21 Febbraio 2017

Mobbing per finalità ritorsive: risarcimento danni

di Redazione

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 27 gennaio 2017, n. 2142, ha ritenuto che ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo debbano ricorrere:

  1. una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo del primo;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante tutti i comportamenti lesivi.

Ne consegue che deve essere risarcito il danno all’immagine e alla professionalità e quello biologico patito dal lavoratore laddove lo stato di forzosa inattività è stato preordinato e voluto dal datore di lavoro e realizzato per il tramite del dirigente per finalità ritorsive, avendo il dipendente dato luogo a rimostranze, prima in sede extragiudiziaria e poi giudiziaria, in presenza di determinazioni datoriali che egli riteneva illegittime, reagendo anziché acquietarsi e subirle passivamente.

 

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