14 Novembre 2017

Resilienza, una scelta

di Elena Valcarenghi

Settembre, il mese dei rientri di massa al lavoro, a scuola, alla routine. Nel mio personalissimo calendario il nuovo anno inizia in questo mese e, come di consueto, porta con sé riflessioni e propositi. In ambito lavorativo quest’anno non ci hanno stupito con effetti speciali nel mese di agosto, così tutto è più tranquillo, ma è solo apparenza, perché ancora non ho smaltito il carico accumulato e la confusione impera tra ciò che esiste, ma ancora non è a regime, e quel che è già annunciato, ma non ancora certo. Anche ottobre è ormai trascorso, con l’autunno che tardava ad arrivare e ci ha donato giornate assolate e miti che, per chi come me vive in pianura padana, sono un regalo di valore. Mi sono concessa la partecipazione al Festival del lavoro in quel di Torino, momento che è stato lo spunto e l’occasione per rinnovare i miei propositi lavorativi.

Ho deciso. La parola d’ordine per il nuovo anno sarà “resilienza”. Perché? Perché è la capacità di reagire ai traumi, di far fronte alle difficoltà della vita, inclusa quella lavorativa.

L’anno trascorso è stato, come i precedenti, impegnativo, e quello in corso non sarà da meno, nonostante timidi segnali di ripresa che, pur nella sua inconsistenza, pare la panacea di tutti i mali rispetto al passato più recente. Dal confronto coi colleghi emergono dubbi e preoccupazioni per il futuro, confusione e stanchezza, ma anche la non voglia di arrendersi a ciò che potrebbe e dovrebbe essere migliorato. Ci si sente vessati per come siamo costretti a lavorare, obbligati a diventare tuttologi in tempo reale e ad acquisire competenze in ambiti a noi non prossimi per cercare di soddisfare le richieste di clienti molto attenti al necessario contenimento dei costi, ma non altrettanto pronti a identificare la professionalità di un servizio che non si costruisce se non con un serio e costante impegno e che, come in ogni altro campo, ha un proprio costo non trascurabile e non solo in termini economici. Anche l’apparato burocratico ci chiede di crescere per interagire con sistemi preconfezionati sulle necessità altrui, che spesso mal si conciliano con le nostre e che, purtroppo, con una certa frequenza, non funzionano a dovere.

Che dire poi dell’abbuffata normativa con relativo contorno di prassi e giurisprudenza che quotidianamente si riversa nei nostri studi con ogni mezzo? Vogliamo poi parlare del confronto con le realtà multinazionali? Ci si sente così piccoli e indifesi. Potrei continuare, ma sarebbe noioso e il punto credo sia chiaro: se si vuole essere persone oltre che professionisti è davvero dura tenere il ritmo senza sacrificare i propri spazi e il proprio tempo, col rischio di non essere né l’uno né l’altro in modo soddisfacente, in un quadro generale che porta a chiedersi se la professione avrà un futuro.

Fatto il punto delle lamentele, però, occorre decidere come si voglia far fronte alla situazione, ed è qui, ritengo, che il nostro essere professionisti, tesi alla soluzione dei problemi, debba emergere con forza. Se perdiamo la capacità di reagire siamo già sconfitti, pur nella certezza che non ogni tentativo andrà a buon fine. Se ognuno di noi, nel suo piccolo mondo quotidiano, trovasse il modo di trasformare i lamenti in propositi avremmo giornate più serene e migliori risultati. Chissà se questi risultati poi potranno risolvere alcune delle situazioni che proprio non funzionano, perché la resilienza non significa arrendersi a ciò che non va e accettarlo passivamente per quieto vivere, ma trovare un modo per confrontarsi con i problemi e risolverli in modo costruttivo. Non diamo per scontato che nel nostro piccolo nulla si possa fare per risolvere la grandi questioni, in fondo la goccia d’acqua scava la roccia.

Così, ma solo a titolo di esempio, proviamo a non inondare il cassetto previdenziale Inps con richieste banali, quasi fosse l’unica fonte di informazione, e proviamo a cercare da noi alcune risposte insieme ai nostri collaboratori, così da liberare risorse per la definizione delle pratiche, ma al contempo, se registriamo qualche comportamento difforme dalle regole posto in essere dai funzionari, non spaventiamoci di fronte alla grandezza del Palazzo e cerchiamo di ottenere, nelle sedi e nei modi opportuni, soddisfazione alle nostre pretese.

Serve formarsi? Può essere, ma in fondo è il nostro lavoro. Male che vada avremo migliorato il nostro bagaglio di conoscenza facendo il possibile, onorando così noi stessi e il mandato del cliente e contribuendo al corretto funzionamento del complesso sistema cui apparteniamo. Ognuno degli ingranaggi contribuisce al corretto funzionamento del sistema e noi ne siamo parte integrante.

Lo so, è impopolare, attendo perciò le vostre critiche o, meglio ancora, le vostre proposte.

 

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