalla sua iscrizione al sindacato sottoscrittore, manifesti la volontà di aderire al contratto collettivo con la richiesta che il contratto di lavoro individuale si conformi alla disciplina concordata dalle contrapposte associazioni di categoria.” (così Cassazione civile, sez. lav., n. 4860/1982). In sostanza, dunque, i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci “erga omnes”, in quanto costituiscono atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti. Non esiste quindi nel nostro ordinamento “un principio di inscindibilità tra iscrizione a una associazione datoriale e contratto collettivo applicabile. Tale conclusione, che comporterebbe una limitazione della libertà, per le parti del rapporto, di individuare il contratto collettivo più adatto al tipo di assetto aziendale, non trova alcun supporto nel dato legislativo che solo limita la scelta”.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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