4 Aprile 2018

Il lavoro agile: diritti e obblighi del datore di lavoro e del lavoratore disciplinati dalla L. 81/2017

di Anna Rivara

L’intervento della L. 81/2017 in materia di lavoro agile era auspicato da più parti per superare alcune incertezze applicative, soprattutto in tema di obblighi di sicurezza e di copertura assicurativa. Tuttavia, le aspettative sembrano essere andate deluse. In particolare, la legge contiene solo una disciplina minimale della modalità di lavoro agile, limitandosi a delinearne la nozione, a prevedere pochissime regole in tema di diritti e obblighi delle parti, e rinvia sostanzialmente tutta la regolamentazione all’accordo individuale. La contrattazione collettiva rimane fonte meramente eventuale, neppure richiamata dalla disciplina legislativa.

La breve analisi che segue, limitata ai contenuti direttamente disciplinati dalla legge, ne evidenzia il carattere di soft law e qualche criticità.

 

La modalità di lavoro agile: i vincoli di luogo e di orario

Il lavoro agile è definito dal Legislatore quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, che può essere anche organizzata per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro. Nelle forme di lavoro agile la prestazione lavorativa, con il possibile ausilio di strumenti tecnologici, viene eseguita in parte nei locali aziendali e in parte fuori sede, senza una postazione fissa e con il solo limite dell’orario di lavoro massimo stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Requisiti essenziali della prestazione di lavoro agile sono dunque la volontarietà, in quanto la modalità di esecuzione è stabilita mediante accordo tra le parti, e lo svolgimento di parte del lavoro in esterno senza una postazione fissa, con il solo limite dell’orario di lavoro massimo. In particolare, la libertà di scelta della postazione di lavoro è un requisito essenziale del lavoro agile, che lo distingue da altre attività lavorative normalmente eseguite in esterno, ma in luoghi indicati dal datore di lavoro.

Contenuti solo eventuali dell’accordo di lavoro agile sono invece l’organizzazione del lavoro per cicli fasi e obiettivi e l’assenza di precisi vincoli di orario o di luogo, nonché l’ausilio di strumenti tecnologici, anche se costituiscono il terreno elettivo di questo istituto, evidentemente diretto a introdurre forti elementi di flessibilità nell’esecuzione del rapporto di lavoro e pensato, almeno in origine, per lavoratori qualificati e dotati di autonomia operativa.

Con riguardo ai requisiti essenziali, un’apparente incongruenza emerge dal raffronto tra lo svolgimento della prestazione in esterno senza postazione fissa, quale fattore caratterizzante del lavoro agile, e la possibile pattuizione di un vincolo di luogo nell’accordo individuale. Non si tratta, tuttavia, di un’incompatibilità insanabile se si muove dalla distinzione tra luogo di lavoro e postazione di lavoro, laddove il primo è individuabile dal datore di lavoro, e si mantiene in capo al lavoratore la facoltà di scelta tra più postazioni. Così, ad esempio, risultano conformi alla normativa vincoli di distanza tra il luogo di svolgimento della prestazione e la sede dell’impresa o requisiti di connettività del luogo di lavoro tesi a soddisfare l’interesse organizzativo dell’impresa, laddove resti ferma la libertà del lavoratore di scegliere tra diverse postazioni possibili all’interno di un ambiente più o meno ampio (ad esempio anche il proprio domicilio), che non rientra nella disponibilità del datore di lavoro.

Le questioni ermeneutiche più delicate, e sulle quali si scontrano orientamenti opposti, riguardano l’orario di lavoro, non chiarendo il testo se l’eventuale assenza di vincoli debba essere limitata alla distribuzione dell’orario, come in genere previsto finora nelle sperimentazioni, o si estenda invece alla quantificazione dello stesso.

Nel primo caso, infatti, rimangono sostanzialmente inalterati i criteri di determinazione quantitativa e qualitativa della prestazione nei 2 luoghi di lavoro, interno ed esterno, mentre nel secondo sorge la necessità di individuare nell’accordo individuale altre modalità di calcolo della retribuzione per la “quota” di lavoro agile che garantiscano il rispetto dell’articolo 36, Costituzione, nonché i criteri, tra cui eventualmente fasi, cicli e obiettivi, che circoscrivano la prestazione dovuta.

 

Gli obblighi di forma e di comunicazione

L’introduzione della modalità di lavoro agile si realizza attraverso un accordo, che disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali. L’accordo, che può essere a tempo determinato o indeterminato, deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova. La forma scritta è richiesta anche ai fini della regolarità amministrativa e l’accordo, così come eventuali modifiche, devono essere comunicati al competente Centro per l’Impiego, con conseguente applicabilità di una sanzione amministrativa in caso di inadempimento.

L’accordo individuale accede al contratto di lavoro e può essere stipulato in qualsiasi momento, sia in fase di instaurazione sia in fase di esecuzione del rapporto di lavoro. Al di là dei descritti obblighi di formalizzazione e comunicazione, non è prevista alcuna norma diretta a tutelare la genuinità del consenso del lavoratore.

In caso di accordo a tempo indeterminato, entrambe le parti possono esercitare il diritto di recesso rispettando un preavviso minimo di 30 giorni, elevati a 90 nel caso di lavoratori disabili, al fine di agevolare la riorganizzazione dei tempi di lavoro e di vita privata in relazione alle esigenze di cura del lavoratore. Il preavviso non è necessario qualora ricorra un giustificato motivo oggettivo.

In caso di accordo a tempo determinato, le parti possono recedere prima del termine solo qualora ricorra un giustificato motivo oggettivo. La legge, tuttavia, nulla precisa in merito alle eventuali conseguenze del mancato rispetto del termine di preavviso o dell’inesistenza del giustificato motivo oggettivo, né tantomeno dettaglia o esemplifica tale inosservanza.

Il tema del recesso, così come quello della stipula dell’accordo, presenta aspetti di indubbia delicatezza, soprattutto laddove l’utilizzo estensivo del lavoro agile finisca per incidere significativamente sull’organizzazione degli spazi e del personale, e quindi sulla possibilità di ricollocare il lavoratore che richieda di tornare alla modalità di lavoro ordinaria.

Tuttavia, anche su questo punto il testo legislativo è laconico e non contiene alcuna disposizione a tutela dell’effettivo diritto di recesso del lavoratore, diversamente da quanto previsto ad esempio in materia di contratto di lavoro a tempo parziale.

 

Gli obblighi di sicurezza

Anche in tema di obblighi di sicurezza sul lavoro il recente intervento legislativo si rivela molto soft: se da una parte è stato auspicato quale passo avanti nel superamento degli ostacoli all’espansione del telelavoro, rappresentati in buona parte dai costi e dalle complessità legate al rispetto di tali obblighi, dall’altra parte, a una prima lettura, non sembrerebbe poter soddisfare le esigenze di certezza del diritto più volte manifestate dagli operatori.

La libertà di scelta del luogo di lavoro al di fuori della sede aziendale, e quindi al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro, ha indotto il Legislatore a ribadire un obbligo di collaborazione da parte del lavoratore che pare tanto essenziale all’adempimento quanto indeterminato. Inoltre la L. 81/2017, al di là dell’obbligo di fornire al lavoratore strumenti di lavoro idonei e sicuri, prevede espressamente solo un obbligo di informativa scritta, con cadenza almeno annuale, del lavoratore e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza circa i rischi generici e specifici dell’esecuzione della prestazione in modalità agile.

I primi commenti in materia escludono che l’obbligo di sicurezza possa essere limitato alla consegna dell’informativa. Ciò sia in ragione dell’iter legislativo, che con la bocciatura degli emendamenti diretti a limitare la responsabilità datoriale proverebbe la volontà del Legislatore di confermare l’integrale applicabilità del D.Lgs. 81/2008, sia dei principi di origine europea, che impongono di rafforzare le tutele e non di ridurle per le modalità di lavoro flessibile, nonché delle norme costituzionali, che assegnano una primazia alla tutela della salute e sicurezza rispetto agli altri valori, quali competitività delle imprese ed esigenze di conciliazione, alla cui promozione è finalizzata l’introduzione del lavoro agile.

La laconica disposizione legislativa potrebbe risultare più incisiva di quanto appaia, se correttamente interpretata, inquadrandola nell’ambito della disciplina generale degli obblighi di sicurezza dettata dal D.Lgs. 81/2008.

L’informativa presuppone infatti la valutazione del rischio e, quindi, in applicazione della disciplina generale in tema di obblighi di sicurezza, il datore di lavoro che intenda introdurre forme di lavoro agile dovrà provvedere a una revisione del documento di valutazione dei rischi, laddove tale modifica dell’organizzazione del lavoro comporti rischi diversi da quelli inerenti all’ordinario svolgimento della prestazione nei locali aziendali.

In particolare, le prime sperimentazioni e numerosi documenti elaborati dalla Commissione Europea hanno già evidenziato alcuni rischi tipici di questa modalità di svolgimento della prestazione, quali il rischio di isolamento derivante dal lavoro fuori sede e, ancor più, il c.d. rischio di burn out, derivante dalla tendenza ad aumentare la quantità di lavoro, accentuata dalla connessione h24. In parallelo, è bene ricordare che l’articolo 28, T.U. sicurezza, come modificato dal D.Lgs. 106/2009, impone ormai la valutazione tra gli altri del c.d. rischio da tipologia contrattuale. L’aggiornamento della valutazione dei rischi parrebbe dunque un passaggio imprescindibile nell’introduzione del lavoro agile in azienda.

In sostanza, muovendo da una rigorosa interpretazione dell’obbligo di valutazione del rischio, il relativo documento potrebbe rappresentare un riferimento fondamentale e un imprescindibile supporto tecnico per il patto di lavoro agile, in quanto ben potrebbe prevedere ad esempio un vero e proprio obbligo di disconnessione e le specifiche misure tecniche e organizzative atte a garantire l’effettivo rispetto dell’orario massimo di lavoro consentito. Tale valutazione potrebbe altresì fornire strumenti di prevenzione dei rischi derivanti da sovraccarico di lavoro e da ritmi produttivi eccessivi, laddove la prestazione non sia misurata in termini di tempo.

Ciò, senza contare che i lavoratori agili possono rientrare nella categoria di cui all’articolo 3, comma 10, D.Lgs. 81/2008, con conseguente applicabilità delle relative “tutele rafforzate”. In proposito, tuttavia, parte della dottrina sottolinea le difficoltà applicative di tali obblighi nei casi in cui il datore di lavoro non conosca preventivamente il luogo di svolgimento della prestazione e osserva che per le prestazioni extra-aziendali l’ampiezza dell’obbligo del datore di lavoro sarà strettamente correlato all’ampiezza dei poteri direttivi e di controllo che lo stesso si è riservato nel patto di lavoro agile e assumerà maggior rilevanza l’obbligo di collaborazione. Va altresì osservato che, in tale ipotesi, o comunque quando la prestazione non sia inquadrabile nel lavoro a distanza, in aggiunta all’informativa annuale e all’obbligo di valutazione dei rischi, risultano applicabili gli obblighi informativi di cui all’articolo 37, D.Lgs. 81/2008, e gli obblighi relativi alla sicurezza degli strumenti di lavoro.

 

La tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del lavoratore

L’articolo 23, L. 81/2017, detta disposizioni specifiche per la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del lavoratore, includendovi espressamente la prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.

Con riguardo alle malattie professionali, il testo non fornisce alcuna precisazione, sebbene durante l’iter legislativo fosse emerso un orientamento che suggeriva di superare eventuali problematiche connesse all’indisponibilità da parte del datore di lavoro del luogo di esecuzione della prestazione mediante l’utilizzo del meccanismo mutualistico per le malattie non riconducibili alle lavorazioni avvenute nell’impresa secondo il calcolo degli oneri delineato dall’articolo 9, D.M. 12 dicembre 2000.

Con riguardo alla tutela contro gli infortuni, l’articolo 23, L. 81/2017, ha invece precisato che sono inclusi gli spostamenti dal luogo di abitazione al luogo prescelto per lo svolgimento della prestazione e ritorno. Non sono stati tuttavia inclusi gli eventuali spostamenti “intermedi” e la tutela per l’infortunio in itinere è riconosciuta solo quando la scelta del luogo di lavoro sia dettata da esigenze connesse alla prestazione o dalla necessità del lavoratore di conciliare vita privata e vita lavorativa e risponda a criteri di ragionevolezza.

Le incertezze applicative che emergono con evidenza dal riferimento al doppio criterio delle esigenze di conciliazione e della ragionevolezza, pur originando dalla comprensibile preoccupazione di evitare un’ingiustificata estensione della tutela assicurativa alla vita privata, rischiano di aprire un delicato fronte di contenzioso nel caso non siano superate da opportuni chiarimenti. Infatti in tal modo si finisce per rinviare all’Istituto la valutazione in diritto e non solo la valutazione in fatto circa la sussistenza della tutela.

 

Il diritto alla parità di trattamento

Il Legislatore, stante la peculiare modalità con cui può essere resa la prestazione lavorativa, ha ritenuto opportuno riconoscere espressamente ai lavoratori “agili” il diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda.

Il diritto alla parità di trattamento è strettamente connesso alle tematiche in materia di orario di lavoro. Invero, laddove si ritenga che per la quota di prestazione in esterno, che potrebbe anche essere largamente prevalente, il tempo di lavoro non costituisce criterio di misurabilità, risulta arduo comprendere come possa essere davvero garantito ai lavoratori agili il medesimo trattamento normativo, ad esempio, in tema di aspettative e permessi, ossia di quegli istituti che più direttamente sono collegati all’ordinaria modalità di svolgimento del rapporto di lavoro misurata anche in termini di presenza.

Parte della dottrina fonda anche su tale inconciliabilità, oltre che sull’espresso rinvio ai limiti di orario massimo previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, la conclusione secondo la quale il tempo di lavoro rimane un imprescindibile criterio di misurazione della prestazione. Chi invece ritiene che, anche in considerazione della ratio dell’istituto e della portata della contrattazione individuale, la disciplina dell’orario di lavoro non sia applicabile, fatto salvo per i limiti massimi, e apre la via all’introduzione di nuovi meccanismi di determinazione della retribuzione, trova spunto in una lettura più estensiva del principio di parità di trattamento. L’articolo 20, D.Lgs. 81/2017, prevede infatti che il lavoratore agile abbia diritto a un trattamento economico normativo non inferiore a quello “complessivamente” applicato in attuazione dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria. L’avverbio “complessivamente” avalla dunque una lettura più elastica del principio di parità di trattamento, ove “il raffronto deve essere operato non tra i singoli istituti (secondo il criterio c.d. del cumulo), ma con il ricorso al c.d. criterio del conglobamento”.

Sul piano retributivo il Legislatore ha poi precisato, all’articolo 18, comma 4, che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza sono applicabili anche quando la prestazione è resa in modalità agile. In proposito, già l’articolo 2, comma 2, D.I. 25 marzo 2016, attuativo dell’articolo 1, commi 182-191, L. 208/2015, in tema di norme sulla detassazione, aveva riconosciuto al datore di lavoro la possibilità di usufruire sin dal 2016 della detassazione del salario di produttività per accordi che prevedano il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato.

Lo scarno impianto di disposizioni che regola il lavoro agile include, infine, il riferimento al diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle competenze, quale mero contenuto eventuale dell’accordo individuale.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

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