5 Luglio 2016

Repêchage in cerca di nuovi meccanismi

di Luca Vannoni

 

Pur non essendo stata interessata dalle tante riforme in materia di licenziamento succedutesi in questi ultimi anni, la motivazione oggettiva del licenziamento, per intenderci quella individuata dall’ultima parte dell’art.3, L. n.606/66 – le ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa – è attualmente al centro di un forte interesse giurisprudenziale volto a ridefinire uno dei suoi confini essenziali, la verifica del repêchage.

È ormai giurisprudenza consolidata che, per la validità d’un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non basta che esso sia l’effetto della soppressione del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, ma è necessario che l’azienda sia impossibilitata al suo repêchage, ossia non possa riutilizzarlo, consideratane la professionalità raggiunta in altra posizione lavorativa e/o in altra dipendenza aziendale analoga a quella soppressa.

Sembrava fosse altrettanto consolidato il principio per cui l’onere del datore di lavoro di provare l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte è sostanzialmente condizionato a che lo stesso lavoratore-attore collabori con il convenuto nell’accertamento di un possibile reimpiego, indicando gli altri posti in cui potrebbe essere utilmente riallocato.

Con la recente sentenza 13 giugno 2016, n.12101, la Corte di Cassazione dà continuità all’orientamento, di segno opposto a quello appena sopra delineato, sorto con la Cassazione n.5592/16, in base al quale, poiché l’onere di allegazione e l’onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo o estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione, non incombe sul lavoratore l’onere di segnalare postazioni di lavoro – analoghe a quella soppressa e alla quale era adibito – cui essere utilmente riallocato.

Se dovesse consolidarsi tale orientamento, e sul punto sarebbe quanto mai necessaria una pronuncia a Sezioni Unite, è opportuno avvicinarsi con estrema cautela ai licenziamenti per gmo, tenuto conto delle recenti novità che hanno interessato l’art.2103 cod.civ.: è infatti cambiato radicalmente l’ambito del potere unilaterale di variazione delle mansioni in capo al datore di lavoro, con il binario principale rappresentato dal livello contrattuale nel rispetto della categoria legale e con la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni del livello inferiore in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidano sulla posizione del lavoratore. Eventuali scoperture nell’organico, anche periferiche, spesso dimostrate con assunzioni successive al licenziamento, potranno delegittimare i licenziamenti disposti per ragioni oggettive se ritenute giudizialmente disponibili per il lavoratore licenziato: ad ogni modo, il vizio sul repechage non determina in alcun caso la reintegrazione.